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La Redazione

 

I piu' letti degli ultimi 7 giorni

PEPE: LA NOSTRA SPEZIA PREFERITA, MACCHIATA DA UN LASCITO LETALE

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A cura di supervice
Il 31 Marzo 2012
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DI FREDERIK JOHANNISSON E PETER BENGTSEN
The Ecologist

Dall’India all’Indonesia, un’inchiesta di Frederik Johannisson e Peter Bengtsen di Danwatch rivela che i produttori di pepe sono sempre più vulnerabili ai cattivi raccolti, al crollo dei prezzi e ai cartelli.

Una mattina ci siamo svegliati
e abbiamo trovato nostro padre impiccato in camera da letto, proprio qui
”, dice la ventenne Neethu indicando un angolo buio della stanza
impolverata.
I grandi occhi bruni di Neethu esprimono forza ed allo stesso tempo timidezza. È sola a casa con il suo fratellino handicappato di 14 anni mentre la madre lavora in una cava vicina per tre euro al giorno. Dopo la morte del padre, i tre hanno condiviso il lavoro per la produzione del pepe e altre colture del loro piccolo terreno che circonda la casa di mattoni rossi situata tra le montagne dello stato indiano di Kerala.

Io e mia madre sapevamo di avere

difficoltà economiche. Sapevo che mio padre aveva chiesto un blade

loan, ma non sapevo quanto la situazione fosse grave”, continua

Neethu in tono pragmatico.

Un blade loan è un prestito

“paga o muori” elargito da usurai locali, spesso con tassi di interesse

esorbitanti. Neethu crede che gli strozzini abbiano minacciato il padre

dicendo che gli avrebbero tolto il terreno se non avesse pagato, ma

lui non ha detto nulla e si è portato le sue ragioni nella tomba.

Il padre di Neethu non era il solo.

Durante gli ultimi dieci anni più di 1700 fattori si sono suicidati

nel distretto di Wayanad nello stato meridionale del Kerala. Tra queste

montagne rigogliose e sempreverdi, a tutt’oggi abitate da elefanti e

tigri selvagge, l’agricoltura è l’unica attività economica per la

maggior parte della popolazione.

Le trappole dei debiti

“si nascondono dietro l’angolo”

L’India produce 50.000 tonnellate di

pepe nero ogni anno, metà del quale viene esportato. Gran parte

del pepe nero indiano che si trova nei nostri supermercati locali potrebbe

provenire da Wayanad e dai distretti vicini.

Nel 2000 i prezzi del pepe sono crollati

provocando un’ondata di suicidi tra gli agricoltori del distretto di

Wayanad. Il pepe è prodotto per la maggior parte da piccole fattorie

che occupano più del 90% della popolazione, ciascuna con circa 1-2

ettari di superficie. Il prezzi concessi agli agricoltori sono stati

ridotti a un quinto in pochi anni. Allo stesso tempo, la produzione

della spezia è diminuita a causa di alcune malattie delle piante.

Gli agricoltori non potevano

saldare i debiti. Alcuni hanno chiesto prestiti di emergenza per coprire

le spese di quelli già esistenti, a volte con un tasso di interesse

superiore al 25%. Nel caso di un mancato pagamento, la banca o il prestasoldi

inviava una lettera intimidatoria. Quel messaggio era il momento cruciale

in cui la maggior parte o si impiccava o si avvelena bevendo i loro

stessi pesticidi”, afferma il direttore Anil Kunar del centro

per l’agro-biodiversità MSSRF di Wayanad.

Oggi il tasso di suicidi è tornato

alla “normalità”. Le ONG locali hanno istituito delle attività

di formazione per aiutare gli agricoltori indebitati o per fornire supporto

finanziario ai restanti membri della famiglia. Il Governo Statale di

Kerala ha elargito cancellazioni di debiti fino a 100.000 rupie (a seconda

della dimensione del prestito) ai piccoli agricoltori. Ma oggi molti

di loro dipendono ancora dai prestiti per sopravvivere.

I debiti sono ancora molto diffusi.

