Quando gli Stati Uniti avevano invaso la Russia

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JEFF KLEIN

consortiumnews.com

Fra tutte le fissazioni bi-partisan sull’ incontro di Helsinki fra Trump e Putin, la febbrile retorica antirussa degli Stati Uniti rende plausibile quello che fino a non molto tempo fa sembrava inconcepibile: che pericolose tensioni fra Russia e Stati Uniti possano portare ad un conflitto militare. E’ già accaduto.

Nel settembre del 1959, durante un breve disgelo nella Guerra Fredda, Nikita Khrushchev aveva fatto la sua famosa visita negli Stati Uniti. A Los Angeles, il leader sovietico era stato invitato ad un pranzo negli studi della Twentieth Century Fox di Hollywood e, durante un lungo e sconclusionato discorso, aveva affermato:

“Il vostro intervento armato in Russia è stato la cosa più spiacevole mai capitata alle relazioni fra i nostri due paesi, perché, fino ad allora, noi non avevamo mai fatto guerra all’America, le nostre truppe non hanno mai messo piede in territorio americano, mentre le vostre hanno calpestato il suolo sovietico.”

A queste rimostranze di Khrushchev era stato dato poco rilievo dalla stampa americana dell’epoca, sopratutto se paragonate alle sue (documentatissime) proteste per non essere stato autorizzato a visitare Disneyland. Ma, anche se gli Americani avessero letto i commenti di Khrushchev, è probabile che pochi di loro avrebbero saputo di che cosa stava parlando il premier sovietico.

Ma la memoria sovietica (e ora quella russa) è molto più tenace. Le ferite delle invasioni straniere, da Napoleone ai nazisti, erano ancora abbastanza vive nell’opinione pubblica sovietica del 1959, ed anche in quella russa di oggi, in una maniera che la maggior parte degli Americani non riesce neanche ad immaginare. Fra l’altro, è per questo che i Russi hanno reagito così duramente all’espansione della NATO fin sui loro confini negli anni ‘90, nonostante la promessa del contrario da parte degli Stati Uniti, durante i negoziati per la riunificazione della Germania.

L’invasione americana a cui si riferiva Khrushchev era avvemuta un secolo fa, durante la Rivoluzione di Ottobre e la guerra civile che ne era seguita, fra le forze bolsceviche contro quelle anti-bolsceviche, l’Armata Rossa contro i Russi Bianchi. Mentre Tedeschi ed Austriaci occupavano parte della Russia occidentale e meridionale, gli Alleati avevano portato avanti, nel 1918, il loro intervento armato nella Russia del nord e nell’Estremo Oriente.

Le nazioni alleate, che comprendevano Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone e Stati Uniti avevano dato diverse giustificazioni sull’invio delle loro truppe in Russia: per “salvare” la Legione Cecoslovacca, che era stata reclutata per combattere contro gli Imperi Centrali, per proteggere i depositi militari degli Alleati e tenerli fuori dalla portata dei Tedeschi, per proteggere la ferrovia transiberiana, importantissima via di comunicazione e, possibilmente, per aprire un fronte orientale durante la guerra. Ma il vero obbiettivo, all’inizio raramente ammesso in pubblico, era quello di contrastare gli eventi seguiti alla Rivoluzione d’Ottobre ed installare un governo russo più “accettabile.” Come avrebbe detto più tardi Winston Churchill, lo scopo era quello di “strangolare nella culla l’infante bolscevico.”

Oltre che in Siberia, gli Stati Uniti si erano uniti alle truppe inglesi e francesi nell’invasione di Arkhangelsk, nel nord della Russia, il 4 settembre 1918.

Nel luglio 1918, il Presidente degli Stati Uniti aveva scritto di suo pugno l’Aide Memoire” [promemoria] sull’intervento americano in Russia, che era stato consegnato personalmente dal Segretario alla Guerra al Generale William Graves, il comandante designato delle truppe americane destinate alla Siberia. Il documento di Wilson era stranamente ambivalente e contraddittorio. Iniziava con il dire che l’interferenza straniera negli affari interni della Russia era “inammissibile,” e terminava affermando che l’invio di truppe statunitensi in Siberia non doveva essere considerato un “intervento armato.”

L’intervento di non-intervento

L’intervento americano aveva avuto inizio quando le truppe degli Stati Uniti erano sbarcate a Vladivostok, il 16 agosto 1918. Si trattava del 27° e del 31° reggimento di fanteria, unità regolari dell’esercito che erano state precedentemente impiegate nella pacificazione delle Filippine occupate dagli Stati Uniti. Alla fine, in Siberia, sarebbero stati dislocati circa 8.000 soldati americani.

A giudicare dalle sue memorie, il Generale Graves era rimasto sconcertato da come apparisse diversa la situazione sul campo, in confronto alle vaghe istruzioni in suo possesso. Per prima cosa, i Cecoslovacchi non avevano nessuna necessità di essere salvati. Nell’estate del 1918 avevano assunto con facilità il controllo di Vladivostok e di più di 1.500 km. della ferrovia transiberiana.

Per tutto l’anno e mezzo successivo, il Generale Graves, in apparenza un soldato di professione onesto e apolitico, si era sforzato di comprendere ed eseguire il suo incarico in Siberia. Sembra avesse mandato fuori di testa il Dipartimento di Stato e i suoi colleghi comandanti alleati attenendosi scrupolosamente (e alla lettera) alle istruzioni dell’Aide Memoire di Wilson, che imponevano un totale non-intervento nelle questioni russe. Il generale sembrava non notare affatto le malcelate strizzatine d’occhi con cui tutti quanti fingevano di ottemperare agli ordini.

