L’età moderna non finisce mai

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Di Riccardo Donat-Cattin per ComeDonChisciotte.org

Focault spiegò molto bene come l’abuso del concetti di scientifico e di razionale rappresentassero il più potente strumento di oppressione nelle cosiddette società liberali, le cui istituzioni si arrogano il diritto di definire ciò che è razionale, e quindi ciò che è normale, accettato, dove chiunque vada contro è potenzialmente tacciabile di malattia mentale. Gli scritti di Focault fecero da detonatore per quella che prese poi nome di prospettiva postmoderna, attraverso cui possiamo sintetizzare gli ultimi secoli in una sequenza di rivoluzioni.

Tra il ‘700 e l’800, la rivoluzione francese (sociale) e la rivoluzione industriale (produttiva), trasformano il mondo.

Prima ancora Galileo dice che la terra gira attorno al sole: nega l’evidenza. È la rivoluzione culturale. Se piove non è colpa di un dio che è arrabbiato con noi, ma un fenomeno che può essere spiegato con la fisica. Si definisce il pensiero razionale. Comincia l’era moderna. Secondo i teorici della postmodernità, l’ascesa del pensiero razionale prosegue nei secoli fino al suo picco nella seconda parte del secolo scorso, inciampando proprio sul più bello, in quella che sarebbe la fine della modernità e l’inizio di una nuova epoca.

Due momenti sono stati  suggeriti come simbolo della fine di quell’epoca: nel 1984 a Bophal esplode uno stabilimento di insetticidi della Union Carbide, muoiono a migliaia in pochi minuti e innumerevoli successivamente; nel 1986 scoppia un reattore nucleare a Chernobyl, stessa sorte. E accade a meno di vent’anni dall’evento che può invece essere interpretato come l’apice dei successi del pensiero razionale: lo sbarco sulla luna, 1969.

In realtà intoppi importanti si erano già verificati nei decenni precedenti, in ambiti diversi dalla chimica e dalla fisica, ma di comparabile gravità. Li aveva già profetizzati Max Weber a inizio secolo osservando lo sviluppo delle burocrazie negli stati nazione, che a quel tempo rappresentavano le istituzioni con maggior potere. L’organizzazione scientifica dell’amministrazione statale avrebbe creato una macchina di un efficienza spaventosa, dando la possibilità a chi sta nella stanza dei bottoni di azioni di una portata prima impensabile. Si pensi all’efficienza della macchina nazista. Weber non solo ammonì riguardo alla deriva pericolosa delle macchine organizzative statali, ma descrisse anche la successiva problematica dell’invecchiamento della burocrazia, che si sarebbe ritrovata, superato il suo apice di efficientismo, a diventare lenta e macchinosa, popolata da lavoratori in preda anch’essi a quella mancanza di senso che Marx chiamava alienazione. E così durante il trionfo del boom economico queste macchine perdono smalto e credibilità.  Le esplosioni di stabilimenti chimici e di centrali nucleari rappresentano esempi plateali di come l’organizzazione scientifica di qualsiasi apparato possa finire con errori di calcolo e lavoratori non in grado di gestire le responsabilità, e basta un incidente per mettere in discussione l’intero istituto.

Chernobyl e Bhopal rappresentano come i rischi delle nostre società siano cambiati. Lo sviluppo del welfare state ottocentesco era una risposta a rischi noti: salute, disoccupazione, malattia, povertà, vecchiaia. Ora ci sono dei rischi nuovi.

L’anno dopo Chernobyl in Italia ci fu un referendum sull’energia nucleare, vinto dai contrari. Le poche centrali esistenti furono smantellate. I favorevoli sostenevano, e sostengono tutt’ora, che quel referendum fu il frutto di scelte irrazionali: la razionalità economico-scientifica degli italiani sarebbe stata condizionata dalla loro paura. Ciò è probabile, ma non per questo hanno avuto torto: fu il segnale dei limiti della razionalità. Non è stato un ritorno alla stregoneria, ma un cambiamento di prospettiva. La prospettiva di chi non intende delegare più, almeno non incondizionatamente.

Esiste chi vuole decidere autonomamente

La ricerca di autonomia di pensiero diventa una capacità nuova del cosiddetto uomo postmoderno. Mettere in dubbio l’energia nucleare, per fare un esempio, diventa lecito. Ma secondo questa logica dovrebbe essere lecito anche decidere se iniettarsi qualcosa in corpo oppure no.  La violenza con cui ha reagito una grande parte della popolazione contro coloro coloro che rifiutano il vaccino dimostra evidentemente che di postmoderni in giro ce ne sono ancora pochi. E sebbene si possa sperare che un giorno ci si riconosca il diritto a scegliere se iniettarci roba in corpo oppure no, per adesso l’autonomia di pensiero non è né un diritto, né un valore riconosciuto.

In epoca moderna la razionalità si traduceva in oggettività. Per la medicina moderna il malato non è una persona, è la malattia portata a spasso da un corpo. La malattia è oggettiva: “Abbiamo un diabete in sala quattro”. Se il medico deve curarti il fegato, che il fegato sia dentro la tua persona o no, non è rilevante. Questo riduzionismo delle persone in organi da operare diventa oggetto di critica, almeno per chi manifesta caratteristiche dell’uomo postmoderno.

