QUANDO LA MELMA ARRIVA ALLE LABBRA, S’INVOCA LA PRIVACY

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DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente.”
Bertolt Brecht

E’ di oggi la notizia che il Tribunale di Milano ha condannato Google per aver pubblicato un video girato in una scuola, nel quale si vedeva un giovane affetto da autismo vessato da alcuni compagni di classe [1].
Il fattaccio avvenne nel 2006 in un Istituto Tecnico di Torino: la notizia ed il video fecero il “giro” del Web e, solo dopo, delle redazioni dei giornali.
Ricordiamo che quel video fu importante, per comprendere il livello di “bullismo” nel quale erano precipitate alcune scuole: seguirono quelli con le “pruderie”, le “attenzioni sessuali” – vere, false, presunte, poco importa, questo è la Magistratura a doverlo accertare – da parte d’allievi ed insegnanti.
La condanna, di per sé mite – 6 mesi con la condizionale – è stata inflitta a tre dirigenti di Google per non aver rispettato la privacy del ragazzo vessato, mentre non è stata riconosciuta la diffamazione dello stesso.
Lasciamo la vicenda processuale – i genitori del ragazzo avevano già ritirato la querela nei confronti degli imputati, mentre l’associazione ViviDown proseguirà in Appello per il reato di diffamazione – e scendiamo nel mondo di tutti i giorni, quello dove le botte sono botte e gli sputi pure.
Caliamoci nella parte del ragazzo: solo, impaurito, abbandonato, mentre i suoi aguzzini lo spintonano, lo picchiano, inframmezzando il tutto con saluti nazisti mentre vergano sulla lavagna il simbolo delle SS.

Prima di procedere, vediamo quali possono essere state le responsabilità della scuola, perché – come s’appurò in seguito – quel comportamento era abituale.
Fenomeni sporadici di violenza (contro se stessi, altri, ecc) possono avvenire ovunque ed è molto difficile essere presenti nell’attimo “fuggente”.
Ovvio che durante una lezione è responsabile il docente e, se non è addormentato o in trance, nulla avviene, poiché il docente ha tutti i mezzi per intervenire. Se non ha sufficiente carisma per affrontare la situazione, può sempre avvertire il Dirigente, che a sua volta dovrà prendere provvedimenti, fino a chiamare la Polizia.

E’ invece più difficile controllare i tempi di pausa, ossia l’intervallo oppure i cambi d’ora, poiché in quegli istanti i docenti si spostano da una classe all’altra, lasciandola “scoperta”. Pochi sapranno, però, che la sorveglianza dei corridoi è assegnata ai Collaboratori Scolastici (i bidelli) i quali non sono soltanto dei “frati scopini”.
Chi svilisce i bidelli di fronte agli allievi (purtroppo, talvolta avviene) commette dunque un grave errore, poiché mina l’autorità di chi ha un compito da portare a termine, ossia “supplire” nella sorveglianza mentre i docenti cambiano classe.

Il momento più pericoloso è sempre l’intervallo, perché i corridoi s’affollano e, qualora avvenga un’improvvisa colluttazione – pur mantenendo il proprio posto di sorveglianza in corridoio (ci sono appositi turni) – quando si riesce ad arrivare è sempre tardi.
Capitò molti anni fa nella mia scuola, quando due allievi si presero a botte per una questione di femmine: un dente rotto ed una mano sanguinante. Quel giorno non ero in servizio, ma mi raccontarono che tutto avvenne così fulmineamente che nulla si riuscì a fare.

Un caso più grave avvenne in una scuola non lontana – non citerò il luogo, perché la storia fu assai triste – quello di un ragazzo che, durante l’intervallo, attraversò di corsa la classe e si gettò nel vuoto dalla finestra aperta, uccidendosi. Il tutto, sotto gli occhi dell’insegnante che era seduta alla cattedra, che dovettero poi portare via, anch’ella, in ambulanza per lo choc subito.
La docente fu ovviamente assolta da qualsiasi responsabilità, poiché non si poteva assolutamente prevedere una cosa del genere. Se mai, sarebbe stato necessario ascoltare prima quel ragazzo, capire cosa lo agitava, ma si sa: voti ed interrogazioni hanno sempre la precedenza, con tanto di tabelle esplicative per la valutazione, mentre ascoltare qualsiasi cosa che non sia ripetere la lezione è un optional, che pochi praticano.

