LA MUSICA SENZA PRECEDENTI DEGLI AREA

Di Federico Degg per comedonchisciotte.org

È cosa nota agli appassionati di musica che durante i primi anni Settanta, periodo di grandi fermenti e innovazioni in tutti gli ambienti culturali, siano fioriti anche in Italia diversi gruppi e artisti fondamentali nel definire nuovi stili e generi anche a livello internazionale: si possono citare ad esempio band progressive rock come Le Orme, Premiata Forneria Marconi e Banco del Mutuo Soccorso, subito notati e annoverati fra i nomi di punta del genere da parte dei suoi precursori inglesi.

Ma se c’è una formazione che forse più delle altre si è spinta oltre i limiti della già estremamente sperimentale e avanguardistica scena musicale del tempo, forgiando un amalgama di stili e di influenze sonore senza precedenti, meritevole dunque di essere annoverata tra le pietre miliari della musica italiana e non solo, allora si tratta proprio degli Area.

Meno noti al grande pubblico rispetto ai nomi prima citati, forse conosciuti dai più per l’ineguagliabile vocalità e personalità artistica del loro frontman Demetrio Stratos (salito alla ribalta alcuni anni prima grazie alla ballata “Pugni Chiusi”, registrata con la band I Ribelli), gli AreA – International POPular Group, questa la versione estesa del loro nome, nascono ufficialmente nel 1972. L’idea parte da Giulio Capiozzo, batterista jazz di origini turche, che assieme al cantante Demetrio Stratos (greco di discendenza e nato in Egitto) vuole fondare una band dedita a realizzare “materiale ad alto tasso creativo” [1], traendo spunti dalle esperienze musicali e dal retroterra culturale di ciascun componente, con l’obiettivo di andare in totale controtendenza rispetto alle tendenze discografiche e ai cliché rock dell’epoca.

Vengono così coinvolti il tastierista Patrizio Fariselli, formatosi nel mondo del liscio ma interessato tanto al jazz quanto al rock e alla musica contemporanea, il chitarrista Paolo Tofani e il bassista Patrick Djivas (entrato nel 1974 a far parte della PFM e sostituito poi da Ares Tavolazzi): trascinato da questa miscela di spunti ed energia creativa, nel corso del 1973 il quintetto riesce già a registrare e ultimare tutto il materiale per il primo progetto discografico.

Esce così “Arbeit Macht Frei”, roboante e provocante album di debutto in cui si susseguono senza tregua frenetici riff ispirati alla musica orientale e balcanica, sequenze improvvisate di jazz, sezioni più distese dal sapore pop-rock e statuarie linee vocali condite da testi enigmatici ed incisivi: un condensato di suono, energia e maestria tecnica dei singoli musicisti che non può lasciare indifferente chi lo ascolta, un mix di idee difficile da racchiudere sotto la sola etichetta del “prog-rock” o da inquadrare in termini di storytelling politico-culturale, già a partire dalla controversa espressione scelta come titolo.

Tutti questi elementi, pur mischiati ad altre influenze e accenni stilistici, resteranno gli ingredienti principali della successiva produzione discografica della band: nel 1974 esce “Caution Radiation Area”, secondo lavoro ancora più complesso dove prevalgono l’improvvisazione strumentale, il free jazz e altri virtuosismi come l’uso di tempi composti. L’anno seguente viene pubblicato “Crac!”, probabilmente il disco più accessibile della band, impreziosito dal loro pezzo più conosciuto, ossia “Gioia e Rivoluzione”. Nel 1976 è invece il turno di “Maledetti (maudits)”, sorta di concept-album fondato su uno storytelling fantapolitico in cui il gruppo sperimenta ancor di più, oscillando fra contemporaneità, elementi folkloristici e musica classica – in uno stesso brano si possono addirittura udire sia strumenti a percussione originari dei Paesi Baschi che un quartetto d’archi.

Nel 1978, dopo la pubblicazione del quinto album in studio (“1978! Gli dèi se ne vanno, gli arrabbiati restano”), la band dovrà far fronte all’abbandono di Demetrio Stratos, deciso a dedicarsi a tempo pieno ai suoi progetti solisti di esplorazione delle possibilità e dei limiti fisici e sonori della voce umana – percorso molto personale che attirò su di lui le attenzioni di icone della musica contemporanea come John Cage.

