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La Redazione

 

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Quali conseguenze con le dosi ripetute?

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Il 4 Dicembre 2021
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di Valentina Bennati
comedonchisciotte.org

Gli attuali vaccini anti-Covid sono stati presentati con la promessa di proteggerci da una malattia trasmissibile.
Non si può dire che sia stata mantenuta dal momento che abbiamo visto che anche chi si è vaccinato può infettarsi, contagiare e finire in terapia intensiva.
In più si sono verificati problemi di reazioni avverse molto superiori a tutti gli altri vaccini finora conosciuti, sono migliaia, infatti, i casi segnalati sul sito Eudravigilance dell’agenzia del farmaco Ema (e si sta parlando solo dell’Europa e di numeri sottostimati, trattandosi di vigilanza passiva).

In un mondo normale ciò dovrebbe bastare per fermarsi un attimo e riflettere. Invece si continua, con cieca fiducia, la corsa acritica verso il traguardo (irraggiungibile) dell’immunizzazione, senza chiedersi quale potrebbe essere il possibile impatto di inoculi multipli e reiterati nel tempo.
C’è una risposta a questa domanda? No. La realtà, per niente confortante, è proprio questa: nessuna ricerca scientifica ha ancora valutato a tempi medio-lunghi gli effetti  della ripetuta somministrazione dei vaccini sull’incidenza e la gravità delle malattie croniche e degenerative, che sono le più frequenti nella nostra società.

Nell’articolo che segue il Prof Paolo Bellavite, patologo e membro della neonata Commissione Medica Indipendente  (ma questo suo articolo è scritto a titolo personale), entra nel merito della questione e spiega perché questa pratica potrebbe avere risultati decisamente negativi, come ad esempio aumentare qualsiasi focolaio infiammatorio presente nell’organismo e riaccendere fenomeni patologici sopiti o in equilibrio instabile.
L’organismo umano è complesso ed è un tutto uno integrato: un approccio semplicistico, senza seguire gli elementari princìpi dell’etica medica, potrebbe causare gravi conseguenze. 

* * *

Dosi booster tra grandi promesse e forti dubbi

Paolo Bellavite
https://sfero.me/

Ora, dopo che i “vaccini” sono stati inoculati in milioni di persone, si scopre che i contagi non calano perché anche i vaccinati possono trasmettere il virus e cominciano ad emergere eventi avversi gravi e inattesi, di natura molto diversa da quelli previsti dalla teoria immunologica corrente. Di questo si è riferito in un lavoro pubblicato in Sfero (https://sfero.me/article/proteina-spike-fatti-misfatti) e in un recente convegno tenutosi a Bolzano (10 novembre 2021). Qui si affronta un nuovo problema, legato alla probabilità che i vaccinati saranno costretti a successivi inoculi perché l’immunità è di durata molto inferiore alle speranze. È possibile, anzi probabile, che chi continua a credere o a dire che “solo i vaccini ci salveranno” spingerà verso l’inoculazione dei prodotti biotecnologici attualmente disponibili annualmente o addirittura semestralmente. E per il momento non si vedono in pratica dei prodotti alternativi.

Trascuriamo le questioni legate all’efficacia delle dosi e dei booster, del rapporto rischi/benefici nelle diverse fasce di età, dell’incostituzionalità degli obblighi e ricatti per iniettare prodotti che non fermano la diffusione del virus, dell’esistenza di cure efficaci e limitiamoci qui a considerare i meccanismi d’azione dei “vaccini” a mRNA e il possibile impatto che potrebbero avere inoculi multipli e ripetuti a distanza di tempo.

Chi scrive è di formazione un patologo generale e quindi l’argomento di come funzionano i “vaccini” anti-COVID-19 qui è trattato secondo tale punto di vista, in base alle teorie correnti e cercando di ipotizzare cosa potrebbe provocare una continua sollecitazione del sistema immunitario e non solo immunitario con tali prodotti biogenetici. Si prenderà come riferimento la figura 1 e nella fattispecie i punti ivi numerati.

