DI CARLO BERTANI
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Sinceramente, volevo parlare di lingue: non quelle bollite, in bagnèt verde, salmistrate o con capperi ed acciughe bensì quelle che ci servono per comunicare. Poi…Il dibattito sull’accordo italo-cinese ha raggiunto tali livelli che ho rimpianto il vecchio bar Sport all’angolo, dove almeno se si nominava Gigi Riva tutti tacevano ed assentivano, pensosi, e così ho pensato di dare una mano. Non per spingere qualcuno giù nel dirupo, ma per aiutare a non finire tutti nella rupe Tarpea dell’insipienza, ammanigliati ed uniti dall’unico desiderio: dirla (sul web non ha senso farla) più grossa dell’altro.
Che dite, ci proviamo?
Tutto iniziò con un popolo di emigranti disgraziati per loro parte, che ebbero una particina marginale nel tentativo blasfemo di dare un giro di volta al Great Game del’Asia che, come ben saprete – nell’ultimo ventennio dell’800 fino alla 1GM – occupava le scacchiere con tre attori: Russia, Cina ed Impero Britannico.
Orbene, quel popolo di sgomitatori, che anelavano a qualcosa in più di qualche uadi desertico in Africa Orientale, per l’incrinarsi dell’Impero Cinese si videro assegnare una porticina laterale chiamata Tien-Tsin, che distava da Pechino quanto Oslo da Palermo.
Questo per dire che noi, italiani, inviammo un corpo di spedizione – con annessa flotta – per tentare di colonizzare l’unico Paese al mondo che colonia non era mai stata, ossia la Cina la quale, mezzo secolo dopo, si presentò seduta, alla conferenza di pace che doveva giudicarci in quanto vinti, sullo scranno dei vincitori.
Una vicenda lapalissiana: Pirandello ci avrebbe sguazzato alla grande.
E’ interessante, per parlare dell’oggi, appressarsi a quei giorni così lontani – ricordate “L’ultimo imperatore” di Bertolucci? – eppure non c’è paragone più calzante.
Un popolo colonizzato fino all’altro ieri, che tentava di colonizzare – in sest’ultima fila, sia chiaro – chi non conosceva nemmeno il significato della parola “colonizzazione”, non perché avessero vissuto chissà quali nirvana nei secoli precedenti, bensì poiché ogni sopraffazione era stata interna, proveniente da una parte del suo stesso insieme. E cos’era questo insieme?
La lingua.
I cinesi sono stati fra i primi a giungere alla lingua come mezzo di comunicazione, e come contenitore degli eventi passati di un popolo. Che cambia: incessantemente, rovinosamente, gloriosamente.
Crearono una lingua ideogrammatica, come gli egizi, ma mentre i secondi finirono sotto il giogo Romano, loro non ci giunsero, perché Traiano si fermò a Ctesifonte e non osò dare la mazzata finale all’impero dei Parti (o persiano che dir si voglia), che fungeva da “cuscinetto” con il grande Oriente cinese – del quale i Romani erano perfettamente a conoscenza, giacché Roma era invasa da sete cinesi, al punto che ci sono giunte le lamentazioni degli imperatori per i troppi “aurei” che volavano in oriente – del quale, però, avvertivano “a naso” la potenza, e non si fidarono a sfidarlo. I Germani bastavano ed avanzavano.
E passano così due millenni. Ma la Cina aveva già alle spalle un paio di millenni di Storia, e così assommava a quattromila. Dio com’è lungo da scrivere: “quat-tro-mi-la”…E cos’avevano fatto in quei 4000 anni? Di tutto. Di più e di meno, di meglio e di peggio: sempre all’interno della stessa lingua, vergata col pennello dalla sapiente casta dei mandarini, i funzionari imperiali che celavano le mani nelle lunghe maniche per mostrare a tutti che loro non le usavano per lavorare, bastava la mente.
A parte le quisquilie, come la metallurgia finissima, la polvere da sparo – bistrattata! Usata per giochi di luce! – la bussola, la stampa…cos’aveva partorito quella mente collettiva, di generazioni di sapienti?
Tre Libri.
l’I Ching – il libro del Mutamento – il Nei-Ching, il canone medico cinese, ed il Tao-Te-Ching, il libro del Tao Universale. Kung-Fu-Ciang (Signore del Kung-Fu), detto in Occidente Confucio, coetaneo di Budda Sakyamuni e Socrate, li definiva “molto antichi”.
Vi potrei raccontare d’altre “avventure” cinesi – come quando, nel 1400, giunsero fino all’attuale Mozambico con una flotta d’alto mare (non giunche) e 25.000 uomini d’equipaggio ed armati, e poi tornarono indietro – e di quando Vasco da Gama fu condotto fino alle Mollucche proprio dai discendenti di coloro che avevano fatto i piloti per i cinesi. Ma a che servirebbe?
