Il sonno della democrazia genera distopie: Lo smeraldo di Mario Soldati

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Agli inizi della storia ventennale di ComeDonChisciotte, in anni in cui quella distopia di cui pubblichiamo quotidianamente era di là da immaginare, era più facile proporre articoli di cultura. Oggi vogliamo presentarvi un eccellente saggio proprio a proposito di un grande romanzo distopico italiano, Lo Smeraldo, opera di quel grande e poliedrico artista che fu Mario Soldati,  che già nel 1974 anticipava, con impressionante precisione, molte, se non tutte, le follie che stiamo vivendo. Buona lettura. P.P.

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Laura Cascio

In Letteratura e Scienze – Atti delle sessioni parallele del XXIII Congresso dell’ADI (Associazione degli Italianisti) Pisa, 12-14 settembre 2019

 

Le prime distopie letterarie, cioè le ‘utopie rovesciate’, nascono all’inizio del XX secolo per mettere in guardia la società da possibili strumentalizzazioni autoritarie delle conquiste scientifiche, prospettando forme di controllo sociale senza precedenti nella storia.
Nell’ambito italiano, le vicende politiche dei paesi governati da regimi totalitari nel corso del Novecento sollecitano l’elaborazione di testi che, nel raccontare ambientazioni futuristiche, denunciano la vulnerabilità dei sistemi democratici contemporanei. Un esemplare autore di questo filone letterario è Mario Soldati, scrittore, giornalista, regista e sceneggiatore, che nel suo romanzo Lo smeraldo descrive un mondo post-apocalittico in cui l’umanità si trova divisa tra un Nord supertecnologico e militarizzato e un Sud povero e caotico. L’autore propone un gioco narrativo arricchito da echi orwelliani e immaginifici intrecci tra superstizione e nuove tecnologie, che attraversa generi differenti quali la fantascienza, il giallo e l’avventura.
«Chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno»: con questa affermazione Paul Claudel, letterato e diplomatico francese, sottolinea come gli esseri umani nel tentativo di rendere concrete, grazie al progresso della scienza, architetture sociali ideali tese alla prosperità collettiva, finiscano inevitabilmente per dare vita a realtà cupe e antidemocratiche. Le prime distopie letterarie, cioè le ‘utopie rovesciate’ nascono alla fine del XIX secolo (il termine distopia era stato coniato nel 1868 da Stuart Mill) per mettere in guardia la società da possibili strumentalizzazioni autoritarie delle conquiste scientifiche, prospettando forme di controllo sociale senza precedenti nella storia.
L’immaginario distopico ha origine da un duplice trauma: innanzitutto lo shock prodotto dall’accelerazione forsennata del progresso tecnico-scientifico, visto come agente di disumanizzazione/alienazione e di distruzione dell’ecosistema, poi quello provocato dall’affermazione di regimi dittatoriali come quelli fascista, nazista e stalinista. Ne consegue che i romanzi distopici siano costantemente caratterizzati da ambientazioni angoscianti e opprimenti: le narrazioni si svolgono in luoghi o epoche nelle quali le autorità, con il pretesto di preservare i ‘valori della tradizione’ (morali, religiosi, politici, ecc.), controllano e sorvegliano i propri cittadini con metodi coercitivi. Di norma sono presenti un sistema gerarchico strutturato in classi sociali o caste nettamente distinte e separate, un rigido sistema di tabù e proibizioni, una propaganda e dei sistemi educativi volti all’imposizione di un ‘pensiero unico’, la negazione dell’individualità e della libertà d’espressione in favore del conformismo e infine la repressione di ogni dissenso con mezzi più o meno violenti.
I romanzi “Noi” di Evgenij Ivanovič Zamjatin (1924), “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley (1932), “Kallocaina” di Karin Boye (1940), “1984di George Orwell (1949) e “Fahrenheit 451(1953) di Ray Bradbury, costituiscono gli esempi più fulgidi della cosiddetta ‘narrativa di anticipazione’ che descrive in termini pessimistici il futuro dell’umanità, proprio sulla scorta delle considerazioni formulate osservando i regimi totalitari del primo Novecento: punti di riferimento della letteratura mondiale, essi si impongono soprattutto sulla scena editoriale anglosassone.
Sul versante italiano, dopo la limitata circolazione di romanzi proto-fantascientifici quali “Storia filosofica dei secoli futuri(1860) di Ippolito Nievo, “Le meraviglie del Duemila(1907) di Emilio Salgari eLa principessa delle rose(1911) di Luigi Motta, sono le distopie anti-totalitarie a incontrare il maggior favore dei critici e dei lettori: in primis, si affermano il capolavoro di Corrado AlvaroL’uomo è forte(1938), salvatosi dalla censura di un fascismo implicitamente condannato nel corso della narrazione e, alcuni decenni dopo, il romanzo più suggestivo di Mario Soldati:Lo smeraldo(1974). È proprio quest’ultimo, un esemplare anomalo nel panorama letterario italiano del Novecento, a meritare un’analisi più approfondita per le sue peculiarità stilistiche e narrative. Il suo autore, Mario Soldati, conosciuto principalmente quale sceneggiatore e regista cinematografico (dirige ben ventotto film fra gli anni ‘30 e ‘50) si scontra con una critica inizialmente diffidente e restia a cogliere l’unitarietà della sua produzione narrativa, peraltro assai vasta: tra le sue opere spiccanoLa verità sul caso Motta” (1937), “A cena col Commendatore(1950), “La giacca verde” (1950),La Finestra(1950),Le lettere da Capri(1954),La confessione(1955),La busta arancione(1966),I racconti del maresciallo (1967),Vino al vino (1976),L’attore(1970), La sposa americana (1977),El paseo de Gracia(1987),Rami secchi (1989). Più recenti ma non meno significative sono Opere, romanzi brevi (1992), Le sere (1994) e Il concerto (1995). Ogni opera letteraria di Soldati presenta una ‘doppia anima’, cioè la fusione tra un moralismo ironico – sentimentale e uno spiccato gusto per l’intrigo, spinto talvolta sino al grottesco o al giallo: inoltre l’autore, grazie a uno sguardo educato alle arti figurative, sa rendere ogni turbamento d’animo dei suoi personaggi con la precisione prospettica d’un paesaggio, così come sa aggiungere commozione umana alla descrizione di cose inanimate. Tutti questi aspetti, tipici della cifra stilistica di Soldati, gli fanno guadagnare nel tempo il titolo di scrittore ‘visivo’ e ‘visionario’ e confluiscono ampiamente nel suo romanzo più ambizioso e originale: Lo smeraldo non è un libro di fantascienza anche se per buona parte la vicenda è proiettata nel futuro. Una visione, ecco, chiamiamola visione. Ma, allo stato di progetto, poteva anche essere un libro di fantascienza. La fantascienza ha basi razionali, direi quasi scientifiche;

