MA CHI CONDANNA I CRIMINI DI ISRAELE?

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Dal blog Palestina Libera!

Lunedì 17 aprile un vile attentato kamikaze a Tel Aviv ha provocato nove vittime, sei israeliani, due immigrate rumene e una turista francese, mentre – alla data odierna – altre 28 persone risultano ricoverate in ospedale, di cui due in gravi condizioni.

Nonostante gli inviti in tal senso da parte degli alti comandi militari, e nonostante la Jihad islamica abbia affermato di avere a disposizione ben 70 kamikaze pronti a colpire, il governo israeliano ha responsabilmente deciso di evitare azioni di ritorsione su vasta scala, limitandosi a portare avanti la politica delle eliminazioni “mirate”.

Questo è il quadro della situazione che veniva delineato nei giorni successivi dai principali mezzi di informazione del mondo occidentale su quanto accaduto in Israele, ma la realtà è alquanto diversa.

Molto più vicino allo stato reale delle cose è apparso, invece, il commento a caldo del Ministro degli Interni palestinese Saeed Seyam, il quale ha affermato: “noi non siamo una grande potenza che può fronteggiare gli aerei e i missili dell’occupazione, ma la nostra gente ha la volontà e il diritto di difendersi…”.

Se da una parte, infatti, l’attentato kamikaze – come ogni forma di azione violenta rivolta contro civili innocenti e indifesi – è un atto particolarmente odioso, immorale ancor prima che illegittimo, è d’altro canto indubbio che l’attentato di Tel Aviv rappresenta una risposta (sbagliata nei metodi ma) perfettamente legittima e prevedibile a fronte della serie di incursioni, raid aerei, assassinii “mirati”, cannoneggiamenti e quant’altro, posti in essere dall’esercito israeliano. pressoché in maniera ininterrotta, dall’inizio dell’anno ad oggi.

D’altronde i numeri parlano in maniera chiara e inequivoca: dal 1° gennaio al 17 aprile 2006, l’esercito israeliano ha ucciso ben 95 Palestinesi e ne ha feriti 373 (dati ricavabili dal sito web della Mezzaluna rossa), molti di essi civili innocenti, donne, bambini; di contro, in due attacchi suicidi e in due azioni isolate, sono morti 15 israeliani (il dato aggiornato relativo ai feriti non risulta disponibile).
In confronto allo stesso periodo dello scorso anno, salta subito agli occhi l’incremento del numero e della ”qualità” delle incursioni dell’esercito israeliano, considerato che, nei primi quattro mesi del 2005, i morti palestinesi erano stati “solamente” 85 e i feriti 302.

Alla luce di questi dati non dovrebbe sussistere dubbio alcuno su chi sia l’aggressore e chi l’aggredito, e d’altra parte appare davvero un inconcepibile sovvertimento della realtà dipingere Israele come la nazione aggredita anziché come una potenza occupante che usa il proprio strapotere finanziario, tecnologico e militare per devastare i territori palestinesi e massacrarne la popolazione.

Eppure, una volta ancora, di fronte ad azioni identicamente odiose quali l’uccisione di civili innocenti, la comunità degli stati occidentali – come per una sorta di riflesso pavloviano – adotta diversi metri di giudizio e di comportamento, da un lato criticando aspramente e chiedendo abiure ai Palestinesi, dall’altro rimproverando blandamente e solo in qualche caso sporadico, con formule talora semi-assolutorie, gli Israeliani.

Così l’attentato di Tel Aviv è stato condannato – con toni più o meno aspri – dagli Usa (“Si tratta di uno spregevole atto di terrorismo per il quale non c’è scusante né giustificazione” – Scott McLellan, portavoce della Casa Bianca), dall’Unione europea, dal Ministro degli esteri inglese Straw, dal Presidente francese Chirac, dalla Santa Sede, dalla Russia, dalla Germania, dall’Italia, dalla Danimarca, dal Giappone, dall’Onu, e scusate se ho dimenticato qualcuno.

Spiace e sorprende, soprattutto, la posizione assunta da Papa Benedetto XVI in questa vicenda.

