L'OSSIMORO DELLA SPESA PUBBLICA

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DI DOMENICO DE SIMONE
nuovaeconomia.blogosfere.it

In un articolo recentemente pubblicato sul NYT (la traduzione in italiano la trovate su ComeDonChisciotte ), Paul Krugman sostiene che se la situazione dell’economia mondiale non è ancora finita nel baratro della recessione prolungata come quella del ’29, lo si deve al differente atteggiamento dei Governi e in particolare di quello degli Stati Uniti, che hanno sostenuto la domanda con forti iniezioni di spesa pubblica.

Nel 1929, il Governo assunse invece l’atteggiamento opposto di risparmiare sulla spesa e questo aiutò il tracollo. Oggi, invece, l’amministrazione Obama, pur criticabile per l’insufficienza del programma di intervento adottato, non ha contratto la spesa rifiutando le critiche di chi sostiene, soprattutto da parte repubblicana, che lo Stato deve dare ai cittadini l’esempio riducendo notevolmente il proprio budget di spesa sugli interventi.

Nella foto: Chicago, Michigan AvenueKrugman è un economista intelligente e di grande carisma, ma devo dire che questa volta è stato anche sfortunato. Perché, infatti, proprio oggi compare la notizia che la città di Chicago, una delle più importanti degli USA, è costretta a chiudere i battenti dei propri servizi, riducendo all’osso anche quelli essenziali, perché non ha i soldi per pagarli. Sanità – tranne le emergenze-, trasporti, servizi amministrativi, raccolta spazzatura, tutto fermo. A rischio anche il servizio locale di polizia. Gli impiegati a casa senza stipendio, oggi e per ancora altri giorni in futuro. Con il crollo delle entrate fiscali, legate per lo più alle tasse sulla casa, il Comune non è in grado di pagare gli stipendi e le altre spese.

Rampini su Repubblica riferisce che anche in molte altre città degli USA la situazione è al collasso e sta causando drastici tagli ai bilanci dei Comuni a cominciare dalla riduzione del personale. È nota, poi, la gravissima situazione di dissesto dello Stato della California che ha esaurito i fondi e sta pagando con cambiali che forse in futuro, se le cose andranno meglio, saranno onorate. Peggio di un qualsiasi nostro comune dissestato e commissariato per debiti.

Tuttavia, Krugman ha ragione. Senza la spesa corrente dello Stato (e in fondo è quello che ripete la Marcegaglia al Governo da qualche mese, solo che da noi non c’è più una lira), il crollo della domanda di consumo sarebbe stato ben peggiore e le conseguenze più devastanti. Krugman le misura in circa un milione di disoccupati in più, che nella situazione attuale fanno la differenza tra una crisi gravissima e un disastro. Ha ragione, ma questo non significa che il sistema vada necessariamente in quella direzione, come dimostrano le ultime notizie.

Anche in Giappone l’incremento del PIL sostenuto dalla spesa pubblica ha provocato il panico in borsa . Per la semplice ragione che quella spesa dovrà pure essere pagata da qualcuno e se l’economia non riparte ci saranno meno tasse da incassare per pagare il debito e quindi un avvitamento peggiore della crisi. È la stessa considerazione che ha seminato la paura nelle borse occidentali nella giornata di oggi . La domanda è: dove si prendono le risorse per pagare il debito che gli stati stanno contraendo per sostenere l’economia? Lo so che negli articoli che ho linkato c’è scritto altro: che la borsa giapponese scende per l’apprezzamento dello Yen e quelle occidentali forse per prese di beneficio. Ma chiedetevi peché le borse sono scese proprio subito dopo la diffusione di dati apparentemente confortanti sui PIL in Europa e in Giappone e la risposta apparirà in tutta chiarezza. Non è vero che i traders non pongano attenzione ai fondamentali dell’economia, anzi.

E allora torniamo alla domanda. Chi paga e con quali risorse? La risposta non è affatto chiara. Che tasso di incremento del PIL sarà necessario per far fronte al mare di debiti contratti dagli Stati? Quello giapponese è palesemente insufficiente e in Europa non si sa nemmeno se si tornerà davvero in positivo. E se negli USA la spesa pubblica si riduce, andrà anche peggio.

Ma proviamo anche ad analizzarla a fondo questa domanda. È davvero una domanda sensata o stiamo ragionando intorno all’uovo e alla gallina? Perché vedete, fino agli anni sessanta la spesa pubblica era considerata un puro costo che gravava sulla produzione nazionale. Ad un certo punto ci si è accorti che continuando di quel passo, vista la crescita del settore dei servizi, la produzione nazionale sarebbe stata minore del costo dei servizi. Questo avrebbe dovuto significare impoverimento della collettività, mentre l’evidenza diceva esattamente il contrario. Insomma, i servizi sono entrati di colpo nel novero della Produzione nazionale che da allora è stata classificata come PIL, che comprende il valore di tutti i beni e i servizi prodotti. Comprende quindi anche la spesa pubblica, e non solo quella in conto investimenti, ma anche la spesa corrente. Nella formula che descrive il PIL la spesa pubblica è in genere identificata con la lettera G (che sta per Government). Insomma, come ha dimostrato Keynes ormai quasi ottant’anni fa, la spesa pubblica produce ricchezza in misura adeguata al moltiplicatore applicabile al tipo di spesa. Per fare questa spesa, però, occorre trovare le risorse, che in genere sono costituite da strumenti finanziari. Perché non c’è dubbio che le risorse umane (impiegati e operai) ci sono e per erogare servizi le risorse materiali sono pressoché irrilevanti (mentre per produrre acciaio o ceramiche sono essenziali).