il mio libro contiene una visione in parte fantastica, in parte basata su convincimenti che mi auguro sbagliati. Non ho mai scritto un libro così, non assomiglia a nessuna delle mie cose. Forse un paragone lo si può tentare solo con “La verità sul caso Motta” per quel suo surrealismo…


L’autore stesso, quindi, suggerisce quale sia la chiave interpretativa del suo romanzo, cioè quella fantastico-onirica, afferente alla dimensione della visione, allontanando con fermezza l’aspetto fantascientifico: è significativo, inoltre, che egli voglia sottolineare il carattere di unicità de Lo smeraldo all’interno della sua produzione letteraria, aspetto che già basterebbe a rendere l’opera appetibile ai fini di uno studio critico.
Valerio Evangelisti, nel saggio dal titolo Realismo onirico che introduce la riedizione del testo negli Oscar Mondadori, dichiara quanto segue:

Questo Lo smeraldo è del 1974, ma più di trent’anni dopo resta leggibilissimo (non per tutto Moravia, onestamente, si può dire lo stesso). Qualcuno lo potrebbe definire “fantastico” o addirittura “di fantascienza”, e per questo, credo, mi hanno incaricato di introdurlo. Però non è così. Intanto con la fantascienza ha una sola cosa in comune: sbaglia tutte le previsioni sul futuro.