Stratos si spegnerà purtroppo a soli 34 anni, il 13 giugno del 1979, a causa di complicanze dovute a una grave e improvvisa forma di anemia aplastica; proprio una settimana fa cadeva il quarantacinquesimo anniversario della sua triste e prematura morte, che arrivò a stroncarlo nel momento più fertile e musicalmente interessante della sua carriera. Negli anni successivi (e occasionalmente ancora oggi) gli Area continueranno ad esibirsi dal vivo e registreranno anche un paio di nuovi album in studio, ma la carica creativa e le vette toccate nei lavori con Demetrio resteranno assolutamente ineguagliabili.

L’eclettico e avanguardistico connubio musicale degli Area, non di facile impatto al primo ascolto, può essere visto come un preciso riflesso sul piano artistico delle posizioni etiche e politiche dei singoli musicisti, le quali sono state fin da subito enfatizzate e trasformate in un vero e proprio “concept” dal loro primo storico manager, l’intellettuale del PCI e imprenditore discografico Gianni Sassi, che fu anche autore dei primi testi del gruppo [2].

Ciascuno dei componenti della band condivideva infatti idee di sinistra molto radicali e affini all’ideologia comunista, cosa che non è mai stata nascosta a livello di contenuti e fonti d’ispirazione delle loro canzoni. Basti pensare al titolo di uno dei loro migliori brani, “Cometa Rossa”, un augurio di liberazione rivolto alla Grecia, al tempo ancora schiacciata dalla dittatura dei colonnelli; alle critiche al boom economico e all’alienazione dei lavoratori di “Arbeit Macht Frei” (traccia omonima dell’album); alla versione dell’inno socialista “L’Internazionale” registrata e inserita nell’album live “Are(A)zione”, o ancora alla cavalcata festosa de “La Mela di Odessa”, ispirata a una bizzarra vicenda accaduta durante la Rivoluzione Russa [3].

Su un aspetto, però, gli Area sono sempre andati in controtendenza rispetto alle più tristemente note manifestazioni storiche del comunismo e al materialismo intrinseco alla filosofia marxista.

Lungi dal promuovere una visione di uniformazione politico-culturale – quella stessa che, per intenderci, portò Stalin a perseguitare tutti i culti religiosi presenti da secoli nelle società siberiane o la Cina a distruggere i luoghi di culto e le tradizioni millenarie del Tibet -, il gruppo ha invece sposato e tradotto egregiamente sul piano musicale concetti del tutto differenti, quali la fusione e l’internazionalità, l’unione e la solidarietà fra i vari popoli e i rispettivi mondi culturali, ciascuno con il proprio prezioso bagaglio di tradizioni, specificità e sfumature.

La band ha anche fin da subito mostrato un occhio di riguardo verso società e popoli vittime di governi tirannici o di palesi ingiustizie. La Grecia soffocata dalla dittatura ispirò, come detto, sopra, i poetici versi in greco di “Cometa Rossa”; il primo brano in assoluto della band, “Luglio, Agosto, Settembre (nero)”, è un arrabbiato inno a supporto del popolo palestinese e dei suoi tentativi di reagire all’oppressione israeliana; l’intero LP “Maledetti”, poi, è una riflessione sul soffocamento che una gerarchia di “anziani” (in termini anagrafici e valoriali) esercita sulla società intera e sulle sue forze più giovani e rivoluzionarie.

La libertà di popoli e individui al primo posto, dunque, al di sopra di qualsiasi colore politico o discorso strutturale: non è un caso che nella sezione centrale di “Cometa Rossa”, composta da un evocativo assolo di voce e pochi altri strumenti che tocca vere e proprie vette di misticismo sonoro, Demetrio Stratos canti in greco parole come “Cometa, cuci la bocca ai profeti / Cometa, chiudi la bocca e vattene via /Lascia che sia io a trovare la libertà” [4].

Anche le idee di lotta e militanza – due aspetti inderogabili delle dottrine politiche di estrema sinistra degli anni Settanta – vengono, nelle canzoni degli Area, messe a confronto con il desiderio di pace e con la volontà di un cambiamento che sia innanzitutto culturale e umano.

Un esempio lo si ha in “Luglio, agosto, settembre (nero)”, brano che si apre con una poesia in dialetto egiziano [5], una vera e propria supplica ad abbandonare le armi ed abbracciare la pace recitata da una voce femminile e rivolta all’uomo amato… il quale, sulle note dell’impetuoso riff di ispirazione balcanica che trascina il pezzo, replica con durezza alle orecchie dell’ascoltatore: “Non è colpa mia se la tua realtà / mi costringe a fare guerra all’omertà / forse un dì sapremo quello che vuol dire / affogar nel sangue con l’umanità”.