E allora proviamo a chiederci che cosa sono queste risorse finanziarie essenziali per la spesa pubblica, che una volta effettuata produce ricchezza nella misura del moltiplicatore. Diciamo che una spesa di un milione ne produce almeno due in termini di ricchezza (spero che Keynes perdoni la mia rozza semplificazione, ma è giusto per dare un’idea). In che cosa consiste, dunque, quel milione senza il quale la spesa pubblica non si può fare? A Keynes sembrava davvero assurdo che per trovare quel milione fosse necessario mettersi a scavare sotto terra, trovare dell’oro, estrarlo e pulirlo, coniarlo in monete con cui pagare gli impiegati e gli operai che poi avrebbero creato ricchezza con il proprio lavoro e nel frattempo giravano i pollici nell’attesa. Se con quel lavoro si crea ricchezza, non sarebbe stato più logico e più semplice, metterli al lavoro da subito senza fargli aspettare tutta la trafila dell’estrazione del prezioso metallo che tutto può? Ma che nulla ottiene, se ricordiamo quel che dell’oro ci dice il mito di Re Mida? Sarebbe come aspettare di vincere il superenalotto per iniziare un’attività in cui tutto è pronto e in grado di funzionare perché è stato creato da noi stessi. Le probabilità di trovare una nuova minera sono praticamente identiche.

Insomma, se un ente pubblico possiede strutture organizzative, risorse umane e materiali sufficienti, per quale ragione non può funzionare? Keynes risolse il problema con il debito pubblico. Lo Stato garantisce che pagherà a chi gli presta i soldi poiché la sua attività genera più ricchezza di quella che impiega. Ma perché c’è bisogno di qualcuno che presti i soldi (in genere le banche) se le risorse per il lavoro e la produzione della ricchezza stanno già tutte lì, a disposizione dell’ente? Non è esattamente come andare a scavare per terra per trovare l’oro necessario a coniare le monete, quando quell’attività si giustifica da sola, perché produce ricchezza?

Ma insomma, la spesa pubblica, produce ricchezza o no? O meglio, essa è ricchezza in sé o la consideriamo ancora un costo, come cinquant’anni fa? Perché non può essere che per certi versi è uncosto che deve essere sostenuto dalla tasse e per altri versi è una componente della produzione di ricchezza nazionale. E che quando serve a spaventare produce debito, mentre quando deve rassicurare diventa ricchezza. Hanno ragione gli speculatori delle borse che si fanno prendere dal panico perché domani non ci saranno i soldi per i debiti, o ha ragione Krugman e il governo che facendo spesa hanno in qualche modo limitato i danni creati proprio da quelle speculazioni? E se non avessero fatto spesa pubblica ci troveremmo adesso nel baratro di una crisi economica e sociale probabilmente irreversibile (e non è detto affatto che non ci si finisca lo stesso). Quando poi, tutte le risorse produttive ci sono e sono certamente sovrabbondanti?

Perché poi lo stesso ragionamento vale per le attività delle imprese private, che producono anch’esse debito, e per il consumo delle famiglie, che pure genera debito. Insomma, qualsiasi cosa fai per creare ricchezza si genera debito che produce interessi che finiscono nelle banche. Non a caso le Banche sono praticamente proprietarie della maggior parte della produzione mondiale di beni (ad esempio del 90% di tutta la produzione chimica del mondo). E sono anche proprietarie di più del 100% delle risorse delle famiglia americane, che in pratica lavorano per pagare gli interessi sui prestiti.

Ma soprattutto decidono se il Comune erogherà o meno il servizio dell’asilo nido o del centro anziani, o della raccolta della spazzatura o dell’emissione dei certificati. E questo nonostante ci siano insegnanti, maestri, spazzini, impiegati e strutture in grado di lavorare subito senza avere alcun viatico se non la remunerazione del loro lavoro. Che però dato che produce ricchezza, si remunera da solo, senza bisogno di nessuno, basterebbe solo contare quanta ricchezza si è prodotta e remunerare con essa le attività effettuate. In fondo un impiegato, uno spazzino un insegnante, vogliono soddisfare le esigenze di tutti: una casa (e ce ne sono tante), cibo e vestiti (la cui produzione è da decenni cronicamente eccedente), divertimenti e relativi strumenti (e pure qui la produzione è per definizione in eccesso). Quindi i mezzi per pagarli ci sono, però se qualcuno non si indebita non ci sono più.

Ma insomma, perché dobbiamo fare debiti per vivere e lavorare ?

Domenico De Simone
Fonte: http://nuovaeconomia.blogosfere.it
Link: http://nuovaeconomia.blogosfere.it/2009/08/lossimoro-della-spesa-pubblica.html
17.08.2009

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