Il fatto è che, contrariamente a un’opinione diffusa, la science fiction non ha mai avuto per oggetto la predizione dell’avvenire, bensì la proiezione dei dati del presente in uno spazio ipotetico che ne veda gli sviluppi. In questo senso, ma solo in questo, il romanzo di Soldati (così come il “Ti con zero” di Calvino) potrebbe essere definito “fantascientifico”. E nemmeno l’aggettivo “fantastico” si applica a Lo Smeraldo. Si parla di un mondo presente, non di un tempo favolistico. Si noti la meticolosità con cui Soldati si impegna, direi quasi “scientificamente”, a dimostrarci le capacità delle pietre preziose. Un attimo dopo, grazie a quello
smeraldo, si salta nell’onirico. Tuttavia il sogno è tanto concreto quanto la realtà, e ricco di dettagli. Lo smeraldo risulta pertanto, nel suo complesso, un romanzo visionario, onirico, surreale, distopico e post-apocalittico che racconta efficacemente l’angoscia e l’incertezza per un futuro desolante, attraverso una cornice di scienze occulte e una prosa raffinata e coinvolgente.
Utilizzando un espediente molto caro agli autori del realismo magico mitteleuropeo (basti pensare a Lernet-Holenia), Soldati introduce all’inizio della storia un personaggio enigmatico, dall’incontro col quale si innesca tutta la vicenda del romanzo. Infatti, già nelle prime pagine del romanzo, il protagonista, di nome Mario (scrittore e regista sposato, proiezione fintamente autobiografica dell’autore) incontra per le strade di New York un misterioso individuo, il Conte Cagliani, cittadino belga ma «old newyorker». Probabilmente non l’ha mai conosciuto prima, eppure gli ricorda qualcuno di familiare, come se ne avesse memoria da una vita precedente. I due iniziano a discutere, Cagliani sembra conoscere qualcosa di Mario, quasi avesse delle doti divinatorie: gli parla di un anello e lo invita a casa sua per cena, nel Greenwich Village, perché ha una proposta da fargli. La moglie di Mario si rifiuta di partecipare nonostante l’insistenza del marito che così, suo malgrado, decide di andare da solo. Il viaggio nella metropolitana assume le sembianze di un percorso sinistro: in una notte di pioggia dalle tinte cupe, Mario attraversa luoghi deserti e spettrali che si alternano ad ambienti sotterranei affollati da masse frenetiche di individui anonimi. Si tratta di immagini fulminee che rimandano, per suggestioni ossessive, all’angosciante futuro dell’umanità. Pur leggendo in queste atmosfere un infausto presagio, Mario raggiunge Cagliani che inizia a parlargli di telepatia, premonizioni e litomanzia: la predizione del futuro attraverso le pietre […]. Le pietre, certe pietre soprattutto, c’entrano col futuro. Col futuro e col passato. Perché tutto quanto esiste e non è corrotto dai vermi della vita, la materia insomma, è pietra: e la vita stessa, in principio, prima di essere vita, forse era pietra, e sicuramente, un giorno, sarà di nuovo pietra, pietra e polvere. Secondo Cagliani attraverso le pietre, in particolare quelle preziose, è possibile vivere una ‘comunicazione profetica’, vale a dire avere conoscenza e addirittura fare esperienza di quel che accadrà in futuro. Se affronta con Mario questi argomenti è perché sa che nella sua vita c’è uno smeraldo.
Mario conferma: effettivamente suo padre aveva posseduto uno smeraldo, poi andato smarrito. Attraverso una sorta di pratica divinatoria, Mario e Cagliani riescono a individuare su una cartina geografica il luogo in cui dovrebbe trovarsi la pietra preziosa. Cagliani convince allora Mario a cercare di recuperare la gemma che gli permetterebbe di avere la sua esperienza profetica.

“Mi dica, c’è qualcosa che la preoccupa, nel futuro?”
“Sì, il futuro.”
“Qualche cosa che, se potesse, vorrebbe sapere prima?”

“Vorrei tanto sapere che cosa sarà dei miei figli, quando mia moglie e io non ci saremo più. La civiltà occidentale, il mondo che noi conosciamo, sta crollando. Le cose vanno male dappertutto. In Italia, sento, e molti miei amici sentono come me, andranno anche peggio”.

In questa risposta che Mario dà al Conte Cagliani c’è tutto il senso del romanzo, tutta l’essenza delle vicende che seguiranno. Il futuro che prospetta Soldati è quanto mai spaventoso e terribile, perché proiezione del presente italiano del 1974, minacciato da una possibile guerra nucleare e funestato dalla lotta eversiva e dal terrorismo: d’altra parte, non è un caso che gli anni Settanta rappresentino ‘l’età dell’oro’ della distopia italiana novecentesca. Qui prende le mosse la recherche del protagonista, guidato dalle predizioni del vecchio indovino e inseguito dal buonsenso implacabile della propria moglie: vola in Francia, diretto a Saorge, per
recuperare l’‘eredità perduta’, come nei migliori melodrammi. Quando però Mario raggiunge il paese francese dove dovrebbe celarsi il suo smeraldo, una volta in albergo s’addormenta e inizia un sogno; è questo l’inizio vero e proprio del romanzo, straniante rispetto alla cornice finora raccontata:

Sognai. Come cominciano i sogni? Non ci ricordiamo mai come cominciano. Ci ricordiamo solo di qualche cosa che era già incominciato.

