LA BATTAGLIA PER L’ARTICO E’ INIZIATA

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DI GENEVIEVE BEDUNEAU
b-i-infos.com

Il 9 e 10 novembre del 2008, si è tenuta una conferenza internazionale a Monaco. La conferenza di lavoro ha riunito ministri e personalità dell’Unione Europea, degli stati del Consiglio Artico (Danimarca per la Groenlandia e le isole Faroe, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia, Russia, Canada, Stati Uniti, ai quali si aggiungono rappresentanti di comunità indigene come gli Aleuti, i popoli siberiani, gli Inuit, ecc.) e rappresentanti delle istituzioni internazionali.

Ufficialmente la conferenza aveva come scopo l’osservazione scientifica e le questioni ambientali: cambiamento climatico, inquinamento, biodiversità. Tuttavia, è raro che delle questioni puramente scientifiche siano trattate a livello ministeriale. Gli accordi sulla ricerca e le proteste virtuose dai buoni propositi ecologici forniscono, in effetti, una delle rare possibilità di negoziare in modo discreto proprio mentre l’attuale evoluzione climatica risveglia appetiti e tensioni internazionali tra i più pericolosi oggigiorno. Non si tratta più di conflitti locali e limitati: attorno al Polo Nord, non si trovano che le grandi potenze e i loro diretti alleati. Il minimo affronto comporterebbe l’ingresso immediato in una guerra mondiale.

Proprio a novembre 2008 si è visto cambiare lo statuto della Groenlandia. Il 25 del mese gli abitanti dell’isola sono stati chiamati ad esprimersi in un referendum che permetteva un nuovo passo verso l’indipendenza. Possedimento danese da più di tre secoli, la Groenlandia gode già di uno statuto di autonomia abbastanza ampia, rinforzato dalla politica militare degli Stati Uniti i quali vi mantengono la base di Thulé, un insieme di radar, e spingono le proprie pedine per lo sfruttamento delle risorse minerarie e petrolifere.

Dalla fine di novembre, dopo un sì del 75,5% al referendum, il groenlandese è divenuto lingua ufficiale e il governo locale è ormai autorizzato a negoziare da solo i contratti di sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo: oltre che di petrolio e gas, ricordiamo che si tratta di diamanti (la sua produzione supera già quella dell’Africa Australe), di uranio, oro, zinco e piombo. Tuttavia, Jens Frederiksen, capo dell’opposizione groenlandese, ricorda che il territorio autonomo non ha “i mezzi finanziari per assumersi le responsabilità riconsegnate dalla Danimarca”. Egli aggiunge: “Ed è un’illusione il credere che le risorse del sottosuolo, ancora ipotetiche, andranno a consolidare le basi della nostra economia nell’ottica di realizzare la nostra indipendenza”, il che suggerisce che altri potrebbero essere tentati d’impadronirsene attraverso contratti più favorevoli ai propri interessi che a quelli dell’isola. Questo referendum segna il compimento di un lunghissimo lavoro della diplomazia americana, aperta o discreta, dopo gli inizi della Guerra Fredda, per distogliere la Groenlandia dall’orbita danese e inserirla nella zona d’influenza diretta degli USA, conformemente alla dottrina Monroe.

L’anno accademico 2007-2008 appena concluso è stato un’Annata polare internazionale, segnata da numerose ricerche scientifiche, finanziate dai governi con gli intenti meno disinteressati. Le spedizioni canadese ed europea, di ritorno, iniziano a pubblicare i loro rapporti. La stima che fissava intorno al 2050 lo scioglimento totale dei ghiacci della banchisa è drasticamente riveduta. Al ritmo attuale è verso il 2015 che l’oceano Artico potrebbe divenire un mare libero, perlomeno d’estate. Jean Claude Gascard, oceanografo, coordinatore del programma europeo Damoclès, aggiunge un’importante precisazione: “L’effetto serra non è più il solo responsabile del riscaldamento climatico. Esso è ormai favorito, se non superato dall’effetto Albedo, che misura il rapporto tra l’energia solare riflessa da una superficie e l’energia solare incidente”.
Se tali prospettive spaventano gli ecologisti come pure gli stati dal piano costiero basso, i quali temono un drammatico innalzamento del livello dei mari, rallegrano però numerosi attori dell’economia mondiale. Infatti, un oceano artico libero dai ghiacci, almeno in prossimità delle coste, navigabile anche solo stagionalmente, ridurrebbe drasticamente le distanze e i costi di trasporto negli scambi tra Cina, Russia, Stati Uniti, Europa e Canada. Il mitico passaggio del nord-ovest torna d’attualità, e così il suo gemello russo, il passaggio del nord-est verso lo stretto di Bering.