Siamo stati noi ad aprire lo scrigno cinese, “noi” nel senso di russi, inglesi, francesi, tedeschi, australiani, americani…sì, nell’ultima fila anche qualche italiano…e adesso ci domandiamo, angosciati: cosa vogliono da noi?
Noi, che non ci siamo domandati cosa volevano gli spagnoli, cruenti dominatori, gli scaltri francesi, sempre pronti a propalare il meglio ed appoggiare il peggio che esista, per puro interesse, oppure gli stupidissimi, ma armatissimi, americani ed i loro scaltri cugini britannici…cosa volevano? Dominarci, sfruttarci.
Oggi, sembriamo pazzi di paura perché un cinese ci propone un accordo commerciale. Giungiamo a dire che inquineranno i nostri porti, vomiteranno nelle nostre acque i loro veleni e dimentichiamo che, fino a ieri, i sottomarini atomici USA scaricavano quel che volevano nei nostri mari, che le petroliere a stelle e strisce o con la Union Jack, ci affumicavano e lavavano le loro cisterne appena oltre l’orizzonte (a volte meno)…adesso no, abbiamo paura addirittura dei gamberetti in agrodolce.
Dominare, vincere, brutalizzare, umiliare: questi sono i verbi che conosciamo.
I cinesi non credono in questo principio, ossia non pensano che una vittoria economica o militare sia un obiettivo da raggiungere perché porta stabilità. Nel loro modo di pensare – che è molto simile al nostro, antico panta rei – sanno che la mutazione, il cambiamento sono il leitmotiv dell’avventura umana, e dunque non se ne preoccupano, credono di più nell’armonia del mutamento. Se avete letto il Libro del Mutamento (I Ching) – miracolosamente scampato alla distruzione del V secolo a.C. – ne capirete (rectius: sorseggerete) meglio il significato (migliore la traduzione di Richard Wilhelm).
La Cina è sempre rimasta, dunque, un enorme contenitore culturale isolato: almeno, la Cina che conosciamo, perché nel V secolo a.C. un imperatore si svegliò la mattina e decise che tutto quello che c’era stato prima andava abolito, distrutto, dimenticato. Almeno un millennio di vita cinese andò in fumo, con il rogo di tutti gli archivi.
Riflettiamo che, nell’epoca nella quale i cinesi bruciarono i loro archivi, in Europa la lingua scritta non era ancora giunta: i più bravi, in quell’epoca, mungevano le pecore.
Si corse lo stesso rischio durante la “rivoluzione culturale”, quando le Guardie Rosse si presentarono all’Archivio di Stato per darlo alle fiamme: per fortuna si presentò di fronte a loro un vecchio, con una pistola in mano, che disse “Dovrete passare sul mio cadavere”. Era Ciu-En-Lai, l’ex Ministro degli Esteri. E non osarono.
Qualcuno ricorda il Tibet, per avere ancor più paura. Lo venite a raccontare a me, un buddista di tradizione tibetana? Avete mai parlato con un Lama tibetano? Avete conosciuto S.S. il XIV Dalai Lama, Tenzin Ghiatzo?
La Cina del dopoguerra era un Paese affamato, che giunse a maturare una sciagura per sfamarsi: non lo dico io, lo dicono gli stessi Lama tibetani: raccontano di “gare” per accaparrarsi un torsolo di cavolo marcio nel fango, fra prigionieri e popolazione civile.
Le soldataglie cinesi presero tutto quel che riuscirono a prendere, dall’oro al legno: fu un’amara lotta fra poveri dignitosi (i tibetani) e miseri senza dignità (i cinesi). Ma fu. Allora.
Oggi molte cose stanno cambiando: i cinesi hanno collegato Lhasa al mondo con un aeroporto ed una ferrovia – non lo fanno certo per carità – ma hanno costruito anche scuole ed ospedali. Può darsi che si giunga, in futuro, ad una pacificazione definitiva: in fin dei conti, i Lama tibetani erano considerati i “protettori” dell’Impero Cinese.
Tutto, ricordiamolo, iniziò sempre con noi, gli occidentali – russi od inglesi poco cambia – che destabilizzarono un sistema equilibrato da secoli, da millenni: le truppe inglesi entrarono in Lhasa nel 1904.
E noi ci spaventiamo, abbiamo paura che taglino il codino alle nostre Mercedes? Vedremo. Tanto, che ci possiamo fare? Siamo stati noi, con la smania dei nostri investimenti, a svegliare il Dragone: smettiamola di lamentarci come donnicciole.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2019/03/la-paura-del-dragone.html
29.03.2019