Mario si ‘risveglia’ in un futuro imprecisato, senza cognizione del tempo trascorso: inizialmente non è consapevole di essersi ‘reincarnato’ in Andrea Tellarini, un affermato pittore ligure, padre di un ragazzo. Si trova d’un tratto nel pieno di una festa notturna popolaresca, nella cittadina di Tellaro: il Natale subacqueo. L’ordine è mantenuto da paracadutisti portoghesi, gli striscioni lungo le strade sono in lingua russa e inglese. Mentre sta passeggiando insieme alla moglie, all’improvviso si accorge che la donna che ha di fianco non è la consorte, ma una donna bruna, sconosciuta, che si allontana subito, dileguandosi tra la folla: solo in quel momento realizza di stare sognando. E rapidamente, da una quantità di successivi indizi inquietanti, Mario/Andrea comprende che quello che sta sperimentando non è semplicemente un sogno, ma un viaggio nel futuro, un futuro spaventoso, angosciante e tragico per tutta l’umanità. È infatti precipitato in un mondo distopico, nel quale l’Italia settentrionale è parte di una Confederazione di Stati del Nord nata da un’alleanza sovietico-americana che raccoglie tutti i paesi industrializzati, mentre l’Italia meridionale rientra nella ‘Confederazione degli Stati Uniti Socialisti’ costituita da paesi in via di sviluppo dell’America, dell’Europa e dell’Asia. Al centro, Roma è distrutta: è un territorio-cuscinetto in rovine, deserto e inaccessibile. I pontefici sono due: uno, ad Aquileia, per la Confederazione del Nord e uno, a Malta, per la Confederazione del Sud.
Il mondo del futuro viene quindi descritto come reduce da un terribile conflitto mondiale e piegato sotto la forza di due governi che hanno instaurato, nella loro porzione di pianeta, una propria dittatura militare. La linea di confine è invalicabile: i due mondi non possono comunicare tra loro ed è severamente proibito passare da un polo all’altro: Mario/Andrea, però, deve farlo. Dopo aver recuperato il suo smeraldo intende infatti raggiungere Napoli, capitale dello Stato del Sud, dove si trova Mariolina, la donna amata in giovane età e mai dimenticata. Inizia così il suo viaggio in compagnia del figlio, attraverso un’Italia desolata e distrutta, cercando l’amore nella catastrofe: qui il possesso dello smeraldo s’intreccia con l’ossessione erotica. I due viaggiatori attraversano scenari selvaggi e agresti: si nutrono di rane sulla spiaggia, si abbeverano a corsi d’acqua naturali, incontrano zingari e militari. Costante e asfissiante è l’atmosfera di sospetto perenne e di diffidenza nei confronti di tutto e di tutti. Alle visioni atroci di cittadine e di villaggi ridotti a montagne di macerie, si alternano solo alcuni momenti di pace idilliaca, nel rigoglio della natura, che è tornata a vivere libera e incontaminata. Purtroppo, alla fine, lo smeraldo viene recuperato ma risulta falso, il giovane figlio di Mario/Andrea viene ucciso insieme a un gruppo di zingari e l’amore per Mariolina, che la pietra avrebbe dovuto sancire, si rivela vano ed effimero. La conclusione di questa epopea onirica è quindi assolutamente tragica: un incubo, piuttosto che un sogno, dal quale il protagonista si sveglia, augurandosi che non sia profetico. A tirare le fila del discorso è un incisivo ‘io narrante’, che ripercorre le tappe di un viaggio catartico verso la riappropriazione del sé complementare a quello onirico, incastonato nel racconto-cornice.
Trasversale a molteplici generi letterari (fantastico, epico, giallo) l’opera si configura quindi come una sorta di ‘romanzo di formazione’ contemporaneo nel quale, raggiunto l’apice della suspense con il dissolvimento della dimensione onirica, si delinea un’esplicita corrispondenza tra sogno, scrittura e vita. L’aspetto più affascinante de Lo smeraldo rimane però la suggestione distopica. Nell’opera di Soldati si ravvisano, infatti, elementi tipici del romanzo ‘distopico-dispotico’ accuratamente descritti da Franco Muzzioli in Scritture della catastrofe (2007). I caratteri che ci apprestiamo a incontrare sono: la presenza onnipervadente del leader carismatico (figura diabolica, l’opposto del legislatore utopistico); lo Stato di polizia e il controllo completo (fin dentro i pensieri); l’omogeneizzazione della massa e l’induzione del consenso con pratiche di “trance” collettiva; la repressione capillare, individuo per individuo, non esulando dall’uso della tortura. La distopia in questo caso non consiste nella fine del mondo, bensì nella fine della “coscienza” del mondo.
Afferma più avanti Muzzioli:

[…] basta prendere la realtà e portarla alle estreme conseguenze. Addirittura, a volte, la realtà ci ha già pensato da sola e l’immaginazione, per quanto “nera” sia, non ce la fa a starle dietro. Non è facile superare gli orrori della storia. Quante “stanze 101” ci vogliono per fare Auschwitz così come appare nelle testimonianze di Primo Levi?