La Germania ha appena annunciato, il 5 dicembre, la costruzione della nave rompighiaccio “più potente al mondo”, che potrà circolare anche in inverno. “Aurora Borealis” misurerà 199 m di lunghezza e sarà in grado di rompere strati di ghiaccio spessi 15 metri, e di forare fino a mille metri nei fondali marini situati a 5000 metri di profondità, nonché nei ghiacci in movimento. Inoltre, potrà navigare nelle acque turbolente dell’Atlantico o del Baltico, contrariamente alle altre imbarcazioni di questo tipo. Il progetto è appena entrato nella fase di finanziamento e, per trovare i 650 milioni di euro necessari, fa appello a un consorzio internazionale in cui l’Unione Europea e la Russia saranno i beneficiari. Ma già il 17 ottobre, l’istituto tedesco Alfred Wagner annunciava che il suo battello di ricerca, il “Polar-Stern”, era riuscito ad attraversare i passaggi del nord-est e del nord-ovest senza il bisogno di rompere il ghiaccio, e ciò significa che i porta-container potrebbero fin d’ora utilizzare queste rotte marittime durante i mesi estivi.
Ciò pone il problema della proprietà di questi canali. Per quanto riguarda il passaggio di nord-ovest che serpeggia tra le isole canadesi, due schieramenti si affrontano. Il Canada afferma la piena sovranità sui canali e il 3 dicembre, il ministro dei trasporti John Baird, ha presentato le disposizioni votate dalla Camera che, secondo il gruppo CNW Telbec, “permetteranno al Canada di esercitare un controllo maggiore e più efficace sulle attività marittime del Canada, ponendo l’accento sulla protezione dell’ambiente nel nord del Canada”. Il ministro ha aggiunto: “Faremo tutto ciò che è in nostro potere per proteggere il patrimonio e la sovranità dell’Artico canadese. Le misure oggi annunciate contribuiranno ad appoggiare il movimento ecologico e per la sicurezza delle navi nelle acque artiche del Canada”. La nuova legge porta da 100 a 200 miglia nautiche il limite delle acque territoriali al fine di far rispettare il regolamento canadese anti-inquinamento, più severo di quello dell’IMO [Organizzazione Marittima Internazionale, ndt]. Secondariamente, la sovranità su queste acque e sul passaggio tra le isole permetterebbe al Canada di esigere un diritto di pedaggio. Di fronte a tali rivendicazioni, gli USA e l’Unione Europea si schierano per uno statuto internazionale analogo a quello del canale di Suez, del canale di Panama o del Danubio.
Oltre alle economie sostanziali che permetterebbero il passaggio del commercio internazionale dall’Artico, le ricchezze proprie di questa regione risvegliano ogni sorta di bramosia. Ricordiamo che si tratta di un oceano, sottomesso solo al Diritto del Mare e per il quale non esiste uno statuto specifico, così come per il continente antartico. Ora, questo diritto permette di estendere la zona di sfruttamento privilegiata fino a 200 miglia dalle coste, ed oltre ancora se si riesce a provare che delle rocce sottomarine prolungano la piattaforma continentale. Questa regola perfetta per la maggioranza degli oceani si applica molto male ai mari chiusi ove queste zone possono sovrapporsi, come qui accadrebbe.