Figura 1. Vaccini vecchi (inattivati o attenuati) e nuovi (spike): meccanismi di reazioni avverse

Figura 1. Vaccini vecchi (inattivati o attenuati) e nuovi (spike): meccanismi di reazioni avverse

Le teorie che spiegano come funzionano i vaccini a mRNA sono ancora molto rudimentali, incomplete e persino raffazzonate. Ad esempio, nella relazione presentata alla FDA per l’autorizzazione del vaccino mRNA-1273 – Moderna (December 17, 2020 Meeting Presentation – Emergency Use Authorization Application) si sostiene che la famosa nanoparticella lipidica con mRNA entrerebbe in una “antigen presenting cell” (APC, per lo più cellule dendritiche e macrofagi) circondata da linfociti B e T. La APC fabbricherebbe la Spike e in tal modo poi innescherebbe la risposta immunitaria specifica (linfociti T e poi B). Ad un patologo generale questa teoria appare alquanto sballata, o quanto meno monca e traballante. Infatti le APC normalmente presentano ai linfociti gli antigeni che vengono dall’esterno (cioè i virus e i batteri presi dall’ambiente esterno, quindi uccisi, processati, fatti a pezzi e poi esposti sulla membrana associati all’HLA di classe II). Nel caso dei vaccini tradizionali, le APC “captano” gli antigeni estranei inattivati o attenuati, eventualmente assieme agli adiuvanti (Figura 1, punto 1).

Nella teoria presentata da Moderna (comunque simile a quella di Pfizer), invece, la proteina Spike non è rappresentata come venuta dall’esterno, ma verrebbe prodotta nel citoplasma cellulare dalla stessa cellula presentante l’antigene, nel tessuto che ha avuto l’inoculo del mRNA. L’immunologia insegna che le proteine prodotte all’interno vanno montate su HLA di classe I, che è tutt’altra cosa anche se ha un nome simile, e non innesca la risposta delle cellule T. La teoria del produttore presuppone che la APC sia così stupida da non riconoscere se una sostanza estranea viene dall’esterno o dall’interno. Chi conosce queste cellule non può non restare perplesso; uno studente di medicina che sviluppasse una teoria del genere non passerebbe l’esame.

Il punto più critico di tutta questa teoria traballante è che nella sopranominata relazione del produttore, si sostiene che il vaccino “crea efficientemente una memoria specifica in un contesto naturale (in situ)”. Ma si tratta di un’idea teoricamente inconsistente e sperimentalmente non provata.  Bisogna sapere che il contesto naturale del sistema immunitario non è il muscolo dove viene iniettato il vaccino, ma il sistema immunitario (soprattutto i linfonodi, ma anche le tonsille e il sistema linfatico intestinale o polmonare). Normalmente le APC captano le sostanze estranee nell’ambiente esterno (pelle, mucose, tessuto connettivo o linfonodi), le processano come si è detto e le presentano ai linfociti associate al HLA-II. Questa “captazione” avviene con un procedimento recettoriale (ci sono tanti recettori più o meno specifici, detti nel loro insieme “pattern recognition receptors”, v. Figura 1, punto 1). Al contrario, le nanoparticelle non sono riconosciute da recettori ma “penetrano” nelle cellule direttamente attraversando la membrana, ed entrano in tutte le cellule con cui vengono a contatto. Quindi la proteina SPIKE può essere prodotta NON SOLO dalle APC ma da qualsiasi cellula. Ciò è ovviamente confermato dal fatto che gli studi di biodistribuzione hanno trovato nanoparticelle anche nel fegato, là dove per arrivare dal muscolo significa che sono quanto meno passate per tutto il circolo venoso (o linfatico e poi venoso) e poi arterioso. Il fatto stesso che si siano riscontrati molti casi di miocardite e di disordini della coagulazione, dimostra che i “target” delle nanoparticelle (o direttamente delle Spike, visto che i recettori ACE2 sono quasi ubiquitari) possono essere le cellule delle pareti vascolari e pure le piastrine (Figura 1, punto 2).

