L’occhio non vede forme, attraverso la relazione tra colore, luci ed ombre riconosce e distingue gli oggetti ed attribuisce loro un confine, una forma, tramite deduzione percettiva (salvo sbagliarsi per definizione ndr).
Colore
Goethe compie l’analisi dei colori da tre punti di vista, derivandone tre macro-insiemi. Il primo raggruppa i colori fisiologici, che si può dire risiedano nel percettore, o nell’occhio del percettore, facendo rientrare in questo primo gruppo anche i colori derivanti da difetti di percezione, morbosità. L’occhio è il protagonista, quasi l’artefice, di questo primo insieme. Per quanto riguarda invece le manifestazioni cromatiche vivaci che si generano dalla relazione tipica di luci-ombre-colore, ma tramite un mezzo incolore più o meno torbido, siamo in presenza di colori fisici. Cioè quei colori a metà strada tra la realtà concreta ed oggettiva e la soggettività percettiva. L’arcobaleno, la luce del tramonto, l’olio motore sull’asfalto. Infine i colori chimici altro non sono che la materia che manifesta cromìe durevoli negli elementi della natura e che il tintore estrae sottoforma di pigmento, è poi l’artista (nel caso dell’arte) che li sceglie, combina, ed imprime sul supporto attraverso il medium più adatto.
I colori sono quindi vivi e più o meno mutevoli, sono risultati di operazioni complesse, non esatte risultanti di una condizione costante percepita. G.C.Argan scrive che lo scopo di Goethe non è l’analisi del fenomeno “colore” fine a sé stessa, ma l’indagine della sensibile
“relazione tra i due ritmi di moto [natura-oggetto e persona-soggetto], bisogna vedere come l’occhio si comporti nel corso di una percezione che non è mai, in nessun caso, istantenea.
L’analisi è dunque di un processo della mente.”
Colori fisiologici
Nei colori fisiologici è quindi l’occhio l’elemento-organo protagonista che attraverso la luce, l’ombra e l’elettricità, percepisce i colori nelle loro caleidoscopiche esistenze, che non sono assunti, ma infiniti istanti di durata della percezione.
Durante un’escursione invernale sullo Harz scendevo, verso sera, dal Brocken. Le ampie estenzioni in alto e in basso e la landa intera erano coperte di neve, gli alberi isolati e le rupi solitarie, i gruppi di alberi e le masse rocciose, tutto era velato di brina, mentre il sole scendeva verso le acque dell’Oder.
Durante la giornata già si erano osservate, unite al tono giallino della neve, ombre di un delicato violetto, che si poteva credere di un intenso azzurro quando un giallo più pronunciato veniva riflesso nelle zone di luce.
In questo esempio Goethe vuole dimostrare come gli oggetti richiamino i colori in una proporzione precisa tra luci ed ombre, seguendo delle regole di complementarietà, realizzando in qualche modo l’intero e quindi suggellando, nella coesistenza fisiologica degli opposti diametrali illustrati nel cerchio da lui teorizzato, l’unica possibilità di esistenza di ogni colore strettamente dipendente da quella di tutti gli altri.
Laddove la neve assume un colore giallino dato dalla luce del sole, le ombre su di essa proiettate saranno di un bel violetto, perchè giallo e viola sono complementari, insieme sono la completezza dell’essenziale “rosso-giallo-blu”, cioè i colori primari (NB: il viola è l’unione di rosso + blu).
L’occhio tenderà a ricomporre l’intero (nessun colore può esistere senza gli altri) ribilanciando lo spettro dei colori o, più fisiologicamente parlando, ribilanciando l’equilibrio interiore rispetto a quello che propone l’esterno.
Alcuni quadri di scarsa qualità non tengono conto di questo processo e – solo in un certo senso – non sono i quadri ad essere scadenti, ma sono i nostri occhi a “sporcarli” o “insudiciarli” per un’esigenza naturale di completezza, di totalità, rivelandone l’imperfezione, la non-armonia con la nostra natura percettiva.
