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La Redazione

 

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MAREMOTO. STATI UNITI E MOLTI TACCAGNI

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A cura di Davide
Il 3 Gennaio 2005
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DI MARCO D’ERAMO

Negli album di Topolino che leggevamo da bambini Paperone era tirchio sì, però non ci pareva così crudele, tranquillamente inumano come invece si presenta al mondo il paperone in carne e ossa che domina il pianeta terra. Ma Walt Disney non poteva prevedere che il suo personaggio, sempre a tuffarsi in piscine colme di monete d’oro, avrebbe prefigurato l’impero più potente e più tirchio della storia umana. A usare il termine “tirchio” (stingy) è stato pochi giorni fa Jan Egeland, il coordinatore per le emergenze delle Nazioni unite: si riferiva ai munifici oboli che le nazioni occidentali stanno elargendo ai paesi asiatici devastati dallo tsunami a Natale. All’inizio, il presidente degli Stati uniti George W. Bush ha annunciato fiero un’elemosina di 15 milioni di dollari (11 milioni di euro). Dopo l’accusa di tirchieria, facendo forza su se stesso, ha allargato i cordoni della borsa fino a un prodigo gruzzoletto di 35 milioni di dollari (27 milioni di euro). Il fatto è che l’Iraq costa agli Stati uniti tra i 200 e i 300 milioni di dollari al giorno! La generosità della Casa bianca, il suo compassionevole conservatorismo , stanziava perciò l’equivalente del costo di tre ore di occupazione dell’Iraq. Ma le polemiche non si placavano e così Bush ha rilanciato – “stavolta non bado a spese” – fino a 350 milioni di dollari, poco più di un giorno d’occupazione . Né è questo il solo paragone che grida vendetta al mare.Gli organizzatori dei festeggiamenti per il reinsediamento di Bush alla Casa bianca, il 20 gennaio prossimo, si prefiggevano l’obiettivo di raccogliere fondi per 40-50 milioni di dollari. Le prime offerte americane equivalevano perciò a un terzo del costo dei ricevimenti: non bastavano nemmeno per pagare i camerieri (molti dei quali vengono con ogni probabilità dall’Asia sud-orientale). Con l’ultima offerta ci si pagano sette festeggiamenti, ma solo se si risparmia sullo champagne. Non è finita. I candidati alle elezioni presidenziali dello scorso novembre hanno raccolto più di 1 miliardo di dollari per la loro campagna presidenziale, per comizi, manifesti, spot tv e radio: il triplo di quello che gli Stati uniti promettono ai cinque milioni di sfollati e ai parenti dei 150.000 morti. È però vero che i pescatori del Tamil Nadu non votano in Ohio.

D’altra parte tra i dispersi dello tsunami ci sono anche tutti gli esponenti del partito democratico. Magari non erano in vacanza a Pukhet, ma certo è che da quando questa tragedia si è abbattuta sull’umanità, brillano per modestia, silenzio e compunzione: non una parola da quel John Kerry che all’indomani della sconfitta ci prometteva pugnace: “La lotta continua!” e che forse ora sta sciando. Disapparecido anche il suo socio, il civettuolo John Edwards che pure avrebbe qui l’occasione di constatare che non solo ci sono “le due Americhe” (era il suo slogan durante la campagna), ma ci sono anche “le due umanità”, quella la cui morte di massa non conta niente, l’altra la cui singola vita è preziosa e ha un nome e cognome. Tacciono la senatrice Hillary Rodham Clinton, il suo (ex?) consorte Bill. È silente Terry McAuliffe, il potentissimo (ex) coordinatore democratico e artefice della clamorosa sconfitta elettorale di Kerry. Né protesta contro la tirchieria governativa l’astro nascente della politica democratica, il neo senatore dell’Illinois, Barack Obama, figlio di un africano e di una bianca dell’Iowa. Irreperibile, fino alle ultime notizie anche Ralph Nader che continua a scrivere la sua rubrica settimanale “In the Public Interest” (consultabile sul sito Commondreams.org). Né pare che Michael Moore stia progettando un nuovo documentario su Aceh e le Andamane. Sul fronte repubblicano è comprensibile il riserbo del già taciturno vice presidente Dick Cheney, visto che lo tsunami non ha colpito gli interessi dell’Halliburton né delle grandi compagnie petrolifere. Tace modesto anche Ronald Rumsfeld, ministro della Difesa (ma non si sa per quanto ancora) e responsabile della gestione di 450 miliardi di dollari: quando una tale somma (superiore alle spese militari di tutto il resto del mondo messo insieme) è destinata al bilancio annuo del Pentagono (Iraq escluso), non si possono certo destinare cifre inconsulte per alleviare le sofferenze di qualche centinaio di milioni di diseredati. Prevedibile anche la difesa d’ufficio degli Stati uniti da parte del ministro degli esteri uscente, Colin Powell, che sembra votato fino all’ultimo a prendere su di sé l’onere di dimostrare l’inverosimile: due anni fa che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein erano una pistola fumante puntata sulla tempia del mondo intero, oggi che gli Usa sono la potenza più generosa del mondo: a Powell ha risposto il 30 dicembre un editoriale del “New York Times” intitolato “Siamo tirchi? Ebbene sì”: “Per l’aiuto allo sviluppo, nel 2003 l’America ha dato 16,2 miliardi di dollari, mentre l’Unione europea ne ha dati 37,1 miliardi. Nel 2002 queste cifre erano di 13,2 miliardi per gli Usa, e di 29,9 miliardi per l’Ue”.