Graves si era sforzato di rimanere “neutrale” fra le varie fazione russe che si battevano per il controllo della Siberia e si era concentrato sulla sua missione: difendere la ferrovia e proteggere i rifornimenti degli Alleati. Ma era stato anche abbastanza indiscreto da segnalare sia i massacri commessi dai “Bianchi” che quelli perpetrati dai “Rossi,” aveva espresso il suo disgusto per i vari signori della guerra siberiani sostenuti dai Giapponesi e, successivamente, aveva valutato in modo scettico (ma corretto) lo scarso sostegno popolare, l’incompetenza e le poche prospettive [di successo] delle forze anti-bolsceviche.

Per il suo disturbo, si era sparsa la voce, assurda, che il generale fosse un simpatizzante bolscevico, un’accusa che, in parte, avrebbe in seguito motivato la pubblicazione delle sue memorie.

Di fronte alle intimidazioni dei rappresentanti del Dipartimento di Stato e degli altri comandanti alleati affinché si dimostrasse più attivo nel sostegno alla gente “giusta” in Russia, Graves aveva ripetutamente chiesto ai suoi superiori di Washington se le istruzioni originali in suo possesso sul non intervento politico dovessero essere modificate. Ovviamente, nessuno voleva mettere per iscritto una linea d’azione differente e così il generale aveva fatto di tutto per conservare la sua “neutralità.

Comunque, nella primavera e nell’estate del 1919, gli Stati Uniti si erano adeguati alle altre nazioni alleate nel fornire un aperto sostegno militare al “Leader Supremo,” al governo bianco dell’Ammiraglio Alexander Kolchak, insediato nella città di Omsk, nella Siberia occidentale. In principio, tutto veniva fatto in maniera discreta, attraverso la Croce Rossa, in seguito con l’invio diretto di rifornimenti militari, compresi vagoni interi carichi di fucili, sotto la diretta supervione di Graves.

L’intervento in patria

Ma, per Kolchak, le prospetive di vittoria si erano dileguate in fretta e i Bianchi, in Siberia, si erano rivelati una causa persa. La decisione di ritirare le truppe americane era stata presa alla fine del 1919 e il Generale Graves, con quello che rimaneva del suo staff, era partito da Vladivostok il primo di aprile del 1920.

In totale, durante l’invasione della Russia (l’Unione Sovietica sarebbe stata costituita il 28 dicembre 1922), erano rimasti uccisi 174 Americani.

Il fatto interessante è che le pressioni per ritirare le truppe americane dalla Siberia erano arrivate dagli stessi soldati, stanchi [della permanenza], e dagli opinionisti del fronte interno,  contrari al continuo dispiego di unità militari all’estero dopo la conclusione della guerra in Europa. E’ degno di nota il fatto che, durante un dibattito congressuale sull’intervento in Russia, un senatore, per sostenere la causa del loro ritorno in patria, avesse letto brani di lettere spedite dai soldati americani.

Allora, come anche negli interventi esteri recenti degli Stati Uniti, i soldati avevano una considerazione molto bassa delle popolazioni che, in teoria, avrebbero dovuto liberare. Uno di essi aveva scritto a casa il 28 luglio del 1919 dal suo acquartieramento a Verkhne-Udinsk, ora Ulan Ude, sul lato meridionale del Lago Baikal:

“La vita in Siberia potrebbe sembrare eccitante, ma non lo è. Per qualche mese può anche andare, ma adesso sono pronto a ritornare a casa… Vuoi sapere se mi piace la gente? Beh, ti dirò, non si potrebbe quasi chiamarle persone, sono più che altro come animali. Sono la cosa più ignorante che abbia mai visto. Potrei anche imparare qualche parola del loro idioma se non fossero così arrabbiati quando parlano. E quando si arrabbiano blaterano in continuazione nel loro dialetto. Questa gente ha una sola ambizione, ed è bere più vodka del loro vicino.”

Al di fuori del Dipartimento di Stato e dell’opinione di alcune elites, l’intervento americano era rimasto sempre abbastanza impopolare. Ma, come ha fatto notare uno storico, si sapeva benissimo che potevano esserci “molte ragioni per l’invio dei fantaccini in Russia, ma che, per [giustificare] la loro permanenza, di ragioni ce n’era solo una: intervenire in una guerra civile per vedere chi avrebbe governato la nazione.”

Dopo il 1920, il ricordo dell’”avventura siberiana dell’America,” secondo la definizione del Generale Graves, era rapidamente finito nel dimenticatoio. Il pubblico americano è famoso per le sue amnesie storiche, dal momento che avventure simili, da allora, si sono ripetute in continuazione, anno dopo anno.

Sembra che, più o meno ad ogni generazione, ci si debba ricordare dei pericoli connessi agli interventi militari all’estero e della semplice verità, messa in evidenza dal Generale Graves:

“… non c’è una nazione sulla Terra che non si irriti se degli stranieri inviano delle truppe sul suo territorio per mettere al comando questa o quella fazione. Il risultato non è solo un’offesa al prestigio dell’intervento straniero, ma è anche un grosso ostacolo per la fazione che lo straniero sta cercando si assistere.”

Il Generale Graves scriveva queste cose nel 1918 riferendosi alla Siberia, ma potrebbe benissimo essere  il Vietnam degli anni ‘60 o l’Afghanistan e la Siria di oggi. O un avvertimento per i 30.000 uomini della NATO che stazionano ai confini della Russia.

 

Jeff Klein

Fonte: consortiumnews.com

Link: https://consortiumnews.com/2018/07/18/when-the-u-s-invaded-russia/

18.07.2018

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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