Colori fisici
I colori che Goethe definisce fisici sono stati anche chiamati, da scienziati a lui antecedenti, “colores apparentes, fluxi, fugitivi, phantastici, falsi, varantes” ed anche “speciosi o emphatici”. Stiamo parlando degli effetti della madreperla, dell’opale, la rifrazione del prisma di vetro, che derivano da una stratificazione lamellare di materiale traslucido, più o meno torbido, attraverso la quale la luce rivela degli “avanzi” e nell’algebrica modulazione delle frequenze restituisce punti puri della quadricromìa rosso-giallo-verde-blu attraverso la rifrazione, o delle sfumature logiche dei colori nella sequenza del cerchio.
Per Goethe i colori fisici hanno “un grado di realtà in più” perché in questi l’elemento esterno è fondamentale affinché vengano rivelati. Se nell’ambito dei colori fisiologici il percettore è completamente passivo, anche se centrale, alle leggi uniche (come persona-soggetto) che regolano la sua percezione, in quello dei colori fisici il percettore, ovvero il mondo al di qua della palpebra, perde la sua centralità, ma diviene partecipe attivo di una manifestazione stabile, ma effimera o fortemente dipendente da un preciso intervento mediano, che comprende quindi un elemento aggiuntivo, pertanto chi vede è anche testimone, ancora prima che persona-soggetto-vedente. Com’è nel lavoro del fisico, appunto.
L’incrocio di un fenomeno soggettivo con un fenomeno oggettivo che consenta
“mediante la connessione dei due, di penetrare con fortuna più a fondo nella natura delle manifestazioni.”
I colori fisici sono manifestazioni cromatiche che necessitano di un mezzo incolore, più o meno torbido, per manifestarsi.
“Il ritratto di un autorevole teologo era stato dipinto, parecchi anni fa, da un artista particolarmente abile nell’uso del colore. Lo stimatissimo uomo si presentava in una smagliante veste di velluto, che attirava lo sguardo dello spettatore quasi più del volto, suscitando ammirazione. Intanto con il passar del tempo il quadro, a causa dell’effetto sbiadente della luce e della polvere, aveva perso molto della sua primitiva vivacità. Lo si affidò perciò ad un pittore, che lo doveva pulire e ricoprire con una nuova vernice. Questi cominciò innanzitutto a lavare il quadro con una spugna umida. Passandovi sopra alcune volte, e tolto in questo modo lo sporco più resistente, notò con stupore che la veste di velluto nero si era improvvisamente trasformata in una veste felpata azzurra, in cui l’uomo di chiesa assumeva un aspetto assai mondano, per quanto antiquato. Il pittore non osò più lavare oltre. Non riusciva a rendersi conto di come un azzurro chiaro stesse dietro il nero più saturo e, ancor meno, di come avesse potuto asportare così in fretta la vernice che era stata capace di trasformare – come egli poteva vedere – un azzurro di quel genere in un nero.
Si sentiva profondamente sgomento per aver guastato il quadro fino a quel punto: non vi era più nulla di spirituale in esso, fatta eccezione per la parrucca rotonda molto arricciata, rispetto alla quale lo scambio di una veste felpata azzurra contro un’assai elegante veste di velluto nuovo era assolutamente sconveniente. Il danno appariva nel frattempo irrimediabile, tanto che il nostro bravo artista appoggiò scoraggiato il quadro alla parete e, non senza preoccupazioni, andò a coricarsi.
Quale non fu la sua gioia, la mattina seguente, quando occupandosi ancora del quadro vide di nuovo la veste di velluto nero nel pieno del suo splendore! Non potè trattenersi dall’inumidirne un angolo e di nuovo apparve il colore azzurro che sparì dopo un certo tempo. […] Mi spiegai questo fenomeno con la teoria dei mezzi torbidi. L’artista verniciò il suo nero già dipinto, per renderlo sufficientemente intenso, con una particolare vernice, la quale durante il lavaggio assorbì in sé una certa quantità d’acqua, divenendo torbida e facendo apparire di un colore azzurro il nero sottostante.”
Colori chimici
Il filosofo dice, quelli che “provochiamo su certi corpi”. I colori chimici sono il risultato di processi di estrazione, essicazione e macinatura dei pigmenti presenti in natura, cioè quelli realizzati dai tintori; la roccia, la pianta, l’animale, che divengono materia colorante attraverso degli specifici processi.
