Le varie vite del realismo socialista

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Di Claudio Vitagliano per ComeDonChisciotte.org

La storica dell’arte americana Christina Kiaer afferma : << per “vedere” il realismo, dovremmo spogliarci di quei paraocchi modernisti così radicati in noi, e scuoterci di dosso i residui pregiudizi da guerra fredda>>.

Questa affermazione è foriera della rivincita del pensiero critico riguardo all’arte Russa, su preconcetti sedimentati nel profondo della coscienza acculturata dell’occidente.

In parole povere, tutto ciò che noi abbiamo pensato della Russia su molti argomenti, compresa l’arte degli ultimi sette decenni, non è altro che il risultato di una martellante propaganda che irradiatasi dagli Stati uniti al resto dei paesi allineati, ha fatto da sfondo al pensiero occidentale dagli anni 50 in poi.

A motivo dei conseguenti condizionamenti, il nostro sguardo, sulle cose russe, ha sviluppato un forte handicap, risultando incapace di scendere oltre la superficie dei fenomeni. Abbiamo infatti sempre pensato al realismo socialista come ad un movimento monolitico. Per lungo tempo, non siamo stati neanche sfiorati dall’idea che all’interno di tale movimento ci fossero espressioni accomunate dal collante ideologico, ma sostanzialmente diverse tra loro, sia sotto il profilo formale che dei contenuti.

La storia ci dice che a partire dal 1953 con la morte di Stalin e l’avvento del disgelo, l’arte di regime vede allentarsi quello che era il controllo del Soviet supremo su di essa. È da qui che bisogna iniziare a fare chiarezza : il disgelo non è stato un momento di rinuncia assoluto del potere comunista al dominio ideologico sulle arti, bensì una sua circoscritta concessione di libertà.

In questo frangente temporale nasce all’interno del realismo socialista quello che il critico e storico dell’arte Kamensky nel 1969, riferendosi all’opera di alcuni artisti russi attivi tra il 1957 e il 1962, chiamò stile severo. I componenti di tale corrente, a differenza di altri artisti ufficiali, invece di proporre opere atte a celebrare la felicità derivante dal vivere in un paese in cui era pienamente realizzato il socialismo reale, proponevano la realtà vera della vita sovietica. Esso, non fu quindi un movimento ispirato dalla contrapposizione ideologica dei suoi aderenti verso il potere o solo da quella, ma nacque innanzitutto dalla particolare sensibilità di alcuni di loro, a cui i canoni del realismo socialista impedivano una piena espressione dei sentimenti.

Artwork Title: women of Absheron

A tale proposito, è importante crediamo, sottolineare che l’equazione proposta in occidente : stile severo uguale dissidenza, sia errata, o per lo meno, non completamente corrispondente al vero.

Volendo rendere chiaro il clima in cui si sviluppò questa nuova maniera rappresentativa, citiamo un episodio che riguarda Tair Salahov.

Egli dipinse “Le donne di Absheron”, in occasione della tragedia della piattaforma in mare di Oil Rocks in cui morirono alcuni uomini. Nel dipinto sono raffigurate, secondo lo stile partecipato e a volte quasi espressionista dello stile severo, alcune donne in riva al mare durante l’angosciosa attesa del ritorno dei loro congiunti, che per alcuni non ebbe mai luogo.

Bene ; il dipinto nell’ufficialità fu aspramente criticato, ma in privato, Salahov ricevette i complimenti persino da Sergey Gerasimov, allora segretario dell’unione sovietica degli artisti, ovvero di colui che era preposto all’osservanza dell’ortodossia dell’arte di regime.

Eppure, a causa della visione distorta che il pubblico e la critica occidentale avevano del fenomeno dell’arte russa, lo stile severo dalle nostre parti, non fu rilevato come un momento conchiuso in sé, come in effetti era. Le pur rilevanti differenze con il realismo socialista, agli occhi coperti dalla mano della propaganda di noi occidentali restavano del tutto invisibili.

Per capire meglio, in che modo veniva percepita l’arte Russa oltre cortina, tra la fine degli anni 50 fino al termine degli anni 60, portiamo ad esempio un paradosso a cui diede vita il critico americano Greenberg. Egli accomunava nella sua visione manichea, l’arte realista con il kitsch, ovvero paccottiglia a prezzi modici. Questo perché riteneva che la “facilità” di lettura dell’arte figurativa fosse un viatico per il mercato. Ma era evidente allora come oggi, che parlare di mercato nell’Unione Sovietica fosse fuori luogo.