Quindi la teoria immunologica proposta (riferita semplicisticamente da innumerevoli pamplhlet illustrativi per il pubblico) è semplicemente incredibile per un qualsiasi patologo. Di questo chi scrive ha presentato una relazione in “Research-Gate” già nel dicembre del 2020 (DOI: 10.13140/RG.2.2.11207.32163). Già allora concludevo: “I casi sono due: o il dossier è stato esaminato da “esperti” poco “esperti” di immunologia, o se c’erano essi hanno chiuso più di un occhio. Ma applicare frettolosamente una teoria sballata non può essere privo di conseguenze deleterie. Termino dicendo che mi auguro sinceramente di aver torto, ovvero che la teoria di Moderna sia giusta. Altrimenti le reazioni immunopatologiche saranno inevitabili, purtroppo.”

Ora le cose si complicano perché entra in gioco un nuovo fattore, pure esso INATTESO dalla teoria e, volendo salvare la buona fede, persino dalle autorità regolatorie. La somministrazione molteplice è ora proposta con l’idea di dare un “boost” al sistema immunitario, come se esso fosse l’unica parte del nostro organismo a essere modificato, e come se la modificazione fosse sicuramente in meglio. Anche se le prime evidenze sembrano dimostrare che una dose “Booster” effettivamente fa aumentare gli anticorpi e protegge dalle conseguenze più gravi dell’infezione per qualche (ignota) durata, NESSUNA RICERCA SCIENTIFICA ha valutato la conseguenza di questa ripetuta procedura di stimolo nel tempo, a breve, medio e lungo termine. Ricordiamo che un vaccino non si valuta solo per la sua azione immunizzante ma anche per la sua sicurezza.

Torniamo alle teorie, che nella scienza sono il fondamento di ogni ipotesi e di ogni verifica sperimentale. Le teorie immunologiche tradizionali propongono che le resistenze alle infezioni virali siano delle risposte immunitarie adattative caratterizzate dalla “specificità” dell’antigene e dall’induzione della memoria immunologica permanente (Figura 1, punto 3). L’immunità “innata”, costituita prevalentemente dalle cellule fagocitarie e NK (“natural killer”) e dal complemento ha il ruolo di innescare il sistema immunitario “presentando” in modo corretto gli antigeni in un contesto di reazione infiammatoria aspecifica.

Questo è vero ma recentemente è stato riportato che anche le cellule delle difese innate possono sviluppare caratteristiche di memoria immunitaria, un processo chiamato immunità addestrata (“trained immunity”) [1, 2] (Figura 1, punto 4). In altre parole, la memoria immunologica non è un tratto esclusivo dei linfociti, poiché molti insulti infiammatori possono alterare la funzionalità e la reattività del sistema immunitario innato a lungo termine. L’immunità addestrata indica il fenotipo reattivo persistente che le cellule delle difese innate possono sviluppare dopo una breve stimolazione. Le cellule immunitarie innate, come i monociti, i macrofagi, le cellule dendritiche e le cellule NK possono essere influenzate dall’incontro con gli stimoli infiammatori, subendo una riprogrammazione funzionale e sviluppando risposte modificate alle successive sollecitazioni.

Stimoli patogeni come i microrganismi e anche le molecole endogene tra cui l’acido urico, le LDL ossidate (lipoproteine ​​a bassa densità) e le catecolamine, ma anche batteri e vaccini, sono in grado di indurre la memoria nei monociti e nei macrofagi. L’immunità addestrata è mantenuta da distinti meccanismi epigenetici e metabolici e persiste per almeno diversi mesi in vivo a causa della riprogrammazione delle cellule progenitrici mieloidi. Va sottolineato che l’immunità innata ha una memoria a lungo termine dovuta alla riprogrammazione “epigenetica” della cromatina cellulare e la capacità di aumentata risposta rimane quando l’infiammazione si risolve [3]. Questi cambiamenti epigenetici portano all’attivazione cellulare, una maggiore produzione di citochine e un cambiamento nello stato metabolico della cellula con uno spostamento dalla fosforilazione ossidativa alla glicolisi [4].