Come già accennato, questo pezzo affronta di petto la questione palestinese ed esprime supporto verso i “compagni” impegnati a difenderla, anche con azioni molto criticabili e belligeranti [6], risultando per questo estremamente attuale dinnanzi a ciò che si sta svolgendo oggi a Gaza e in Cisgiordania. Per nulla frenati dal timore di risultare controversi, gli Area hanno voluto richiamare l’attenzione sul circolo vizioso di violenze, attacchi e contrattacchi che si scatena nel momento in cui un popolo viene “umiliato e offeso” [7]: la cruda realtà di ingiustizie e guerriglia accennata nel testo e il pacifismo intensamente invocato nella poesia d’apertura sembrano quasi poli opposti, entrambi però votati alla ricerca di una soluzione per la situazione di quei “bambini che il sole ha ridotto già vecchi” (citando uno dei più struggenti versi della canzone).

La dialettica fra pace e lotta, fra approccio duro e umana moderazione, abbandona il contrasto turbolento e si fonde invece in uno splendido risultato in “Gioia e Rivoluzione”, la sola canzone realmente “radiofonica” (e per questo generalmente più conosciuta) che il gruppo abbia mai composto. Accordi maggiori, assoli, virtuosismi di pianoforte e voce, un graffiante giro di chitarra che sa di pura allegria e un finale dove più voci cantano in coro, il tutto condito dal testo che segue:

Canto per te che mi vieni a sentire
Suono per te che non mi vuoi capire
Rido per te che non sai sognare
Suono per te che non mi vuoi capire

Nei tuoi occhi c’è una luce che riscalda la mia mente
Con il suono delle dita si combatte una battaglia
Che ci porta sulle strade della gente che sa amare

Il mio mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia
Che ti spara sulla faccia ciò che penso della vita

Con il suono delle dita si combatte una battaglia

Che ci porta sulle strade della gente che sa amare

 

La battaglia qui è puramente culturale, musicale, artistica. Di mezzo non vi sono la brama di potere, il cieco desiderio di vendetta della lotta di classe, o la volontà bruta di rovesciare lo status quo; a muovere le cose verso il nuovo è innanzitutto il sentimento, la “gente che sa amare”, sognare e capire. Una rivoluzione pacifica e gioiosa, dove le sole “scariche di proiettili” lanciate dai combattenti sono vertiginosi assoli di tastiera, pianoforte e chitarra, oppure le sferzanti e mai banali liriche con cui Stratos e compari inneggiavano alla libertà personale, al fertile incontro tra culture, alla giustizia e al cambiamento.


Federico Degg è uno studente e lavoratore di 23 anni. Si occupa di comunicazione, cultura ed arte in tutte le sue forme (musica, immagini, scrittura, teatro). Attivista e membro di associazioni ed iniziative locali. Giovane collaboratore di Come Don Chisciotte.


NOTE E FONTI

[1] https://www.rollingstone.it/musica/interviste-musica/gli-area-contro-i-palloni-gonfiati-del-rock-capitalista-leggi-led-zeppelin/756448/

[2] Per approfondire la cornice di “storytelling” legata al progetto musicale degli Area, ecco una lettura piuttosto approfondita: https://www.ondarock.it/italia/area.htm

[3] Per i più curiosi, la vicenda che ha ispirato il pezzo (dalle cui sole parole è difficile capirci qualcosa) è spiegata alla fine di questo video: https://www.youtube.com/watch?v=al_kr8M55_8

[4] https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=9030

[5] A questo link è leggibile la traduzione dei versi poetici: https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=320

[6] “Settembre nero” è infatti il nome di una cellula terroristica nata nei primi anni Settanta da alcuni miliziani di Al-Fatah (realtà paramilitare inclusa nei ranghi dell’Organizzazione Nazionale per la Liberazione della Palestina), macchiatasi di azioni quali il rapimento e l’uccisione di 11 atleti israeliani durante i giochi olimpici di Monaco di Baviera del 1972.

L’organizzazione nasce in risposta a uno dei tanti tragici eventi patiti dal popolo palestinese durante il secolo scorso, ossia il Settembre Nero in Giordania: a seguito di alcuni attentati di matrice estremista volti a rovesciarne la monarchia, il re giordano Husayn (sostenuto da azioni tattiche di “minaccia” compiute da Israele e USA) decise di mobilitare l’esercito per espellere tutti quanti i rifugiati palestinesi e le rispettive organizzazioni presenti sul suolo nazionale, causando la morte di circa tremila-cinquemila persone, fra cui numerosi civili.

[7] https://blog.libero.it/31canzoni/4554640.html

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