L’altro fronte è lungo i confini riconosciuti di Armenia e Azerbaigian

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Di Daniele Dell’orco, ariannaeditrice.it

Quella dei 44 giorni nell’autunno 2020 non è mai stata “solo” una guerra per il Nagorno-Karabakh (come quella in Ucraina non è nai stata solo una guerra per il Donbass né quella in Jugoslavia una guerra per il Kosovo).

Difatti, ora la “metà mancante” di Artsakh per gli azeri è passata in secondo piano e il conflitto si è spostato lungo i confini riconosciuti di Armenia e Azerbaigian.

Questo perché per Baku la questione “storica” è solo uno strumento per fare pressione su Yerevan e giustificare dal punto di vista narrativo ciò che vuole davvero raggiungere: la conquista di Zangezur (che gli armeni chiamano Syunik).
Si tratta della regione meridionale dell’Armenia che arriva a confinare con l’Iran e che divide il territorio azero dalla sua exclave, il Nakhichevan, che arriva a toccare la Turchia grazie ad un lembo di terra comprato da Ataturk.

Zangezur è una regione che nell’ottica panturca “impedisce” ai turchi/turcofoni di implementare il loro impero infrastrutturale e logistico che collega il Mediterraneo alla Cina. È una sorta di potenziale affluente del cosiddetto “corridoio intermedio”, noto anche come “Via di trasporto internazionale transcaspica”.

L’importanza del progetto, lanciato nel 2017, com’è ovvio è aumentata notevolmente dopo lo scoppio delle ostilità in Ucraina, specie per le aziende europee che in precedenza lavoravano con la Russia si è reso necessario trovare vie di aggiramento per continuare a trasportare le merci specie su rotaia aggirando il territorio russo e la Transiberiana.

Il progetto della creazione del “corridoio di Zangezur” è formalmente presente negli accordi di cessate il fuoco firmati il 9 novembre 2020 tra Armenia e Azerbaigian con la mediazione della Russia. Gli armeni in sostanza dovrebbero permettere la costruzione di infrastrutture per il trasporto merci su gomma e su rotaia in un lembo di terra interno al suo territorio che costeggia il confine con l’Iran, così da spalancare le porte all’implementazione del Grande Turan: il raccordo tra la Turchia, l’Azerbaigian e i vari -stan turcofoni di cui Ankara controlla già a vario titolo porti e hub chiave lungo la rotta verso la Cina.

Tra questi non a caso c’è il Kazakistan che si è opposto alla richiesta di attivazione dell’art. 4 del CSTO da parte dell’Armenia, che lo avrebbe obbligato insieme alla Russia e ad altri Paesi dell’alleanza ad intervenire contro l’Azerbaigian.

L’Armenia però teme che concedendo la costruzione del corridoio senza particolari garanzie Baku possa pian piano aprire un altro fronte di guerra, rivendicando il possesso di tutta la regione di Zangezur. Cosa che, effettivamente, sta già succedendo. Gli azeri infatti la considerano una regione “irredenta” dagli anni pre-Urss. Ma essendo parte del territorio della Repubblica d’Armenia, a differenza del Nagorno-Karabakh non riconosciuto provare a controllarla vorrebbe dire mutilare i confini armeni riconosciuti internazionalmente.

In questo contesto si inseriscono altri attori: l’Iran, la Russia e l’Unione europea.
Per Teheran la situazione è una spina nel fianco, ed è anche il motivo per cui nella guerra in Nagorno-Karabakh si è tenuta neutrale e anzi ha strizzato un po’ l’occhio ai cristiani armeni. Ora che le tensioni aumentano ha dovuto dislocare truppe alla frontiera nord, e non avrebbe alcun vantaggio pratico dalla creazione del corridoio.

Nel caso si facesse, nel piatto ricco ci si vorrebbe prima infilare.

La Russia è nella posizione più scomoda: alleata formale dell’Armenia e informale dell’Azerbaigian. Il Corridoio intermedio serve a bypassarla ma nei vari vertici, meeting e accordi con i turchi avrà certamente parlato anche del dossier Zangezur per cercare di entrare nella partita: permettere la sua costruzione e intercedere con Yerevan in cambio di rafforzamento delle varie partnership significherebbe incassare una parte dei dividendi dai commerci con l’Europa che al momento le sono preclusi. Ecco perché nella difesa dell’Armenia tentenna molto.

L’Ue, che com’è noto non ha politica estera né visione strategica, ha al suo interno una frangia pro-Armena capitanata dalla Francia e una anti-armena capitanata dall’Ungheria. Ma anche i big del Continente (Germania, Italia, Benelux) delle ragioni di Yerevan se ne fregano perché con l’Azerbaigian commerciano alla grande e “subiscono” soft-power da anni. Pur di continuare la loro guerra di facciata alla Russia, si legherebbero volentieri mani e piedi alla Turchia e pazienza se i piccoli armeni cristiani d’oriente e unica democrazia dell’area dovessero essere decimati (mentre invece curiosamente la “non-democrazia” ucraina deve essere difesa per salvaguardare i valori occidentali).

Una delle questioni principali del nuovo mondo, insomma, sarà il controllo di Zangezur, su cui i grandi player hanno poggiato la tunica e stanno lanciando i dadi.
In questo equilibrio sottilissimo, si vorrebbero (re)inserire gli Stati Uniti, promettendo sostegno all’Armenia che si sente stritolata e abbandonata.

Un supporto che, visti gli equilibri attuali in qull’area, non conviene a nessun altro fuorché a loro. Ecco spiegato il motivo per cui per gli armeni specie del Syunik il viaggio di Nancy Pelosi rappresenta l’unica, forse ultima, speranza.

Di Daniele Dell’orco, ariannaeditrice.it

link fonte: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-fronte-si-e-spostato-lungo-i-confini-riconosciuti-di-armenia-e-azerbaigian

Titolo originale: Il fronte si è spostato lungo i confini riconosciuti di Armenia e Azerbaigian

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