L’immunità addestrata fornisce una protezione favorevole nel contesto delle malattie infettive, tanto che è stato proposto che si potrebbe puntare anche su di essa per potenziare le risposte immunitarie anche ai virus, ad esempio con una vaccinazione fatta col BCG (il vaccino della tubercolosi) [5]. Tuttavia, la stessa immunità addestrata può essere “disadattiva” nelle malattie caratterizzate da infiammazione sistemica cronica, come l’aterosclerosi e il cancro [1-4]. Inoltre, alcune cellule non immunitarie come gli endoteli e i fibroblasti mostrano anche caratteristiche immunitarie addestrate e questo è stato visto anche in relazione all’infezione da coronavirus [6]. Cellule endoteliali infettate da coronavirus o stimolate da lipoproteine ossidate mostrano l’espressione aumentata di più di 1000 diversi geni. Le cellule endoteliali del cuore umano esprimono vari recettori del coronavirus tra cui anche ACE2, e l’enzima accessorio TMPRSS2. Gli endoteli esprimono citochine proinfiammatorie in abbondanza come TNF-alfa, IL6, CSF1. Questi fenomeni hanno un importante ruolo nella patologia vascolare e iper-infiammatoria da coronavirus, ma in parte possono averli anche nella azione patogena e indesiderata dei “vaccini” in alcuni individui che, finché non si sarà potuto capire la ragione, si possono definire “sfortunati”.

L’aterosclerosi non è solo una malattia dismetabolica (diabete, dislipidemie) ma anche una malattia infiammatoria cronica che coinvolge le cellule della parete vascolare dall’endotelio alle cellule fagocitarie monocito-macrofagiche [7]. Nella figura 2 è data una rappresentazione schematica dei principali meccanismi tessutali dello sviluppo e mantenimento della lesione aterosclerotica.

Figura 2. Raffigurazione semplificata della relazione tra aterosclerosi e infiammazione

Figura 2. Raffigurazione semplificata della relazione tra aterosclerosi e infiammazione

In estrema sintesi, si sa che la lesione è innescata dal danno endoteliale e dalle lipoproteine ossidate, si sviluppa per l’azione dei macrofagi che “mangiano” le LDL e rilasciano citochine e per l’intervento delle piastrine che aderiscono alla superficie dell’endotelio danneggiato. L’insieme delle citochine delle piastrine e dei macrofagi fa crescere il focolaio con nuovo arrivo di macrofagi e successivamente la crescita dei fibroblasti che concorrono alla fibrosi e indurimento della placca (sclerosi). Poiché l’aterosclerosi è la malattia cronica più diffusa e responsabile della maggiore morbilità e mortalità nei Paesi sviluppati, anche perché le sue complicazioni causano trombosi e ischemie in vari organi, la relazione tra immunità addestrata e malattie croniche è un argomento che non può certo essere ignorato.

Questi risultati stanno rivoluzionando la nostra conoscenza del sistema immunitario dei mammiferi, introducendo il concetto di memoria anche per l’immunità innata. E’ stato sostenuto che anche i vaccini influiscono in modo “non specifico” sullo stato immunologico generale e le risposte infiammatorie degli individui in modo clinicamente rilevante[8]. Di conseguenza, le future strategie vaccinali dovrebbero tenere conto del contributo della memoria innata attraverso un’adeguata progettazione di formulazioni e pianificazione della somministrazione.