La trappola si nasconde sempre dietro l’angolo. I problemi che gli agricoltori

affrontano non sono cambiati dal periodo dei suicidi”, afferma

John Joseph della WSSS, una ONG locale. “Il problema

è la combinazione tra la volatilità

dei prezzi de pepe, i crescenti costi di produzione e la riduzione dei

raccolti”, dichiara.

Un commercio rischioso

I prezzi del pepe sono tra i più fluttuanti,

secondo Aisha Schol, gestore di sostenibilità aziendale presso la

Fairfood International, un’organizzazione che ha sede in Olanda.

Dichiara: “I piccoli produttori di pepe si trovano in una situazione

davvero vulnerabile. Prima di tutto, coltivano solo pepe nei loro terreni,

quindi il crollo dei prezzi è come uno tsunami per loro. Perdono tutto.

Secondo, il suolo negli anni ha subito l’uso massivo di prodotti chimici,

dai fertilizzanti ai pesticidi. Le malattie e le perdite di raccolto

sono attualmente molto comuni. Di nuovo, possono perdere tutto.”

Nella lontana isola di Bangka nell’arcipelago

indonesiano, gli agricoltori di pepe bianco lottano con la fluttuazione

dei prezzi allo stesso modo dei loro colleghi indiani. L’isola di Bangka

è stata per decenni la più grande produttrice di pepe bianco del paese.

Diddihatono vive con suo figlio, sua

moglie e i rispettivi genitori in una casa del paese fatta di legno

e calcestruzzo. I sette membri della famiglia condividono i profitti

della loro piantagione di pepe.

Non possiamo vivere della sola

produzione di pepe. Per questo io e mio fratello lavoriamo in una piantagione

di alberi della gomma fino a mezzogiorno prima di andare al nostro terreno.

Lo scorso hanno la semina del pepe non ha dato frutto, quindi siamo

andati avanti con i profitti della gomma per molto tempo”, dichiara

Diddihatono.

Diddihatono e Joserin raccolgono in

media dieci chili di gomma al giorno. Prendono 11.000 rupie al chilo,

quindi il loro stipendio quotidiano ammonta a 110.000 rupie, ovvero

quattro euro ciascuno. In un mese ognuno di loro guadagna poco più

del minimo salario stabilito dal Governo dell’isola di Bangka.

Non si può

vivere in modo decente con un livello di salario minimo, non avendo

una famiglia”, afferma Koko Sadmoko. È un giornalista di Reuters

di Bangka ed ha redatto diversi rapporti sulla campagna. “E bisogna

ricordarsi che i prezzi del pepe e della gomma si sono abbassati negli

ultimi anni”, aggiunge.

La famiglia di Diddihatono può

permettersi un solo pasto al giorno. Si tratta sempre di verdure del

loro orto e di riso, che devono comprare. La carne – pesce locale

o pollo – è una rarità e limitata a una volta ogni due settimane.

Santila, la bellissima sorella ventiduenne di Diddihatono, è l’unica

ad aver avuto dei vestiti nuovi lo scorso anno.

Agricoltori vulnerabili

Gli agricoltori indonesiani non lottano

solo con i crolli dei prezzi e i fallimenti dei raccolti. Si trovano

anche in una situazione vulnerabile al momento di trattare con i raccoglitori

locali di pepe che comprano la spezia dai fattori e la vendono ai grandi

esportatori di Pankal Pinang, la capitale dell’isola di Bangka.

Non mi posso permettere fertilizzanti

o pesticidi, ho solo 400 piante di pepe. Ma il mio

‘capo’ me li dà quando ne ho bisogno. Ci aiutiamo a vicenda”,

dice Silan, un agricoltore di 45 anni con un grande berretto rosso e

denti malati e gialli.

Il “capo” è un ricco fattore,

spesso un raccoglitore. Il termine è un’espressione letterale della

relazione asimmetrica tra i piccoli agricoltori e i raccoglitori, una

dipendenza in cui i primi non hanno molta voce in capitolo.