Il Santo Padre, infatti, ha condannato l’azione del kamikaze palestinese, esprimendo “la più ferma condanna per tale atto terroristico” e rilevando, altresì, che “non è con simili esecrabili atti che si possono tutelare i pur legittimi diritti di un popolo”.

Ora, si potrebbe dire ben a proposito, si tratta di “parole sante”, che si ricollegano tra l’altro all’esternazione di qualche giorno prima, in cui il Papa esortava la comunità internazionale ad attivarsi per far sì che i Palestinesi possano avere un proprio Stato indipendente.

Ma, ancora una volta, manca clamorosamente una ferma ed esplicita condanna degli assassinii e dei crimini commessi da Israele nei Territori palestinesi, e non se ne comprende la ragione, considerato che nel solo mese di aprile, e cioè in poco più di due settimane, Tsahal ha ucciso e/o ferito Palestinesi in numero superiore al doppio dei morti e dei feriti dell’attentato di Tel Aviv; naturalmente, a meno di dover supporre che il valore di una vita umana sia differente in rapporto alla religione professata.

Ma, d’altronde, non è che in questi mesi alcuno si sia sprecato più di tanto nel condannare le prodezze dell’esercito israeliano, nemmeno nei casi più gravi ed evidenti di crimini di guerra, nemmeno nei casi di bambini uccisi mentre giocavano in strada, mentre vagavano nei pressi del confine tra Israele e la Striscia di Gaza perché si erano persi, mentre stavano a casa cercando vanamente un riparo dall’inferno scatenato dall’artiglieria di Tsahal, nemmeno in tutti quei casi di assassinii di civili innocenti di cui il paziente lettore potrà trovare testimonianza in questo blog.

E dire che di gravi misfatti da imputare agli ebrei d’Israele ce ne sarebbero tanti.

Lasciamo per un attimo da parte gli assassinii cd. “mirati”, che pure costituiscono pratica vietata dal diritto internazionale, in quanto costituiscono delle “executions without a trial” – esecuzioni sommarie di militanti palestinesi compiute senza darsi la pena di presentare al mondo uno straccio di prova o di affrontare la noia di un processo, e che rappresentano dei veri e propri crimini di guerra quando – come quasi sempre accade – coinvolgono civili innocenti che si trovavano per puro caso sul luogo dell’azione.

E lasciamo da parte anche quell’atroce modus operandi di Tsahal che consiste nello sparare a vista contro chiunque entri nella zona adiacente al confine tra la Striscia di Gaza e Israele, senza distinguere tra civili ed uomini armati – pratica questa di cui abbiamo già parlato (vedi in proposito http://palestinanews.blogspot.com/2006/04/il-muro-della-morte.html) e che pure costituisce, a giudizio di chi scrive, un vero e proprio crimine contro l’umanità.

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[Un murales sulla “barriera di sicurezza”]

Ma l’azione più brutale, spietata e bestiale che l’esercito israeliano compie quotidianamente a danno della popolazione civile palestinese è senz’altro il bombardamento indiscriminato della Striscia di Gaza, con l’artiglieria da terra, i missili dal cielo e, sulle coste e nel mare territoriale, con cannoneggiamenti navali.

In proposito, pare che la comunità internazionale prenda per buona la giustificazione di Israele, secondo cui i bombardamenti sono necessari per cercare di fermare il lancio di razzi Qassam dalla Striscia verso il territorio israeliano.

Ma si tratta di una vergognosa fandonia.

Secondo un recente rapporto di un organismo dell’Onu, l’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), nel periodo compreso tra il 29 marzo ed il 12 aprile Israele ha sparato verso la Striscia di Gaza ben 34 missili aria-terra e oltre 2.300 colpi di artiglieria pesante, pari a più di 150 al giorno (ma vi sono numerosi testimoni, tra cui Conal Urquhart del giornale inglese The Guardian, che parlano anche di trecento colpi di artiglieria al giorno).

Questo bombardamento indiscriminato – concentrato soprattutto intorno alle zone di Beit Lahia, Beit Hanoun e del campo profughi di Jabalia – ha provocato la morte di 17 Palestinesi, tra cui due bambini di 5 e 8 anni, ed il ferimento di altre 62 persone, tra cui una donna incinta e 11 bambini.

