di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Ci sono cose talmente ovvie che, quando presentate sistematicamente in maniera errata dai giornali o da qualche fenomeno del web, molti di noi arrivano poi ad accettarle come verità.
Riguardo al tema inflazione, quante volte leggiamo nei titoli dei canali informativi frasi del genere: “scende l’inflazione” oppure “l’inflazione è calata” – bene, tale affermazione è errata sia a livello di segno matematico che, se non altro, per un corretto uso di quella che è la terminologia della lingua italiana riguardo al significato delle parole.
E’ bene essere chiari fin da subito sul fatto che l’inflazione, per sua stessa natura, non contempla il segno meno davanti alla percentuale che ne identifica l’intensità e quindi, non può mai – e in nessun caso – scendere.
Casomai può scendere il tasso di inflazione, ovvero il grado di intensità con cui l’inflazione sale.
A fronte di un calo del tasso di inflazione nelle rilevazioni, il termine esatto da usare per identificare tale andamento è decelerazione.
In poche parole, può salire di meno, ma sempre di una salita si tratta e mai di una discesa!
La discesa del livello dei prezzi – in dottrina economica – ha un altro nome ben preciso, si chiama deflazione.
Il presente assunto, ovvio per molti ma non per tutti, è facilmente dimostrabile partendo dalla definizione di quello che è appunto il tema trattato, dicesi inflazione:
l’aumento prolungato del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi in un determinato periodo di tempo, che genera una diminuzione del potere d’acquisto della moneta.
La parola chiave è “aumento“, quindi nella definizione del termine, siamo all’interno del segno matematico più (+). Ed in questo ambito, il fenomeno si muove, sempre in maniera crescente.
L’altra parola chiave è livello dei prezzi, ovvero quello che l’inflazione misura e, come detto, ne misura solo ed esclusivamente la crescita (aumento).
Se per esempio la rilevazione del tasso di inflazione rispetto al mese precedente è +10% ed il mese successivo scende a +5% – non siamo in presenza di una discesa del livello dei prezzi (deflazione), ma ci troviamo di fronte ad un aumento che ha solo ridotto la sua intensità di crescita, che in gergo tecnico possiamo chiamare disinflazione, ma stante il permanere dell’aumento dei prezzi, siamo sempre nel campo del fenomeno inflattivo.
Fatto 100 il livello dei prezzi a gennaio, se il tasso di inflazione è +10%, i prezzi vanno a 110; se poi a febbraio il tasso di inflazione va a +5%, i prezzi vanno a 115,50; quindi i prezzi salgono (inflazione), non scendono di certo!
Per fare in modo che il livello dei prezzi scenda dal supposto dato consolidato di gennaio, dovremmo avere una percentuale con segno negativo (-1%/-2% etc.), ovvero il presentarsi della cd deflazione.
Se guardiamo il grafico qua sotto, risulta chiaro come a salire e scendere sia il tasso di inflazione, ma non il livello dei prezzi (inflazione), che rimane sempre con il segno più (+) e va ad aumentare il dato consolidato della rilevazione precedente:
Come potete notare dal titolo, il grafico misura il tasso di inflazione e non l’inflazione, la quale, rilevazione dopo rilevazione, sale e non scende, stante, come già ampiamente spiegato il segno più (+).
L’inflazione è un fenomeno che non prevede la discesa poiché, secondo la definizione da manuale, rappresenta “un continuo aumento del livello dei prezzi”. Tuttavia, a un attento esame, questo risulta essere nella migliore delle ipotesi, alquanto elusivo.
In qualsiasi momento il livello dei prezzi è presumibilmente sia statico che quantitativamente indefinibile.
Ecco perché anche la ricerca più sofisticata di una qualsiasi banca centrale utilizza astrazioni, di cui la più familiare è l’indice dei prezzi al consumo (CPI), che consiste in beni e servizi selezionati, progettati per riflettere il costo della vita piuttosto che “il livello dei prezzi”.