Se tutto quanto qui prospettato è valido, ne deriva che la ripetuta somministrazione di “vaccini” a distanza di pochi mesi potrebbe avere dei risultati positivi e auspicabili se sviluppasse un rafforzamento dell’immunità specifica che altrimenti decade nel tempo (esempio mantenere adeguato livelli anticorpali neutralizzanti), ma potrebbe avere anche risultati negativi se sviluppasse una continua e crescente capacità reattiva basata sull’immunità addestrata delle cellule endoteliali e macrofagiche. Tali cellule non sono capaci solo di stimolare il sistema dei linfociti (cosa auspicabile in un contesto di buon funzionamento del sistema, salvo che nel caso di autoimmunità), ma sono coinvolte anche in molteplici processi patologici caratterizzati dall’infiammazione cronica, come le malattie cardiovascolari (che in gran parte dipendono dall’aterosclerosi), il diabete, le osteoartriti e via dicendo. Le risposte “aspecifiche” sono tali da espandere la loro azione proprio ad ampio spettro, andando a regolare settori diversi e ulteriori rispetto ai bersagli dell’ immunità specifica. Ad esempio, un aumento di citochine come interferone-gamma, IL-6, TNF-alfa andrà a aumentare non solo le risposte linfocitarie e immunitarie in senso stretto, ma qualsiasi focolaio infiammatorio presente nell’organismo e che possa venire con esse a contatto. Se l’infiammazione è “sistemica”,  ciò è inevitabile, ma anche quando essa si svolge in sede locale, come ad esempio potrebbe succedere nella parete vascolare di un fumatore o di una persona con ipercolesterolemia LDL, le citochine potrebbero “riaccendere” fenomeni patologici sopiti o in equilibrio instabile. Anche nel caso del cancro, le cellule dell’immunità innata hanno un doppio ruolo, difensivo se attaccano le cellule cancerose distruggendole, ma anche “offensivo” se invece cooperano alla loro crescita[9]. Si tratta di un dis-equilibrio molto delicato di sistemi di difesa-offesa che non può essere preso “alla leggera”. Anche se i “vaccini” salvassero dalle malattie virali un certo numero di persone (soprattutto se particolarmente suscettibili e oltretutto se curate male), quante altre persone potrebbero subire conseguenze nel tempo per l’impatto di questi fenomeni su altri organi o sistemi? Possiamo non preoccuparci e far finta che il problema non esista?

Incidentalmente, vale la pena ricordare lo studio di Anderson et al. [10] sulla vaccinazione anti-influenzale, che ha valutato i ricoveri ospedalieri per qualsiasi causa da Aprile 2000 a Marzo 2011 e i decessi per qualsiasi causa fra il Gennaio 2000 e il Dicembre 2014 in Inghilterra.  Di fatto, gli autori non hanno notato alcun vantaggio conferito dalla vaccinazione e addirittura la tendenza (che non raggiunge la significatività statistica) è sfavorevole nell’insieme della popolazione in esame sia per ricoveri che per mortalità per ciascuno degli esiti considerati. Anche se lo studio è di tipo osservazionale, esso è stato fatto su milioni di persone e con un disegno molto solido: in breve sembra dire che anche se ci fosse stata una protezione conferita dal vaccino verso le deleterie conseguenze dell’influenza, tale vantaggio potrebbe essere stato mascherato da altre conseguenze negative , dello stesso trattamento per altre malattie. Una lezione che ci dà anche quello studio è che, dal  punto di vista della sanità pubblica, è fondamentale considerare l’impatto che hanno le misure preventive sui ricoveri e la mortalità da qualsiasi causa, non solo il risultato che ci si attende da un certo intervento.

L’organismo umano è complesso e un approccio semplice, o peggio semplicistico, potrebbe causare gravi conseguenze a medio-lungo termine sull’intera popolazione, proprio per l’impatto sulle malattie infiammatorie croniche non trasmissibili, che sono di gran lunga le più frequenti e più deleterie.