Notevole invece il riserbo di Condoleeza Rice, ex consigliera per la sicurezza nazionale e futura segretaria di stato. Lei a cui la Chevron aveva dato il nome di una superpetroliera, aspetta di diventare una corazzata della diplomazia, ma nel frattempo si guarda bene dall’incrociare nell’Oceano indiano. È dato per disperso anche John Ashcroft, il fondamentalista cristiano che per quattro anni è stato ministro della giustizia calpestando ogni garanzia costituzionale in nome dei valori religiosi. Sulla fede in dio e sulla difesa della vita si era d’altronde basata la mobilitazione di massa che il tre novembre scorso consegnò la vittoria a George Bush. Devono essere questi i valori morali su cui tanto hanno insistito i repubblicani durante la campagna elettorale. È un prodigio della teoria economica neoclassica la fulminea rapidità con cui si svaluta il valore della vita umana quando passa da un feto nordamericano di cui si vuole vietare l’aborto a un bambino srilankese travolto dai flutti.Se è per questo, i Chicago boys e i teorici delle aspettative razionali ancora non riescono a spiegarsi come mai la stessa svalutazione avviene quando a morire non è più un pensionato Usa ma una cameriera d’albergo thailandese: i morti provocati quest’anno in Florida da quattro uragani (Charlie, Jean…) si sono contati a decine, non a centinaia di migliaia, eppure il 9 ottobre il senato degli Stati uniti ha approvato uno stanziamento di 11,6 miliardi di dollari per finanziare la ricostruzione. Cioè più di trenta volte di quel che Washington offre a Indonesia, Thailandia, India, Sri Lanka.

La stessa straordinaria generosità emana dalle grandi corporations. La Coca Cola offre 10 milioni di dollari: vale la pena ricordare che nel 2003 il suo utile lordo è stato di 5,5 miliardi di dollari (ha cioè regalato meno dello 0,2 % del suo utile). Il colosso farmaceutico Pfizer (che produce tra l’altro il Viagra) regala 10 milioni di dollari cash e 25 in medicine, ma il suo utile netto è stato nel 2003 di 3,9 miliardi di dollari e nel 2004 è cresciuto.La lista delle elemosine è lunghissima, ma due esempi sono illuminanti: la Nike ha regalato ben un milione di dollari, una prodigalità quasi insensata per una corporation che nel 2004 ha dichiarato utili operativi per 1,6 miliardi di dollari, non solo, ma che questi utili li ricava in gran parte dal lavoro dei suoi operai e delle sue operaie thailandesi che lo tsunami ha falcidiato nei giorni scorsi. Anche La General Electrics ha offerto munifica un milione di dollari: ora la General Electrics (Ge) ha avuto nel 2003 un utile netto di 16 miliardi di dollari, cioè in questi giorni ha regalato munifica un sedicimillesimo del suo reddito. Come se uno di noi, che guadagna sedicimila euro netti l’anno, avesse dato in aiuto un euro. Non solo, ma la Ge pagava al suo mitico amministratore delegato Jack Welch 123 milioni di dollari l’anno, 123 volte di più quel che ha regalato ai milioni di senzatetto asiatici. D’altronde lo stipendio medio annuo di ogni singolo amministratore delegato statunitense è più di 37 milioni di dollari, più di quanto avesse offerto Bush dopo che era stato messo alle strette.

A confronto con questi statunitensi (ma gli europei non sono molto lontani), Arpagone, l’avaro di Molière, era uno scialacquatore. Il bello (si fa per dire) è che invece gli americani si sentono generosissimi e accusano il loro governo di spendere troppo in aiuti. Sempre a quanto dice l’editoriale del “NY Times” più su citato, “secondo un sondaggio, la maggioranza degli americani crede che gli Stati uniti spendano il 24% del loro bilancio federale in aiuto ai paesi poveri; mentre in realtà spendono meno di un quarto dell’un per cento (meno del 2,5 per mille)”.Quest’errore di percezione è comprensibile se si misura la distanza tra le parole e la realtà: nel 2000 Bush promise un fondo di assistenza allo sviluppo dell’Africa di 5 miliardi di dollari; non un solo verdone è stato speso finora. Ma i poveri cittadini si devono affidare alle parole che ascoltano, visto che non possono verificare i fatti. Eppure non è sempre stato così. Gli Stati uniti erano famosi per l’arroganza, le americanate, la rudezza, la violenza, ma non per la tirchieria. Uccidevano magari in Vietnam, ma spendevano e spandevano. Nel mondo si erano fatti addirittura un’immagine di generosità, grazie al piano Marshall dopo la seconda guerra mondiale e a una ben congegnata campagna propagandistica durante la guerra fredda. Gli Stati uni sembravano aver capito che gli imperi non sono a buon mercato e che in ogni caso non si costruiscono al risparmio. Oggi, l’avidità ha il sopravvento sulla lungimiranza politica e sull’accortezza diplomatica. E quella salutare lezione sembra dimenticata. Lo è a Baghdad, dove l’ostilità degli iracheni molto è dovuta alla taccagna parsimonia delle forze di occupazione; lo è in Indonesia che oggi riceve briciole pur se era un tempo l’enfant cheri del Pentagono, grato all’allora dittatore Suharto che negli anni `60 uccise mezzo milione di comunisti, quanto tre tsunami messi insieme.
 

Marco D’Eramo
Fonte:www.ilmanifesto.it
3.01.05

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