Le banche centrali non possono determinare un tasso di variazione continuo di questa astrazione. Possono solo dirti come è cambiato il CPI in passato e possono tentare di prevedere cambiamenti futuri. Peggio ancora, presumono che la fonte del livello dei prezzi sia del tutto storica, derivata da un’infinita regressione nel passato che, in teoria, precede la nascita dell’universo.
Qual è allora la fonte del livello dei prezzi e chi determina i fenomeni inflattivi?
Con lo Stato unico fornitore di ciò che lui stesso richiede per il pagamento delle tasse, l’economia ha bisogno della moneta dello Stato e quindi, implicitamente la spesa statale stabilisce i termini dello scambio; perciò il livello dei prezzi è una logica conseguenza funzionale dei prezzi che lo Stato paga quando spende.
Ci sono due dinamiche primarie coinvolte nella determinazione del livello dei prezzi. La prima è data dal valore assoluto numerario dello Stato, che risulta in base ai prezzi che lo Stato paga quando spende.
Inoltre, le uniche informazioni relative al valore assoluto misurato in unità della valuta dello Stato, sono le informazioni trasmesse dalla spesa statale. Pertanto, tutti i prezzi nominali possono essere necessariamente ricondotti ai prezzi che lo Stato paga quando spende la sua valuta.
La seconda dinamica è la trasmissione di queste informazioni da parte dei mercati ripartite per prezzo, che esprimono i livelli di indifferenza tra acquirenti e venditori – il tutto nel contesto della struttura istituzionale dello Stato.
Il livello dei prezzi, quindi, è costituito dai prezzi dettati dalla politica di spesa pubblica, insieme a tutti gli altri prezzi successivamente derivati dalle forze di mercato che operano all’interno della struttura istituzionale del governo.
Pertanto, in generale, un’economia che sperimenta un continuo aumento dei prezzi richiede un continuo aumento nominale di ciò che viene casualmente chiamato “l’offerta di moneta”, che costituisce il risparmio netto di attività finanziarie dell’economia. Senza questo aumento non si possono realizzare reali desideri di risparmio, come testimoniano poi la conseguente disoccupazione e l’eccesso di capacità in generale.
Anche le banche, in quanto agenti della Banca Centrale (ovvero del settore governativo), influenzano il livello dei prezzi, poiché i prestiti bancari supportano l’indebitamento dei clienti da spendere in beni e servizi. La regolamentazione e la supervisione del governo controllano i prezzi pagati con i fondi presi in prestito dalle banche commerciali. E, con la liquidità illimitata insita in una politica di cambio fluttuante, senza regolamentazione le banche potrebbero prestare senza limite alcuno ed in assenza dei requisiti di garanzia o altri mezzi per controllare i prezzi pagati dai mutuatari. Questo potrebbe compromettere rapidamente la capacità del governo di provvedere a se stesso e vedere la propria valuta svalutarsi catastroficamente.
In definitiva, lo Stato stabilisce i termini di cambio per la sua valuta con i prezzi che paga quando spende, e non di per sé con la quantità di valuta che spende.
In conclusione, per non rendere troppo pesante la questione, vorrei lasciarvi con una domanda retorica – la cui risposta ci viene fornita dalla storia recente – che mette in evidenza o quantomeno pone un grossissimo dubbio sull’efficacia della ricetta classica di alzare i tassi, che molti banchieri centrali mettono in atto per combattere l’inflazione, di qualsiasi natura essa sia.
Se per oltre 12 anni le banche centrali, abbassando i tassi, non sono state in grado di creare inflazione, fallendo sistematicamente al ribasso il loro obiettivo sul livello di incremento dei prezzi al 2%, è plausibile credere che oggi, alzando i tassi possano abbassare il livello dei prezzi!? Ovvero fare qualcosa per domare l’inflazione!
Fonte: L’inflazione non scende….. MAI! – Megas Alexandros
di Megas Alexandros