La medicina moderna ha goduto senz’altro di ottimo credito. Il successo crescente di medicine alternative può considerarsi un sintomo che la sua autorità possa essere discussa, e questa storia del coronavirus può rappresentare un punto di rottura importante, perchè o si dà il voto di fiducia all’autorità, oppure si sta dall’altra parte, sebbene confusi e privi di identità politica, almeno per ora. Che si stia da questa o da quell’altra parte, il contesto sembra minacciato da diverse derive distopiche, su tutte quella in cui il controllo digitale diventa lo strumento principe per la risoluzione di qualsiasi problema pubblico o privato. E si può dire che in questa dinamica ci stiamo già dentro con tutti e due i piedi.

Il fatto che ora non ci si possa più sentire a proprio agio a parlare liberamente perchè ci sono cellulari nella stanza pronti a registrare tutto ciò che dici è il risultato di un processo di disciplinamento sociale che intacca gravemente la libertà della nostra espressione. Ma questo percorso è iniziato ben prima dell’avvento dei cellulari e dei computer. “Guardando alla genesi storica, agli albori della modernità, di manicomi, ospedali, caserme, scuole, penitenziari e fabbriche, Focault mostra con chiarezza di documentazione il nesso tra l’affermarsi delle discipline scientifiche e l’opera di disciplinamento sociale da cui prende forma l’organizzazione della società moderna.”

Foucault vedeva le moderne istituzioni burocratiche “come se trasudassero uno spirito di razionalità, competenza scientifica e preoccupazione umana, ma in realtà equivalevano a un esercizio arbitrario di potere da parte di un gruppo su un altro”.  Descrisse chiaramente come l’architettura di questo potere fosse già visibile nelle istituzioni sanitarie, e come l’ambizione del controllo fosse la vera alimentazione del sistema moderno, dove lo sviluppo tecnologico fornisce soluzioni prima inconcepibili. La rivoluzione digitale, che Focault per fortuna sua non vide, ha portato questo vizio di sistema a livelli mai sperimentati prima. Il green pass rappresenta un nuovo trofeo per questi dannati moderni che  la libertà, ai poveri esseri umani, non la vogliono proprio concedere. Chi è sottoposto allo sguardo controllore dell’autorità, che sia il green pass o il microfono di un cellulare, «è visto ma non vede», è «oggetto di una informazione, mai soggetto di una comunicazione». Non è forse in questi termini che dovremmo misurare la nostra libertà?

 

“Non vi capirò mai”

Una delle cose che mi ha maggiormente stupito della situazione che viviamo è come l’idea del vaccino sia stata accettata con tanta leggerezza dalla maggior parte delle persone adulte che che conosco. E più volte mi sono trovato di fronte a persone (anziane) che pacificamente dichiaravano di non riuscire minimamente a concepire e quindi giustificare la posizione no-vax. Diversi mi hanno detto: “Non vi capirò mai”, e mi hanno dato sempre l’impressione che si trattasse di una critica sincera.

La prospettiva postmoderna ha il suo fascino, e personalmente sarei felice se diventasse maggioritaria. Ma quando si guarda cosa è accaduto sulla scena pubblica dopo ogni crisi che abbiamo affrontato, ci si rende conto che del postmoderno il potere, al momento, se ne frega. Infatti ogni santa volta che la crisi scoppia si stendono i tappeti rossi a tecnici. Basta guardare agli ultimi decenni del nostro povero paese: prima gli esperti in tagli del governo tecnico di Monti, poi la squadra di super tecnici capitanata da Colao, ora l’infallibile Draghi. Piacciono. Sono legittimati. E son riusciti a farci mandar giù di tutto. E chi è contro alle misure del governo ora è un imbecille, oltre che pericoloso.

no green pass potrebbero sociologicamente essere identificati come un branco di post moderni, un gruppo di persone che non vogliono essere obbligate a fidarsi di qualcuno o di qualcosa. Non si fidano del controllo, dell’autorità statale, non si fidano dell’organizzazione scientifica. Ne sono fuori. Sono non specialisti che vogliono le proprie opinioni rispettate. Un gruppo di individui che si schianta contro quegli apparati di potere moderni che resistono.

I poteri dell’età moderna non mollano l’osso, e non lo molleranno. Se proprio vogliamo fare gli ottimisti possiamo sperare che prima o poi questa identità politica di noi altri  venga fuori, quando troveremo il modo per non essere più “oggetti di informazione”, ma “soggetti di comunicazione”, allora quel giorno il vento potrebbe cambiare.

Di Riccardo Donat-Cattin per ComeDonChisciotte.org

Nota bibliografica

La storia del controllo e lo sviluppo delle istituzioni liberali è analizzata nell’intera opera di Focault. Il testo di riferimento, da cui alcuni passaggi di questo articolo sono tratti, è Sorvegliare e punire, 1975. Parte dell’analisi svolta e alcune delle frasi citate sono tratti dall’analisi di Focault proposta da Ota de Leonardis, Istituzioni, 2001. La prospettiva storica postmoderna è tratta delle lezioni di sociologia del prof. Willem Tousjin all’università di Torino nel 2010.

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