DI SOLANGE MANFREDI
paolofranceschetti.blogspot
I giornali di questi giorni riportano la notizia dell’aggressione a un consulente tecnico che si occupa della vicenda del Moby Prince. Aggredito da 4 persone con il passamontagna è stato immobilizzato, stordito con una sostanza spray e scaraventato nell’auto a cui poi hanno dato fuoco. Fortunatamente è riuscito a salvarsi. Anche l’avvocato Carlo Palermo, legale delle vittime del Moby Prince, da quando ha ripreso in mano il caso, ha già ricevuto numerose intimidazioni e minacce. Perché?
Era la sera del 10 aprile 1991 quando 140 persone morirono bruciate sul Moby Prince davanti al porto di Livorno. Se domandi a qualcuno cosa causò la tragedia ancora oggi ti senti rispondere: c’era una fitta nebbia, l’equipaggio era davanti alla televisione a vedere una partita di calcio e, a causa di una manovra incauta, è entrato in collisione con la Petroliera Agip Abruzzi. In soldoni la causa della tragedia è da attribuirsi a nebbia e negligenza. Questo d’altronde è quanto affermato, nelle loro conclusioni, dalle Commissioni di Inchiesta della Capitaneria di Porto di Livorno e del Ministero della Marina Mercantile. Ma se è così perché chi si occupa del caso è vittima di intimidazioni, minacce o tentati omicidi? La risposta è semplice: quello che è stato detto è falso e la verità non deve venire fuori.Con Ustica successe la stessa cosa. Ricordate? Anche in quel caso la Commissione di inchiesta stabilì che l’aereo Itavia era caduto per un cedimento strutturale. Non a caso la strage del Moby Prince viene chiamata l’Ustica del mare. Certe “vergogne” devono restare nascoste e quando qualcuno lotta per far emergere la verità ecco che il collaudato meccanismo si rimette in moto: isolamento, calunnie, intimidazioni, minacce e, se queste non bastano a far desistere, ecco le immancabili morti mascherate da suicidio od incidente. Ma la domanda che sorge spontanea a questo punto è: chi è che uccide con queste modalità? La mafia? La ‘ndrangheta? La camorra? Il terrorista? Un inesperto rapinatore? Indovinate un po’? La risposta non è difficile ma prima di rispondere poniamoci un’altra domanda: cosa successe la sera della strage del Moby Prince al porto di Livorno e quali sono i soggetti coinvolti?
Per sapere la verità sulla tragedia del Moby Prince non si deve fare chissà quali ipotesi fantasiose, non si deve aderire a strampalate ipotesi degli amanti dei complotti o altro, basta leggere gli atti, i documenti, le testimonianze (lavoro che la maggior parte dei giornalisti hanno dimenticato da tempo, trasformatisi, ormai, in megafono dei poteri forti ) ed ecco che allora si scopre che:
– quella sera la visibilità era perfetta, nessuna nebbia né prima, né durante né subito dopo la collisione (come dimostrano foto, e video amatoriali, uno dei quali trasmesso anche dal TG1);
– nessuno dell’equipaggio stava guardando la partita (nella cabina di comando non vi erano televisori);
– l’impatto non è stato improvviso. Tutti i passeggeri erano nel salone De Lux (stanza provvista di porte tagliafuoco) con bagagli e giubbotti di salvataggio.