Nel romanzo di Soldati sono presenti ben due regimi dittatoriali che attuano un rigido dominio sulla vita della popolazione e usano la tecnologia (videofoni) a fini inquisitori: nella Confederazione degli Stati del Nord a governare sono i Russi, non esiste più la proprietà privata (chi possiede oggetti preziosi ne subisce la confisca), è proibito il consumismo e l’unica industria è quella militare. La tortura è addirittura utilizzata come mezzo di ‘sorveglianza’. Il cinema è disprezzato, dimenticato, ignorato.
Abolita l’istituzione familiare, viene praticato un serrato controllo delle nascite e si incentiva l’omosessualità. Vengono inoltre interrotti i legami familiari fin dall’origine: ciascun nascituro, associato ad un numero che ne affianca il nome, è affidato alle cure di persone non a lui imparentate, scelte a caso da un computer, con il risultato che a nessuno è dato conoscere i propri genitori naturali. Perfino i medici, che sono militari o militarizzati, vengono trasferiti più volte all’anno in diverse zone di servizio per evitare che si affezionino a qualcuno. Afferma Mario/Andrea:

“D’altra parte, mi dicevo che qualunque forte organizzazione militare implica fatalmente l’omosessualità; e che quella proibizione, anzi quell’impossibilità, […] di conoscere, di allevare, di educare i figli, significava che si era voluto scoraggiare e distruggere la famiglia. Perché si era voluto distruggerla? Si era finalmente capito che la salvezza, oltre il benessere, dell’umanità dipendeva da una rigida regolamentazione e programmazione delle nascite? E per la stessa ragione si era forse cercato di favorire in ogni modo l’omosessualità sia maschile che femminile?”

La descrizione dettagliata del sistema distopico in vigore nella Confederazione del Nord è affidata al personaggio del ‘Tenente Colonnello Notaio’ Serghéi Grinièv:

“Il piano, naturalmente, fu non soltanto militare, ma anche politico, sociale, amministrativo. La Grande Confederazione del Nord, la SUSAEA o l’AEA, come si dice comunemente, stabilì subito una rigorosa sistemazione del controllo delle nascite. Gli studiosi avevano ormai provato che non l’attività sessuale, ma la famiglia era la vera causa della sovrappopolazione. L’attività sessuale poteva essere perfettamente regolata e contenuta favorendo sia l’omosessualità, che è così innocua, sia le pratiche anticoncezionali e abortive. Il vero nemico era però la famiglia, questo bisogno umano di sopravvivere in qualche modo alla morte allevando, educando i figli del proprio sangue e garantendo loro un’eredità non soltanto materiale. Così, i figli, appena nati, furono, per legge, sottratti ai genitori e inviati in brefotrofi confederali, lontani e anche lontanissimi, dove, automaticamente, si perdeva ogni possibilità di riconoscere la loro origine: né i genitori, né poi loro stessi, nemmeno il Governo Centrale, sarebbero più stati in grado di rintracciarli. Vi dirò che, purtroppo, questa e il divieto di attraversare la Linea sono le sole leggi, finora, che non furono mai infrante.

L’ostilità nei confronti dei legami affettivi e familiari è un tratto ricorrente nei romanzi ‘distopico-dispotici’: è peraltro già presente ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley, il capostipite del genere. «La rivoluzione sessuale è un punto irrisolto di tutte le utopie. La famiglia, come prevedeva Freud, non è risultata sostituibile, ma proprio per questo il motto “every one belongs to every one else” che Huxley deride tra le stupide formulette della sua società “in bottiglia”, rimane una istanza inadempiuta». Altro aspetto tipico è il racconto della distorsione della scienza e della storia operata dai regimi: anche la censura è applicata sistematicamente per perseguire la manipolazione delle menti.” Ne Lo smeraldo ciò si evince dagli scambi di battute tra Mario/Andrea e suo figlio:

“Non mi avevi mai detto, papà, che conoscevi così bene le Costellazioni! Questa sì che è una sorpresa. Me le insegni?”.
“Certo, quando vuoi”.
“A scuola, non me le avevano fatte studiare. Nessuno le sa. Soltanto i tecnici”.
[…]
“Non ti hanno insegnato chi era Cristoforo Colombo?”.
“No”.
“Cristoforo Colombo era un navigatore genovese che nel 1492 ha scoperto l’America!”.