Di contro i Palestinesi, nello stesso arco di tempo, hanno lanciato 67 razzi Qassam contro il territorio israeliano (circa 5 al giorno), provocando … un ferito!

E’ dunque, ancora una volta, è la cruda realtà delle cifre a svelare la colossale menzogna secondo cui i bombardamenti israeliani sarebbero un atto di autodifesa, una semplice “risposta” al lancio dei razzi Qassam che invece, come abbiamo visto, sono in realtà poco più pericolosi di un fuoco d’artificio.

Si tratta, piuttosto, di una delle più massicce e brutali “punizioni collettive” cui sia dato di assistere ai giorni nostri, a danno di una popolazione civile assolutamente innocente e indifesa.

Ai morti e ai feriti, infatti, devono aggiungersi i danni psicologici causati, soprattutto ai bambini, dai continui bombardamenti e dalle cd. “sonic bombs”, il pericolo costituito dai proiettili inesplosi, la distruzione di strade, ponti e altre infrastrutture costruite con gli aiuti internazionali che, ironia della sorte, rischiano ora di essere sospesi.

E se a ciò si aggiunge la gravissima crisi alimentare ed umanitaria causata dalle continue chiusure dei valichi di frontiera e dalla mancata attuazione da parte israeliana degli accordi relativi a Rafah, si ha un quadro preciso del bestiale e disumano trattamento che gli ebrei riservano agli internati nel campo di concentramento di Gaza.

Tutto questo integra, senza dubbio alcuno, la fattispecie del crimine contro l’umanità quale delineato nella giurisprudenza internazionale, laddove si consideri che i bombardamenti e i raid aerei contro la Striscia di Gaza rappresentano un attacco sistematico contro una popolazione civile indifesa, condotto secondo un piano preordinato e con la consapevolezza assoluta dei morti, dei feriti e dei danni provocati ai Palestinesi.

Su quest’ultimo punto non deve sfuggire, infatti, che l’alto numero di civili uccisi nel corso dei bombardamenti è una diretta conseguenza della decisione politica di ridurre la distanza di sicurezza tra gli obiettivi da bombardare e gli insediamenti di civile abitazione da trecento a cento metri.

Una tale decisione – presa dal Ministro della difesa Mofaz e dalla banda di criminali che siede al governo di Israele – mette senza alcun ragionevole dubbio in pericolo la sicurezza dei civili palestinesi, ove si consideri che il raggio letale di un colpo di artiglieria è pari, per l’appunto, a circa 100 metri.

Questi criminali andrebbero portati senza indugio dinanzi alla Corte penale internazionale, ed invece persino una blanda risoluzione di condanna da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è stata bloccata dal veto preventivo dell’ambasciatore Usa John Bolton, il quale l’ha ritenuta “sproporzionatamente critica nei confronti di Israele”.

Davanti a questo quadro drammatico e sconsolante sembra naturale chiedersi – come ha fatto Gideon Levy sull’israeliano Ha’aretz – “who is a terrorist”?

Ma, a fronte di una situazione in cui la comunità internazionale (o meglio, i Paesi che contano) non solo ha dismesso ogni parvenza di “honest broker” nel conflitto israelo-palestinese, ma fallisce clamorosamente persino nel difendere l’incolumità fisica e i più elementari diritti umani dei Palestinesi, appare comprensibile – pur se assolutamente non condivisibile – la scelta di un kamikaze come quello di Tel Aviv, un viso da fanciullo sicuramente più giovane dei 21 anni dichiarati.

E se da una parte non possiamo che condannare e ripudiare ogni forma di violenza a danno di civili ignari ed incolpevoli, dall’altra possiamo certamente capire le ragioni di chi sceglie di morire da “martire” piuttosto che da coniglio terrorizzato, accucciato in un angolo della propria casa in attesa di un colpo di artiglieria che ponga fine ad ogni sofferenza ed al terrore quotidiano.

Vichi
Fonte: http://palestinanews.blogspot.com
Link: http://palestinanews.blogspot.com/2006/04/ma-chi-condanna-i-crimini-di-israele.html
20.04.2006

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