In ogni caso, questa problematica conferma ancora una volta che tutta la vaccinologia del coronavirus è in una fase “sperimentale” e sarebbe esiziale arrivare a qualsiasi conclusione prematura, senza adeguato periodo di osservazione e adeguate sperimentazioni. La sperimentazione in medicina non è criticabile di per sé (se fatta con criteri etici), anzi, ma è fondamentale che sia ben fatta, con adeguati gruppi di controllo. Vaccinare tutti e comunque – peggio ancora chi non è convinto e lo fa costretto – solo spinti dall’idea comunemente diffusa dai mass-media del “vaccino salvifico” non è degno di un procedere scientificamente e eticamente corretto. Solo per fare un esempio di sperimentazione ben fatta, nel caso delle somministrazioni multiple (terza, quarta e successive dosi), sarebbe fondamentale disporre di un gruppo di controllo, adeguatamente confrontabile, formato da persone che volontariamente rifiutano di essere vaccinate: costoro accetterebbero un rischio aggiuntivo di malattia da COVID-19 ma in compenso sarebbero un prezioso bacino di informazioni a medio-lungo termine a riguardo dell’incidenza e gravità delle malattie infiammatorie croniche. Nell’ipotesi che i non vaccinati fossero colpiti meno da complicazioni vascolari o tumori, il rapporto rischi-benefici sarebbe da ricalcolare in modo radicale. Visto che almeno il 20% della popolazione certo rinuncerebbe volentieri alle dosi, uno  studio di coorte prospettico del genere e di ampia portata sarebbe certamente possibile, con poca spesa, se vi fosse la buona volontà delle autorità sanitarie centrali. Qui per buona volontà si intende semplicemente lungimiranza e  rispetto del metodo scientifico.

Procedere a tentoni, senza la razionalità scientifica, senza seguire il metodo sperimentale e gli elementari princìpi dell’etica medica, sarebbe una follia, un abuso, un crimine contro l’umanità.

1. Tercan H, Riksen NP, Joosten LAB, Netea MG, Bekkering S. Trained Immunity: Long-Term Adaptation in Innate Immune Responses. Arterioscler Thromb Vasc Biol 2021; 41(1):55-61.

2. Dominguez-Andres J, Netea MG. Long-term reprogramming of the innate immune system. J Leukoc Biol 2019; 105(2):329-338.

3. Drummer Ct, Saaoud F, Shao Y, Sun Y, Xu K, Lu Y, et al. Trained Immunity and Reactivity of Macrophages and Endothelial Cells. Arterioscler Thromb Vasc Biol 2021; 41(3):1032-1046.

4. van der Meer JW, Joosten LA, Riksen N, Netea MG. Trained immunity: A smart way to enhance innate immune defence. Mol Immunol 2015; 68(1):40-44.

5. Koneru G, Batiha GE, Algammal AM, Mabrok M, Magdy S, Sayed S, et al. BCG Vaccine-Induced Trained Immunity and COVID-19: Protective or Bystander? Infect Drug Resist 2021; 14:1169-1184.

6. Shao Y, Saredy J, Xu K, Sun Y, Saaoud F, Drummer Ct, et al. Endothelial Immunity Trained by Coronavirus Infections, DAMP Stimulations and Regulated by Anti-Oxidant NRF2 May Contribute to Inflammations, Myelopoiesis, COVID-19 Cytokine Storms and Thromboembolism. Front Immunol 2021; 12:653110.

7. Lacy M, Atzler D, Liu R, de Winther M, Weber C, Lutgens E. Interactions between dyslipidemia and the immune system and their relevance as putative therapeutic targets in atherosclerosis. Pharmacol Ther 2019; 193:50-62.

8. Topfer E, Boraschi D, Italiani P. Innate Immune Memory: The Latest Frontier of Adjuvanticity. J Immunol Res 2015; 2015:478408.

9. Wu H, Xu JB, He YL, Peng JJ, Zhang XH, Chen CQ, et al. Tumor-associated macrophages promote angiogenesis and lymphangiogenesis of gastric cancer. J Surg Oncol 2012; 106(4):462-468.

10. Anderson ML, Dobkin C, Gorry D. The Effect of Influenza Vaccination for the Elderly on Hospitalization and Mortality: An Observational Study With a Regression Discontinuity Design. Ann Intern Med 2020; 172(7):445-452.

Paolo Bellavite
FONTE: https://sfero.me/article/dosi-booster-grandi-promesse-forti-dubbi

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Scelto e pubblicato da Valentina Bennati – ComeDonChisciotte.org

 

 

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Giornalista professionista specializzata in tematiche di salute e ambiente. Naturopata membro FNNP (Federazione Nazionale Naturopati Professionisti). “Percepisco il mio lavoro come una sottile indagine fatta di domande, di chiedersi il perché. Comprendere la causa è sempre il primo passo da fare.”
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