“A noi hanno sempre insegnato che l’America l’ha scoperta uno dei Riurik, un variago… Un altro variago ha fondato l’Impero Russo”.

Per ciò che concerne la Confederazione degli Stati Uniti Socialisti, costituita da grandi e piccoli dittatori associati (cinesi, arabi, greci, persiani, turchi., ecc.), essa si caratterizza come culturalmente raffinata ma molto arretrata sul piano economico e sociale: anche in questo contesto le esistenze dei cittadini sono sotto il perenne controllo di un regime autoritario che opera, in modo capillare, attraverso le forze di polizia.
Secondo Franco Muzzioli oltre ai tratti tipici del romanzo ‘distopico-dispotico’ Lo smeraldo presenta anche numerosi elementi propri della cosiddetta ‘distopia catastrofica’: ciò risulta particolarmente evidente se si analizza la descrizione del panorama post-apocalittico che si presenta agli occhi di Mario/Andrea e di suo figlio mentre superano la linea di confine tra i due regimi che va dal Mar Tirreno al Mar Adriatico: case abbandonate e distrutte, popolazione che si dirada, alberi bruciati, fontane con acqua non potabile. Nell’attraversamento di un antico centro cittadino, quello di Acquapendente nei pressi di Viterbo, i personaggi entrano in pieno contatto con la devastazione:

Curiosamente, nel vecchio centro ottocentesco e medievale, il disastro pareva meno terribile. Incominciammo a capire allora che esistono come tre classi di rovine: tre diversi generi di disgregazione. Il peggiore, il più impressionante, era quello delle costruzioni più moderne: il ferro e il cemento, forse perché più resistenti, sembravano esplosi dall’interno: putrelle, profilati, tondini si levavano aguzzi, arrugginiti, contorti fino al cielo; e i blocchi biancastri di calce, qua sbocconcellati o polverizzati, là interi ma corrosi e spugnosi come per una lebbra, erano ammonticchiati nelle più varie forme, nelle più bizzarre combinazioni, in una scenografia involontaria dell’angoscia, in uno spasimo della catastrofe durato pochi istanti e immobilizzato per sempre. Dei mucchietti di tritume erano sparsi, quasi nascosti qua e là. Non ci avvicinammo, non volevamo vedere meglio. Ma il sottile fetore che ancora emanava, e le bestie che li frequentavano, frotte nere e affaccendate di topi, sciami librati e oscillanti di insetti, semoventi poltiglie di formiche, non lasciavano dubbi. Ci allontanavamo ogni volta con brevi corse stremanti, coprendoci di sudore. La disgregazione delle case in mattoni non ha un aspetto così atroce: il colore rosso, e quello verde, dell’erba che vi cresce sopra e intorno, le trasformano, specialmente se viste a distanza, in qualcosa di naturale e di pittoresco.
La pietra, infine, la pietra delle vecchie case e delle chiese rivestite di edera, può anche avvincere la fantasia: come se prima o poi avesse dovuto incontrare quel destino, assumere quella vaghezza sepolcrale e quella malinconia piranesiana. Ad Acquapendente, nella distruzione generale di tutto, cioè non solo degli originari resti romanici ma anche degli inerti e crudi restauri eseguiti dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, la facciata e il portico della basilica di San Sepolcro avevano addirittura riguadagnato la perduta bellezza.
Senza contare che, per un caso inspiegabile, tra le rovine di mattoni e pietra, non scorgevamo mai bestie né insetti: i rimasugli dei poveri cadaveri della terza guerra mondiale parevano misteriosamente scomparsi. Ma quanti anni fa era dunque scoppiata questa terza terribile guerra? Quando, esattamente, erano stati lanciati satelliti atomici?