Le varie vite del realismo socialista

Tra l’altro, questo tipo di ragionamento porterebbe naturalmente a concludere di converso, che l’arte modernista occidentale, proprio a causa della sua non facile interpretazione presso il pubblico dei non addetti, fosse prodotta tenendo l’occhio più alla gloria che alla appetibilità commerciale. Cosa naturalmente smentita dai fatti, visto che il mercato era dominato proprio dal modernismo, allora come oggi.

Gli artisti più importanti che adottarono lo stile severo furono : Nikolai Andronov , Geli Korzhev, Victor Popkov, Pavel Nikorov, Piotr Ossovski, Victor Ivanov e Tair Salahov.

Nelle loro opere, la figurazione perdeva quella artificiosa rigidità tipica dell’arte celebrativa, peculiare di ogni paese sottomesso a regime autoritario, per acquisire invece un linguaggio si realista, ma allo stesso tempo lirico e poetico.

I soggetti prevalenti nelle loro opere era la vita quotidiana dell’URSS. Ragion per cui non venivano rappresentate scene edulcorate zeppe di eroi impettiti, tipiche dell’arte ufficiale, ma una umanità dolente o gioiosa, ritratta senza filtri interessati, nella sua quotidianità.

Essi mettevano in campo una qualità pittorica e formale incredibilmente elevata, ponendola al servizio di una visione del mondo che respingeva il ricorso alla menzogna da un lato, mentre dall’altro idealizzava la forza della verità.

L’empatia che emana dai loro dipinti era ed è tuttora veramente irresistibile. Dove il tema è il lavoro si può quasi percepire l’odore del sudore e lo sconforto dell’immensa fatica che l’attività manuale di quegli anni generava. Dove invece viene rappresentata la gioia, lo spettatore di riflesso viene investito ed elettrizzato dallo stesso sentimento.

Lo stile severo fù un momento di riflessione collettiva di persone che si misero davanti allo specchio in compagnia della propria coscienza.

In pratica, nell’arte socialista prese forma visiva, ciò che viene comunemente chiamata “vita interiore”.

Nonostante la strada del filone severo si discostasse dalla via maestra del realismo socialista, grazie proprio al disgelo, il perimetro di libertà entro cui potevano operare gli artisti che si riconoscevano in esso, si ampliò enormemente.

Addirittura alcuni dei suoi aderenti, e in special modo Viktor Popkov, per trovare ispirazione guardarono anche oltre i confini nazionali, soprattutto all’Italia e al nostro neorealismo sia cinematografico che pittorico.

Guttuso infatti fù estremamente importante e grande fonte d’ispirazione per gli artisti dello stile severo, sia sotto l’aspetto strettamente artistico che politico.

A testimonianza di questo filo diretto tra l’Italia del neorealismo e questa enclave pittorica nel socialismo reale, ci sono documenti fotografici che testimoniano del leggendario incontro tra Popkov e Guttuso.

L’arte severa in effetti, per anni è stata un filone circoscritto ad un manipolo di pittori coraggiosi, che adottarono un linguaggio e tematiche ai limiti dell’eresia, senza che noi però, abitanti del “mondo libero” ne prendessimo minimamente nota.

Fatto sta che uno di questi pittori, nel prosieguo del tempo è approdato addirittura ad una espressione artistica molto vicina al surrealismo : parliamo di Geli Korzhev.

Ad un certo punto della sua carriera artistica, negli anni 70, egli incomincia a dipingere i Tyurliki. Agli inizi, in essi, si possono ravvisare ricordi della grande guerra patriottica, con le offese riportate nel corpo e nella mente di chi vi prese parte. In seguito, continuando a dipingerli, Korzhev volle farne, in modo evidente, la metafora della disumanizzazione dell’uomo contemporaneo, rappresentato morfologicamente come un essere nè uomo nè animale.

La critica sociale di Korzhev, si rivolge in modo particolare al mondo capitalista di cui si videro le avvisaglie anche in Russia dopo la caduta del muro di Berlino. I suoi mostri dopo il 1989 divennero i simulacri di un’umanità che affoga nel desiderio di denaro e potere, dimenticando l’esercizio dei sentimenti.