La coltivazione di pepe bianco di Bangka

ha bisogno di soldi. Fertilizzanti, sementi e paletti per permettere

alle piante di pepe di crescere sono necessari e costosi. Anche i pesticidi

sono cari. Nessun piccolo agricoltore se li può permettere, soprattutto

se le colture falliscono o i profitti del raccolto sono inferiori alle

previsioni.

I raccoglitori locali sono spesso anche

coloro che riforniscono gli agricoltori di prodotti chimici. Secondo

l’esperienza di Silan, può trattarsi di un favore. La dipendenza include

anche informazioni sui prezzi del pepe. I raccoglitori sono la unica

fonte di informazione sui livelli dei prezzi per la maggior parte dei

piccoli agricoltori.

In queste zone isolate dell’Indonesia

non si trovano piccoli agricoltori ben informati”, afferma Caecilia

Widyastuti, un’esperta in agricoltura con base a Giacarta. “La

dipendenza dai raccoglitori di estende anche al commercio effettivo.

I coltivatori di pepe non hanno molta influenza a livello commerciale;

il loro potere contrattuale è molto povero e non sono affatto organizzati”,

aggiunge.

I raccoglitori a loro volta dipendono

dai prezzi che viene loro proposto dagli esportatori e non hanno molta

forza contrattuale. Toni Bakar, che lavora per uno dei più grandi esportatori

di pepe dell’isola di Bangka, C.V. Panen Baru, afferma: “Per molto

tempo, la nostra più grande sfida

è stata la pressione del mercato internazionale nella riduzione dei

prezzi del pepe. Noi la trasmettiamo ai nostri fornitori di pepe (i

raccoglitori) che ottengono un prezzo minore. La pressione continua

fino agli agricoltori”, spiega. La compagnia Panen Baru vende

pepe in tutto il mondo.

Il pepe dalle

“montagne del suicidio”

Molti dei famosi marchi di pepe con

base dei paesi occidentali ottengono pepe nero da Kerala e pepe bianco

da Bangka. Alcuni non sembrano impiegare alcuna politica di responsabilità

sociale d’impresa in relazione all’acquisto di pepe. Altri dichiarano

di essere impegnati in relazioni contrattuali di lungo periodo con gli

agricoltori che garantiscono un prezzo decente ai produttori. Una delle

compagnie più grandi dichiara che ha lavorato per anni in base a un

codice etico e che fa visita regolarmente ai fornitori. Aggiunge che

non ha notato difficoltà per i coltivatori di pepe.

Tuttavia, in Indonesia gli esportatori

locali ci dicono che i compratori internazionali difficilmente fanno

domande sulle condizioni sociali ed economiche degli agricoltori. Nella

regione montagnosa dell’India ci dicono lo stesso.

Raju è uno dei tanti intermediari

locali che possiede un negozio costipato di mucchi di pepe nero che

aspettano l’arrivo dei grandi camion per essere caricati nei sacchi

destinati agli esportatori di spezie.

Non faccio affari con gli agricoltori.

Offro il prezzo di mercato. Dopo vendo agli esportatori in base a questo

prezzo. Sono un price taker come lo sono i coltivatori”, afferma

Raju. Non ha mai sentito parlare di grandi esportatori internazionali

che chiedono delle condizioni sociali o economiche degli agricoltori:

Fanno solo domande sul prezzo e sulla qualità”, dichiara

Raju.

Il direttore della ONG WSSS, John Joseph,

conferma quest’immagine: “Durante gli anni dei suicidi i grandi

esportatori hanno visitato il distretto di Wayanad come sempre, ma non

hanno mai mostrato alcun interesse nell’appoggio dei nostri programmi

per aiutare le vittime o prevenire ulteriori morti. Ci hanno semplicemente

ignorato”, afferma.

In India, abbiamo parlato con Sibi

Thomas, vicepresidente della AVT McCormick, una joint venture

tra McCormick Inc., la più grande compagnia di spezie del mondo, e

la compagnia indiana AVT Group. AVT McCormick vende pepe nero a Santa

Maria ed è collegata al marchio inglese Schwartz.