Questo significa che erano stati richiamati dalle cabine presso cui si trovavano, alcuni stavano mettendo a letto i bambini, invitati a rifare i bagagli, indossare i giubbotti e radunarsi nel salone, là dove sono stati trovati. Nessuno dei corpi presentava traumi. Difficile conciliare tutto ciò con un impatto improvviso causato dalla negligenza dal personale che guardava la partita;
– Nel corso della lunga procedura, che ha portato tutti i passeggeri con bagagli e giubbotti salvagente nel salone, nell’impossibilità di manovrare la nave, impossibilità di comunicare, come se un cono d’ombra avesse fatto impazzire tutte le strumentazioni di bordo;
– Le persone a bordo del Moby Prince non sono morte in pochi minuti, ma dopo ore come dimostrano le autopsie;
– I soccorsi, partiti immediatamente si sono diretti tutti sulla Agip Abruzzi. Nessuno verso la Moby Prince che, abbandonata, viene lasciata andare alla deriva in fiamme… con il suo carico di passeggeri che, diligentemente, aspettano di essere salvati. Moriranno dopo ore di paura e disperazione. Eppure la Moby era visibile come dimostra la vicenda di due semplici ormeggiatori che, con la loro piccola imbarcazione priva di strumentazione, accorrono spontaneamente a prestare i soccorsi e salvano l’unico sopravvissuto: il mozzo Barnard. E sono ancora loro che, venuti a sapere che ci sono altri passeggeri, comunicano via radio alla capitaneria di porto la loro posizione e che ci sono persone da salvare. Niente, la Capitaneria di Porto rimane silente. I vertici della capitaneria, che dovrebbero coordinare le operazioni di salvataggio, tacciono per più di 5 ore. Mentre i soccorritori aspettano istruzioni sulla Moby si muore.
– Soccorsi impossibili? Assolutamente no. I responsabili sosterranno che, data la temperatura delle lamiere, era impossibile salire sul Moby Prince. Falso perché quella maledetta notte alle ore 3.30 un semplice marinaio, Giovanni Veneruso, senza alcun tipo di indumento ignifugo, con il suo rimorchiatore privato decide di avvicinarsi al traghetto ed agganciarlo, mentre le motovedette della Capitaneria osservano immobili a distanza. Tocca le lamiere con le mani, nessun problema, sale, ma ha appena il tempo di guardarsi intorno quando arriva l’ordine di ritornare immediatamente sul rimorchiatore. Nessuno si deve avvicinare, nessuno deve salire sul Moby Prince. Perché?
Come nella migliore tradizione italiana anche in questo caso troviamo:
– testimoni non ascoltati;
– responsabili di quella notte non interrogati;
– tracciati radar non acquisiti, negati, distrutti;
– posizioni delle navi in rada non accertate;
– fascicoli scomparsi dalla Procura;
– relazioni sparite;
– scatole nere distrutte;
– giornali di bordo dimenticati;
– manomissioni e sabotaggi operati sul relitto del Moby Prince;
– tracce di esplosivo militare a bordo del Moby mai considerati;
– nastri registrati scomparsi;
– cassette VHS manomesse;
– elicottero militare che sorvolava la zona al momento della collisione dimenticato;
– navi “fantasma “ che si allontanano dal luogo dell’impatto velocemente;
– presenza di pescherecci italo-somali i cui nomi ritroveremo tristemente nell’omicidio di Ilaria Alpi;
– ufficiali che quella sera vedono, e relazionano, su movimentazioni di materiale bellico tra navi nel porto di Livorno ma i cui rapporti scompaiono;
– alcuni importanti documenti che confermano che nella rada di Livorno era in corso una operazione destinata a rimanere “coperta” e che coinvolgeva un numero imprecisato di imbarcazioni;
– 5 navi militari americane cariche di armi provenienti dal Golfo Persico dove si era appena conclusa l’operazione Desert Storm;
– Il relitto della Moby Prince fatto demolire in fretta, lontano dall’Italia, in Turchia, ad Allaga, località tristemente nota, come più volte denunciato da Greenpeace, perché specializzata in far sparire di navi pericolose;
– ecc..ecc.., ecc…
Ancora un dato. Come già detto quella sera nel porto di Livorno vi erano 5 navi americane militarizzate cariche di armi, una operazione che doveva restare coperta e movimentazioni di materiale bellico tra navi nel porto. Tutto questo porta a ritenere che, quella sera, la zona del porto di Livorno dovesse essere tra le più sorvegliate d’Italia da tutti, servizi segreti compresi. Ora la risposta dovrebbe essere facile, facile: chi è che vuole insabbiare l’inchiesta?
Per chi desidera saperne di più, e nell’attesa di conoscere le nuove prove depositate dall’avv. Carlo Palermo, consigliamo di leggere il libro di Enrico Fedrighini: “Moby Prince. Un caso ancora aperto”.
Fonte: http://paolofranceschetti.blogspot.com
Link
20.11.2007
Consultate “Associazione 10 Aprile – Familiari delle vittime del Moby Prince” – Sito ufficiale per aggiornamenti sull’inchiesta!