Delle enormi ricchezze minerarie

L’agenzia governativa americana di ricerca geologica (USGS) ha recentemente stimato a 412 miliardi di barili le risorse non ancora sfruttate di petrolio e gas nel complesso dell’Artico, di cui l’84% al largo. Il governo canadese ha appena deciso a metà novembre di incoraggiare l’estrazione di gas in Artico e di alleggerire la regolamentazione in vigore al fine di estendere la rete di gasdotti. La Norvegia ha chiesto che la sua zona di sfruttamento esclusiva di 200 miglia sia calcolata a partire dall’arcipelago di Spitzberg. L’Unione Europea che ha accesso alle coste attraverso la Danimarca detenendo così la sovranità sulla Groenlandia e le isole Faroe, preme per una convenzione internazionale. La Russia, dal 2007, reclama l’estensione della propria zona fino al Polo Nord, affermando che la dorsale di Lomonossov prolunga la sua piattaforma continentale. La Groenlandia ci vede il prolungamento della sua. Occorre dire che questa dorsale trabocca di vene metallifere: argento, piombo, zinco, uranio e diamanti. Se è ancora utopistico pensare di sfruttarle oggi, la prospettiva dello scioglimento dei ghiacci verso il 2015 e i progressi tecnologici, come i batiscafi russi che hanno raggiunto il fondale marino nel 2007 alla verticale del Polo Nord o il progetto Aurora Borealis, suggeriscono che l’esplorazione potrebbe iniziare nell’arco di dieci anni.
Oltre ai giacimenti minerari, l’oceano artico custodisce altre ricchezze. Alcuni ricercatori norvegesi dell’università di Tromso hanno lanciato una bio-esplorazione sistematica che ha già consentito la messa a punto di nuovi medicinali come il Prialt, un antalgico efficace contro i dolori cronici ricavato dal conus magus, una lumaca marina che si serve della tossina per paralizzare i pesci. L’equipe norvegese del MARBIO collabora in questa ricerca con un istituto di Mourmansk, in Russia.
Il 3 dicembre, la dott.ssa Jeannette Andersen, direttrice delle ricerche, ha presentato i primi risultati: i 200 composti molecolari della loro banca dati, di cui 9 sono particolarmente promettenti. La dottoressa ha concluso: “Stiamo senza dubbio per scoprire una moltitudine di nuove molecole che ci permetteranno non solo di concepire nuovi farmaci, ma anche di consolidare il nostro sistema diagnostico. Alcuni di essi potrebbero addirittura servire da alimenti funzionali”. Conoscendo le somme faraoniche che le industrie farmaceutiche maneggiano, si intuisce che le poste in gioco artiche, anche in questo campo, sono determinanti per l’economia del secolo a venire.

Di fronte a tale scrigno di tesori, le inquietudini degli ecologisti hanno poco peso. Tuttavia, lo scorso 3 dicembre, una corte d’appello federale ha giudicato illegale la decisione dell’amministrazione Bush di permettere alla Shell di sfruttare il petrolio del mare artico di Beaufort, in prossimità di una zona protetta. Una coalizione di associazioni si è lanciata nella battaglia giuridica, sommando le tensioni interne alle rivalità internazionali. Al di là di questa vittoria fragile e forse senza futuro, un’inquietudine ecologica più reale è da poco venuta alla luce. L’equipe svedese dell’università di Lund, diretta da Torben Christensen, ha approfittato dell’annata polare per lasciare aperta la sua stazione due mesi in più. I ricercatori hanno allora constatato che all’inizio dell’autunno, quando la tundra inizia a ghiacciare, le fughe di metano rilevate fino ad oggi unicamente al momento del disgelo raggiungono dei picchi mai registrati prima. Questo riscontro risveglia un’incertezza, la possibilità che le variazioni di pressione connesse allo scioglimento della banchisa liberi delle quantità di metano sufficienti a trasformare la composizione dell’atmosfera terrestre. Per ora nulla permette di affermare o confutare tale rischio potenziale, ma è probabile che l’argomento sia utilizzato e mediatizzato qualora le rivalità degli stati costieri dovessero esacerbarsi.

Genevieve Beduneau
Fonte: http://www.michelcollon.info
Link: http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2009-02-04%2015:30:17&log=invites

Apparso nel numero di gennaio 2009 della rivista B-I (http://www.b-i-infos.com/)

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANGELO SANTAMARIA

Bibliografia consigliata per approfondire la questione:

– Richard Labévière e François Thual, “La bataille du grand nord a commencé” [La battaglia del grande nord è iniziata, ndt], Perrin, 2008.
Gli autori cercano di ricollocare le tensioni artiche nel contesto geopolitico globale successivo alla Seconda Guerra Mondiale

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