Abbiamo un codice di condotta

per i nostri fornitori e anche un sistema di verifica. In quanto alle

questioni sociali ed economiche, ci concentriamo soprattutto sul lavoro

minorile, le condizioni di lavoro, l’assicurazione mediche per i lavorati,

le disposizioni di legge da seguire”, afferma Sibi Thomas.

Ma le condizioni economiche e sociali

dei coltivatori di pepe non sono incluse. L’attenzione è incentrata

solo sui fornitori che trattano il prodotto. Se i fornitori sono solo

intermediari, il Codice di Condotta e il sistema di verifica non sembra

essere usato.

Il pepe nero occupa solo pochi

gradini nella catena di distribuzione e i fornitori non trattano il

prodotto, quindi il nostro sistema di verifica non viene veramente applicato”,

dichiara Sibi Thomas. Tuttavia, AVT McCormick sostiene i programmi di

formazione.

Non c’è nulla che indichi che

AVT McCormick o le sue aziende siano coinvolte in azioni illecite o

negligenza.

Come

possono agire i consumatori?

La grande domanda

è: se i prezzi continuano a fluttuare in linea con la domanda del mercato

internazionale, come garantire ai coltivatori un introito costante?

Come possono ottenere un prezzo del pepe decente?”, la domanda

viene posta da un esperto di agricoltura e di commercio equo-solidale,

Suraj Padmanabhan, che si risponde: “Una delle risposte potrebbe

essere: pepe equo-solidale”.

Esistono già alcune iniziative

di commercio equo-solidale. La Fairtrade Alliance Kerala è presieduta

dal direttore Tomy Matthews della compagnia Elements. “Abbiamo

creato la FTA Kerala nel 2005 a causa del crollo dei prezzi delle sementi,

dei debiti dei coltivatori e delle malattie delle piante. 3600 agricoltori

hanno ricevuto la certificazione di

commercio equo-solidale l’anno dopo”, dichiara Matthews.

Nel 2010 il prezzo del pepe per

gli agricoltori si aggirava sulle 110-140 rupie (circa 2 euro) al chilo.

Abbiamo fissato il nostro prezzo minimo di Fairtrade a 175 rupie (circa

2,5 euro) al chilo. Ora i prezzi del pepe sono schizzati ben oltre del

prezzo di Fairtrade. Ma potrebbero crollare in ogni momento”,

aggiunge.

Ma nonostante la presenza di alcune

iniziative di commercio equo-solidale, queste non costituiscono la maggior

parte della produzione del distretto di Wayanad, secondo il dottor.

Anil Kunar della MSSRF: “Si potrebbe notare una richiesta di commercio

equo-solidale, ma gli esportatori vogliono comprare grandi quantità.

Non si disturbano a distinguere tra pepe normale e pepe equo-solidale.”

Nell’isola indonesiana di Bangka, abbiamo

chiesto a tutti coloro che abbiamo incontrato nel campo del pepe se

sapessero qualcosa di commercio equo-solidale. Nessuno ha mai sentito

parlare del concetto.

Tra le montagne del Wayanad, la esile

Neethu dai grandi occhi bruni non vuole lavorare in una cava come sua

madre. Vuole studiare e trovare un lavoro migliore. Lo stesso vale per

moltissimi figli di piccoli agricoltori.

Hanno bisogno di soldi per realizzare

i loro sogni, sia che provengano dai prestiti bancari dei loro genitori

o dalle entrate stabili delle loro piantagioni di pepe. Se cercano consiglio

nelle statistiche del mercato, una cosa è sicura: non possono sapere

con certezza se i prezzi saliranno o crolleranno, nemmeno di quanto.

Ma possono sapere per certo che saranno i primi e i più colpiti dalle

fluttuazioni.

***************

DanWatch è un centro di ricerca danese che si occupa

di giornalismo investigativo sull’impatto delle grandi imprese sugli

umani e sull’ambiente in tutto il mondo

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Fonte: Pepper: how our favourite spice is tainted by a deadly legacy

25.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO

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