Nel testo si fa esplicito riferimento a una terza guerra mondiale di matrice nucleare, elemento che entra con urgenza nell’immaginario letterario mondiale dopo gli eventi di Hiroshima e Nagasaki e vi rimane per tutta la Guerra fredda. Risulta perciò interessante osservare in quale modo gli scrittori italiani del secondo Novecento abbiano trattato la medesima tematica per poter operare un confronto con Lo smeraldo. È importante sottolineare che in nessuno di loro è contemplato l’elemento ‘spettacolare’ della bomba atomica: ciò che interessa rappresentare è il suo valore allegorico.
Nello specifico, alcune opere raccontano il clima di paura generato dalla prospettiva di un imminente disastro nucleare: è il caso di All’idrogeno di Dino Buzzati e di Corporale di Paolo Volponi. Nel primo, si narra di un pacco recapitato in un condominio che sembra contenga una bomba: gli inquilini sono per le scale e si chiedono di chi sarà. Poi riescono a leggere il nome deldestinatario e si allontanano da lui, dandogli la colpa del pericolo che stanno correndo tutti. In Corporale invece il protagonista, terrorizzato dall’atomica tanto da costruirsi un rifugio sulle colline appenniniche, cerca di immaginare il proprio corpo ad esplosione avvenuta. Secondo i due autori non c’è bisogno di raccontare gli effettivi utilizzi della bomba: dacché è stata concepita e realizzata, essa sortisce comunque un’inquietante influenza sull’immaginario del singolo e della collettività.
Ci sono poi narrazioni che descrivono, come Lo smeraldo, scenari post-atomici: è il caso di Dissipatio H. G. di Guido Morselli, Il superstite di Carlo Cassola e Il pianeta irritabile di Volponi. Nel romanzo di Morselli il protagonista si accorge di essere rimasto l’unico sopravvissuto del genere umano proprio nel momento in cui è intenzionato a suicidarsi nel laghetto di una caverna: subito reagisce abbandonando i suoi propositi e iniziando a vivere la propria condizione con ironia e fredda lucidità fino all’inevitabile sopraggiungere della disperazione. Il finale però, che descrive l’apparizione di alcuni ciuffi di erba selvatica, apre un varco alla speranza.
Ne Il superstite, invece, lo scenario post-atomico è raccontato dal punto di vista di un cane che riesce a sopravvivere a una guerra nucleare e che, dopo aver scoperto di essere rimasto senza il suo padrone e gli animali suoi ‘conoscenti’, inizia un vagabondaggio alla ricerca di qualche forma di vita.
Anche ne Il pianeta irritabile di Volponi il mondo animale ha un ruolo centrale, in questo caso da co-protagonista: nel romanzo si racconta infatti che nel 2293, dopo una serie di conflitti nucleari che hanno devastato il pianeta Terra, un nano, una scimmia, un’oca e un elefante si sottraggono alle macerie di un’esplosione atomica per iniziare un viaggio pieno di ostacoli alla ricerca della salvezza in un nuovo mondo.
Malgrado la tematica di tipo ‘catastrofico’, però, ciò che accomuna tali opere è una visione tutt’altro che nichilista dell’esistenza sulla Terra: viene infatti ribadito, nei modi più disparati, che nessuna distruzione provocata dall’essere umano può mai essere definitiva perché la vita, in un modo o in un altro, continua. Semmai, ammoniscono gli autori, gli esseri umani devono prevenire le conseguenze di un cattivo uso del calcolo e della ragione, uso violento e autoritario, insito nelle logiche politico-economiche dell’era post-industriale.
Soldati si pone lungo questo filone ideologico-letterario: anche la sua è una favola morale che riflette i timori apocalittici della società occidentale degli anni Settanta, cercando di esorcizzarli. È anche questo il motivo per cui l’aspetto distopico è relegato alla dimensione onirica: si tratta di un incubo dal quale ci si può e ci si deve svegliare, come accade a Mario/Andrea che contrappone all’utopia negativa descritta nel sogno l’opera letteraria che ha appena compiuto, il romanzo.

Si è quindi di fronte a quella che Muzzioli definisce una ‘distopia critica’ che, invece di incorrere nell’estremizzazione, contempla dentro di sé istanze e soluzioni utopiche.
C’è però un elemento che distingue nettamente l’opera di Soldati da quella dei suoi illustri omologhi: la presenza consolatoria e talvolta liberatoria della bellezza e dell’arte.
Nei romanzi di Cassola o di Volponi, ad esempio, predomina il registro ‘antisublime’: le stelle sono beffarde e magari finiscono nel cassonetto della spazzatura (ne Il superstite) o la luna cade nell’indifferenza generale (ne Il pianeta irritabile).
Lo status di pittore e la raffinata sensibilità d’artista costituiscono invece preziose risorse nel mondo distopico de Lo smeraldo, sia sul piano concreto che spirituale. Sono interessanti, a tal proposito, le parole quasi nostalgiche del Generale Meyer:

«Abbiamo molto bisogno di artisti, oggi. Sembra che siano sempre più rari. Non ci sono più neanche falsi artisti».