In ambito chimico la derivazione del bianco è spesso nella proprietà atomistica della materia trasparente: la polvere di vetro risulta bianca, ma anche la cristallizzazione dell’acqua, la neve, è bianca; mentre per ottenere il nero abbiamo bisogno di combustione di oggetti organici o processi acidificanti e deacidificanti, ossidazioni, di materiali inorganici.
A questo proposito c’è un bellissimo affresco della fine del ‘200 nella Basilica di San Francesco ad Assisi, che leggendo questo libro-trattato sui colori non può non tornare alla mente come estremamente descrittivo della chimica dei bianchi e dei neri, si tratta de “La Crocifissione di Assisi” di Cimabue, realizzata tra il 1277 e il 1280
L’artista ha utilizzato un bianco a base di nitrato d’argento (se anche per alcuni il lavoro si è “rovinato” a causa dell’ossidazione dei bianchi) così facendo (credo volutamente) l’artista ha destinato l’affresco ad una lenta ed inesorabile mutazione che ha trasformato i valori di luce in ombra, nell’altare della morte per eccellenza, in perfetta antitesi con l’eternizzazione di un’immagine fissa, si può dire che sia uno dei primi esempi di video-art della storia dell’arte, quando ancora il tempo era considerato spazio e respiro, ma anche una grande anticipazione del realismo e dell’umanesimo in generale. Lasciatemi sognare.
Luci ed ombre
Il colore è un valore di mezza-luce e mezza-ombra per Goethe, una delle infinite possibili vie di mezzo tra i due estremi, che non si rivela dall’unione di luce ed ombra, ma ai loro confini. Ed è l’occhio, o il prisma, a coglierli come rapporto di tensione tra luce ed oscurità. È importante ciò che egli osserva dei comportamenti dell’occhio nelle due estreme condizioni: sono comportamenti che tendono al medesimo equilibrio. Sia che da un ambiente luminoso, abbagliante, sia che ci si rechi in una condizione di buio che viceversa, il nostro occhio tenderà a ritrarsi per un certo lasso di tempo. Sono processi dell’organo che tendono all’accomodazione, all’adattamento dello stesso, in una dipendenza condizionante dalla luce e dall’oscurità, base del rapporto con ciò che è esterno e conseguenti produttività, elaborazioni, visioni. Questo è uno degli esempi più chiari di come al centro della fruizione ci sia l’occhio, cioè il nervo oculare, cioè il cervello, che nell’apprendere dall’ “altro”, ossia il mondo al di là della palpebra, compie la ricerca della perfezione, nel connubio tra mondo interiore e mondo esteriore.
Goethe ha realizzato un documento a suo modo scientifico che ha anticipato Fresnel, sabotando la rigidità della teoria di Newton e, benché molto probabilmente non fosse il suo scopo, ha reso leggibile la limitatezza di taluni approcci assoluti, assolutistici, austeri, circa il tema della percezione. Su questo vi consiglio di leggere anche l’articolo del dott. Pehr Sallstrom [1] che da un punto di vista scientifico spiega da quali schematici confini Goethe abbia saputo liberare l’intendimento dei processi percettivi.
Se nella tensione tra luce ed ombra, nei loro rapporti, nei loro rimbalzi, troviamo la generazione del colore, possiamo dire che attraverso le polarità scopriamo le specificità intermedie che caratterizzano l’essere e l’esistente. Per tanto, non è plausibile, secondo il lavoro di Goethe, mescolare luci ed ombre, vita e morte, giustizia ed ingiustizia, sperando di ottenere qualcosa di diverso dal grigio. Laddove esista una condizione, non può esistere l’altra, se non in un’alternanza stagna, seppur messa in comunicazione dai valori intermedi (es. i colori). Sono i passaggi, i crepuscoli, che manifestano le affinità tra gli estremi di un dato intero, e che fondano il senso dell’uomo nell’universo.
[continua]
Nota:
[1] https://risingtidefoundation.net/2022/11/01/goethe-newton-and-the-physics-of-colour/
Le citazioni sono tratte dal saggio La Teoria dei Colori (Zur Farbenlehre) scritto da Johann Wolfgang von Goethe nel 1810