Come esempio dell’atteggiamento che non pochi artisti sovietici avevano riguardo al regime comunista, anche a posteriori, si può citare un episodio in cui è protagonista proprio Korzhev.

Alla fine degli anni novanta rifiutò un premio conferitogli dal governo della federazione russa, adducendo come motivazione del gesto il fatto che avesse creduto nei valori sovietici e che accettare tale premio avrebbe equivalso a rinnegare le sue precedenti convinzioni.

Le varie vite del realismo socialista

Tra gli aderenti allo stile severo, oltre Korzhev, l’altro grande personaggio che connotò fortemente la storia del movimento fù senza ombra di dubbio, Viktor Popkov. Egli ebbe vita intensa ma purtroppo breve, dal momento che trovò misteriosamente la morte per mano di un fanatico che gli sparò nel 1974. Il suo percorso si discostò subito dall’arte ufficiale, soprattutto nel metodo. Si sarebbe potuto descriverlo come un artista girovago, visto che viaggiò moltissimo nei confini della Russia, in cerca di luoghi e materiali originali che dessero nutrimento alla sua pittura. Forse più degli altri artisti coevi, scrutò nel profondo dell’animo Russo. Egli si fece strumento, eco che raccoglieva le voci più recondite dell’interiorità collettiva del suo popolo e le restituiva facendole affiorare più limpide e intellegibili. Diciamo pure, che metteva in scena il subconscio del sovietici, così poco avvezzi, dato il rigido controllo a cui sottostavano, a mostrare pubblicamente i veri sentimenti.

Dotato di una energia e creatività fuori dal comune, produsse una quantità enorme di schizzi che non riusciva poi a concretizzare sulla tela. In pratica, ideava molto più di quanto riuscisse a produrre. Nel suo universo l’uomo era stella, pianeta e satellite di ogni sua stilla vitale.

All’epoca però, lui come Korzhev e gli altri pittori severi, non furono granchè apprezzati, né in patria né all’estero, dove erano addirittura, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, del tutto ignorati. Cosa che non impedì però alla responsabile del padiglione URSS della 31esima biennale di Venezia del 1962, di selezionarli per l’esposizione. I giudizi sia della critica che del pubblico si palesarono incontrovertibilmente in tutta la loro avversione. Non furono notate da nessuno, o per lo meno, non fu data notizia delle differenze degli artisti dello stile severo con quelli aderenti al realismo socialista nella sua forma più consolidata. Bisogna però ricordare, che all’epoca, si era ancora per l’appunto, nel pieno della guerra fredda. E come ci dice la storia, una immane potenza economica e organizzativa degli USA era schierata a difesa dell’arte modernista. Molti anni dopo però, le cose sono cambiate. Se andiamo a vedere, l’accoglienza che ha avuto la mostra del 2019, quindi 57 anni dopo la biennale, “Gely Korzhev. Back to Venice”, ci accorgiamo che i giudizi si sono completamente rovesciati.

Molti degli artisti russi ufficiali, specialmente quelli dello stile severo, sono stati rivalutati, e posti anche, per ordine d’importanza, prima di quelli della seconda avanguardia. Facciamoci allora senza indugio la domanda che ci sale spontanea alle labbra : cosa è accaduto in questi decenni per far si che ci fosse questa netta inversione di tendenza della nostra sensibilità verso l’arte dell’URSS?

La risposta che ci viene è altrettanto spontanea e scontata : essendo arrivata al termine la guerra fredda, molto probabilmente si è affievolita la spinta propulsiva della propaganda che per tanti anni ci ha impedito di comprendere l’arte Russa nella sua ricchezza e complessità. Propaganda che addirittura ci ha indotto per un tempo inaccettabilmente lungo a ritenere l’arte russa un corpo estraneo nel mondo della cultura di questo pianeta. Solo con anni e anni di ritardo, abbiamo potuto afferrare il valore degli uomini che, sfidando un impero, hanno deciso di esercitare l’arte praticando la verità, lì dove la verità era quasi tabù.

Parafrasando le parole della Kiaer ad inizio articolo, potremmo dire che abbiamo avuto sotto gli occhi splendidi smeraldi, scambiandoli per cocci di vetro.

Di Claudio Vitagliano per ComeDonChisciotte.org

28.02.2024

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