All’arte viene addirittura riconosciuta la possibilità di valicare i limiti imposti dai regimi dittatoriali.
Mario/Andrea, in qualità di pittore, può infatti godere del privilegio di spostarsi liberamente nel territorio diviso dalla frontiera:

È inoltre il suo sguardo educato alla bellezza che gli permette di cogliere qualche scorcio idilliaco in mezzo alla devastazione che lo circonda: esemplare è la scena in cui osserva suo figlio e la zingara di cui si è innamorato. Vedevo che lui era felice di stare sempre con Gùscitza, e la sua felicità non poteva non farmi piacere. Mi dicevo che, come una nuvola aveva improvvisamente oscurato la luna per proteggerli, chiuderli in quel primo colloquio notturno, così ora la pioggia, trattenendoci a Roma, continuava a favorire il loro amore. […] Tornò infatti il sole. Il quarto giorno non pioveva più. Verso sera la tramontana spazzò le nuvole. Il cielo, dalla parte di Monte Mario, si inondò di una prodigiosa luce rossa. Dall’alto del bosco del Quirinale, dove finalmente ero salito con Prpich a vedere come stavano i muli, contemplavo lo spettacolo meraviglioso e apocalittico, sull’infinità delle macerie.

Paradossalmente, il mondo ‘non civilizzato’ nel quale vivono gli zingari, proprio perché emarginato dai regimi dominanti, appare come un’oasi nel ‘deserto distopico’ post-nucleare, un non-luogo nel quale è ancora possibile l’espressione dei sentimenti. Già ne Il mondo nuovo di Huxley è presente la stigmatizzazione di tutto ciò che, naturale o selvaggio, contempla l’esperienza della passione amorosa e del dolore «di contro alla soddisfazione inebetita della droga».
Altra scena sublime de Lo smeraldo è quella in cui Mario/Andrea e suo figlio osservano le stelle «azzurre, vibranti, palpitanti» bucare «fittissime tutto intorno […] l’immensità nera».
In tutti questi passaggi del romanzo, Soldati si fa portavoce delle suggestioni apocalittiche della sua generazione unite a un deciso ‘anticapitalismo romantico’ tendente alla repulsione del moderno, molto presente nell’immaginario politico degli anni Settanta.
Lo stesso autore, peraltro, confessa di aver scritto Lo smeraldo mosso dalla paura nei confronti del futuro e preoccupato per il mondo in cui sarebbero cresciuti i propri figli:

Mi ricordo che nel ’29 rimasi molto colpito dai cimiteri di macchine. In Italia non c’erano ancora, adesso ci sono. E mi ricordo che nel ‘55, lungo la strada che va da Gignese a Stresa, i miei figli volevano sempre fermarsi a guardare una macchina bruciata, una carcassa su un prato. Mi si sono presentate immagini fulminee e ossessive del futuro dell’umanità, mi sono angosciato pensando ai miei figli.

Da tutte queste considerazioni emerge quanto Lo smeraldo sia un romanzo perturbante e sui generis ma anche affascinante nella sua unicità. Soldati, infatti, riesce a mettere in scena le più tradizionali tra le situazioni (il rapporto padre-figlio, la ricerca di un amore, ecc.), in un’ambientazione assolutamente straniante e originale. Indagando con sguardo critico i temi del progresso tecnologico, dell’inquinamento ambientale, del controllo sociale, della degradazione dei valori e degli affetti o dei rischi autoritari di certa politica, Lo smeraldo si presenta come un testo erudito ma non oscuro che attraversa generi diversi, veicolando messaggi ancora estremamente attuali.
Non è un caso, quindi, che abbia ottenuto un’ottima accoglienza da parte del pubblico e il plauso, tra gli altri, di Luchino Visconti e Pier Paolo Pasolini. Quest’ultimo in una recensione dal titolo A proposito dello Smeraldo di Mario Soldati scrive quanto segue:

L’astuzia – una mitissima, candidissima, entusiastica astuzia – è l’arma di Soldati scrittore. Lo smeraldo è un gioco giocato secondo schemi miticamente tradizionali (il romanzo di avventure, il giallo alla Greene, la fantascienza) ma con un’astuzia quasi da baro.

E i lettori, complici di questo ‘gioco’ letterario, si lasciano volentieri trasportare in questa raffinata suggestione futuristica di Soldati che, forse, tanto visionaria non è.

 

https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/letteratura-e-scienze

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A cura di Patrizia Pisino

 

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