Tornando a bomba sul caso di Torino, si scoprì che quei comportamenti erano abituali: il poveretto, chissà da quanto tempo subiva botte ed angherie.
Chi interviene a salvarlo? Il docente? Il Preside? Un ispettore del Ministero? Miss Gelmini in persona? “Papi”?
No, chi lo salva è la colossale ignoranza e la spavalderia dei suoi aguzzini, i quali – non contenti – pubblicano il “frutto”, la prova provata della loro “virilità” nei confronti di una persona inerme. E, se non ci fosse stato Google (o chi per esso, nel senso dell’informazione), oggi quel povero ragazzo sarebbe ancora là a prender botte e sputi.
Ma, l’informazione, cos’è?

E’ una roba che se la prende, da un lato, con il Presidente del Consiglio – e non a torto – e dall’altro con la Magistratura e la “cattiva stampa”. Per noi, gente comune, bisogna perlomeno che ci passi sopra un camion e che dopo faccia retromarcia, per “fare notizia”.
Se non ci fosse stato quel filmato reso pubblico da Google – diamoci una sveglia, signori miei – nessuno si sarebbe accorto di niente: tante belle chiacchiere sul “bullismo”, fiumi di parole con l’autorevole intervento degli strizzacervelli e dei pedagogisti. Quel video, a differenza delle chiacchiere, inchioda.

Mi piacerebbe chiedere a quel ragazzo se quel filmato – indubbiamente difficile da “digerire”, poiché essere filmati alla berlina non fa piacere a nessuno – non ha cambiato la sua vita, almeno per quanto riguarda la sua vita scolastica.
Se così non fosse – ossia se le cose fossero continuate come prima – allora sarebbe la scuola a doversi giustificare ed, eventualmente, a pagare.
Invece, s’invoca la “privacy”.
Ma quale privacy? Quella di prender botte e star zitti?

I giornalisti che fotografarono i bambini vietnamiti che scappavano, con il napalm americano che mordeva loro la carne, rispettarono la “privacy” di quei poveretti, oppure ritennero che fosse di primaria importanza mostrare la mostruosità di quei bombardamenti?
Chi riesce, oggi, in Afghanistan, a raggiungere un villaggio appena “bonificato” dalle forze occidentali – nel quale si notano gli inequivocabili segni delle bombe a caduta libera o di quelle a grappolo – e filma l’orrore dei corpi straziati, dovrebbe forse porsi il dilemma di rispettare la “privacy” di quei cadaveri e dei loro congiunti?
Ci viene il sospetto che questo “richiamo alla privacy” sia il prodromo sin troppo acclarato di un rinnovato “me ne frego!”, di lontana memoria.

Mentre il Paese sta sprofondando nella melma, mentre non c’è più angolo della vita politica che non emetta soffocanti miasmi, il Presidente del Consiglio lancia invettive contro le intercettazioni, che mettono a nudo il groviglio d’interessi corrotti che stanno strangolando il Paese: noi, la gente italiana.
Il problema non è chi dà le botte oppure chi ruba sulla Sanità, non è neppure scoprire se ci sono persone che sono state probabilmente elette al Parlamento grazie alle “soffiate” dei mafiosi.
Il problema è che qualcuno possa scoprirlo.
Che qualcuno pubblichi, smascheri le “bordate mediatiche”, mostri il centro dell’Aquila ancora ridotto in macerie. Che ci sia qualcuno che fotografa il viso di una madre sanguinante, perché i pretoriani romani sono saliti lassù, in Val di Susa, per far rispettare l’ordine imperiale.

Nella società dell’apparire, nessuna voce dissidente deve giungere all’udito delle persone: un mieloso, mellifluo cantico di benemerenze deve tutto circondare, quello dei “paladini del bene e della libertà”, l’ultimo miracoloso ritrovato del capataz di Arcore – probabilmente una costola di Mediaset – che dovranno contrastare il “pessimismo” degli italiani.
E, qualora i “paladini” si trovassero di fronte a filmati imbarazzanti – oggi un ragazzo picchiato, domani un assessore che intasca una mazzetta, dopodomani una telefonata dove si concorda un voto di scambio – s’invocherà la “privacy”.

Non dimenticherò mai che, sul cadavere d’Alfredino Rampi, si giocarono le fortune della P2 e, ahimè, le nostre simmetriche disgrazie.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/02/quando-la-melma-arriva-alle-labbra.html
24.02.2010

[1] Fonte: http://www.repubblica.it/cronaca/2010/02/24/news/condanna-video-2409480/

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

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