Il vero fine della Russia

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DI JAMES RICKARDS

dailyreckoning.com

Putin non si è mai distratto. Il suo obiettivo non è conquistare il mondo o l’Europa: vuole avere un’egemonia regionale ed una serie di stati cuscinetto in Europa orientale ed Asia centrale che possano dare profondità strategica alla Russia.

Quest’ultima si può definire come il poter resistere ad invasioni di massa grazie alla capacità di ritirarsi in una posizione centrale, facendo distendere le linee di rifornimento nemiche. È proprio questa ad aver permesso alla Russia di sconfiggere sia Napoleone che Hitler.

Capire Putin non è difficile.

Nel XXI secolo, la sfera di influenza russa non si realizza conquistando o subordinando, come si faceva ai tempi dell’impero o dei comunisti. Si crea con stretti legami finanziari, investimenti esteri, zone di libero scambio, trattati, alleanze di sicurezza ed una rete di associazioni che assomiglino alle versioni precedenti dell’UE.

L’intervento militare russo in Crimea ed Ucraina orientale non è da intendersi come un’iniziativa, ma come una reazione. È stata una risposta agli sforzi americani e britannici di attaccare la Russia spingendo in modo aggressivo verso l’adesione dell’Ucraina alla NATO. Questo è stato fatto detronizzando un alleato di Putin a Kiev all’inizio del 2014.

Il momento giusto per aggregare l’Ucraina alla NATO era il ’99, non il 2014.

La situazione russo-ucraina è un sottoinsieme della più ampia relazione U.S.A.-Russia. Qui, l’opposizione non viene solo dagli avversari domestici, ma anche dall’élite globalista.

Le radici globaliste del conflitto crescente

La globalizzazione è emersa negli anni ’90 come conseguenza della fine della guerra fredda e della riunificazione della Germania. Per la prima volta dal 1914, Russia, Cina e rispettivi imperi potevano unirsi a Stati Uniti, Europa occidentale ed alle loro antiche colonie in America Latina ed Africa in un unico mercato globale.

La globalizzazione si basava su frontiere aperte, libero scambio, telecomunicazioni, finanza globale, catene di approvvigionamento estese, manodopera economica e libertà dei mari. La globalizzazione come esisteva dal 1990 al 2007 ha fatto progressi costanti sotto il duopolio Bush-Clinton in America e leader simili altrove. Il nemico del progetto era il nazionalismo, che però ai tempi non era in vista.

La crisi finanziaria del 2007-2008, causata dall’avidità dell’élite, ha messo fine ai guadagni facili derivanti dalla globalizzazione.

Ironia della sorte, la globalizzazione, nonostante la calamità, nel breve ha resistito. Alle stesse élite che avevano creato il disastro è stato dato il còmpito di “aggiustare” la situazione. Questo salvataggio globale è iniziato col primo G20 organizzato in fretta da Bush e Sarkozy nel novembre 2008.

Nonostante i salvataggi finanziari ed i quantitative easing, la crescita pre-crisi non è mai tornata. Il mondo ha invece sùbito una depressione di dieci anni, che continua tuttora.

Quel poco di crescita che c’è stata è stata fagocitata dai soliti ricchi, che hanno portato i livelli di disuguaglianza reddituale a quelli di 80 anni fa.

Il malcontento è palpabile nelle classi media ed operaia delle maggiori economie del mondo. Questo si è trasformato in azione politica, testimoniato da eventi quali Brexit, Trump ed ascesa di politici nazionalisti.

La reazione nazionalista alle élite

Quel che unisce questi movimenti è il nazionalismo, il desiderio di mettere gli interessi del proprio paese davanti a quelli della globalizzazione. Quindi: chiusura delle frontiere, restrizione del libero mercato per aiutare l’occupazione locale, lotta contro la manodopera a basso costo e rifiuto di trattati commerciali multilaterali.

Questo ci porta al punto cruciale del rapporto U.S.A.-Russia.

In poche parole, Putin e Trump sono i due più potenti nazionalisti al mondo. Qualsiasi riavvicinamento tra Russia e Stati Uniti è una minaccia esistenziale all’agenda globalista.

Ciò spiega gli attacchi isterici ed implacabili ai due. I globalisti li devono separare per avere qualche chance di rinverdire la propria agenda.

Dall’altro lato, Xi Jinping e la Merkel sono i campioni del campo globalista. Per capire questa dinamica occorre considerare i paradossali ruoli dei due.

Xi si posiziona come il principale sostenitore della globalizzazione. In realtà è il più nazionalista di tutti, mettendo sempre in primo piano gli interessi cinesi, anche a scapito del benessere altrui.

La debolezza militare ed economica della Cina e la potenziale instabilità sociale le richiedono però di collaborare col resto del mondo su commercio e cambiamento climatico. Xi è nella paradossale posizione di essere un nazionalista fin nel midollo, ma di dover indossare la veste globalista per raggiungere i propri fini.

La Merkel è nella situazione opposta. Sa che la Germania deve abbracciare il globalismo, sia per il suo onere storico di esser stata la causa di tre grandi guerre (quella Franco-Prussiana e le due mondiali) sia perché deve integrarsi con UE ed Eurozona. Allo stesso tempo, ha portato avanti la propria agenda promuovendo gli interessi tedeschi tramite export surplus e manodopera straniera a basso costo.

Per i globalisti, la lotta è manichea: Trump-Putin vs Xi-Merkel. Dovrebbero però allargare le proprie vedute perché la lotta in realtà potrebbe essere tripartita.

Oggi esistono solo tre superpotenze – Russia, Cina e Stati Uniti. Tutte le altre nazioni sono poteri secondari o terziari che possono sì allinearsi ad una superpotenza ma che non hanno le capacità di imporre la propria volontà sugli altri.

Alcuni analisti potrebbero sorprendersi a vedere la Russia nella lista delle superpotenze, ma i fatti non si discutono. È la dodicesima economia del mondo, il paese più esteso, uno dei tre produttori di energia più grandi del mondo, ha abbondanti risorse naturali diverse dal petrolio, armi e tecnologie spaziali avanzate, una forza lavoro istruita e, ultimo ma non ultimo, il più grande arsenale di armi nucleari al mondo.

Ovviamente ha anche i suoi problemi, tra cui calo demografico, accesso limitato agli oceani, avverse condizioni climatiche e pochi terreni fertili. Tuttavia, nessuno di questi problemi nega i punti di forza del paese.

Putin rimane il maestro di scacchi geopolitici che è sempre stato. Il suo gioco a lungo termine prevede accumulo di oro, sviluppo di sistemi di pagamento alternativi e fine del dollaro come valuta di riserva globale.

 

Link: https://dailyreckoning.com/russias-real-endgame/

24.07.2017

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG

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