DI PEPE ESCOBAR
counterpunch.org
Trump avrà un successo dieci volte quello della Brexit? Cosa serve – oltre a Wikileaks – per far crollare il castello della Clinton? E la Clinton se vince farà scoppiare la Terza Guerra Mondiale contro l’asse del male Russia/Iran/Siria? Il Medio Oriente finirà con l’implodere completamente? La Cina governerà il mondo nel 2025?
Tra tutti questi frenetici frammenti di realtà geopolitica che puntellano precariamente le nostre rovine, è difficile non rievocare il grande e compianto maestro decostruzionista Jean Baudrillard. Nel corso dei post-moderni anni ’80 era molto in voga essere Baudrillardiano fino al midollo; il suo “America”, pubblicato originariamente in Francia nel 1986, oggi dovrebbe essere ancora considerato come il definitivo, metafisico, geologico Instagram culturale dell’Eccezionalistan.
Verso la fine dei ’90, a fine millennio, due anni prima dell’11 Settembre – evento che stabilì il concetto del “prima e dopo” – Baudrillard già sottolineava che vivevamo in un labirinto di mercati neri. Oggi siamo al parossismo del mercato nero.
Le moltitudini globali sono sottoposte a un mercato nero del lavoro (vedi deregolamentazione del mercato ufficiale); a un mercato nero di disoccupazione; a un mercato nero di speculazione finanziaria; a un mercato nero di miseria e povertà; a un mercato nero del sesso (vedi prostituzione); a un mercato nero dell’informazione (vedi spionaggio e guerre tra intelligence); a un mercato nero di armi; e anche a un mercato nero del pensiero.
Ben oltre la fine del 20° secolo, intorno al 2010, quello che l’Occidente lodava come «democrazia liberale» – che in realtà non era che un diktat neoliberista – ha praticamente assorbito ogni divergenza ideologica, lasciandosi dietro un mucchio di differenze che fluttuano in una sorta di effetto trompe l’oeil. Quel che resta è una diffusa condizione generale malsana; il divieto preventivo di qualsiasi pensiero critico, fa sì che l’unico modo di esprimersi è quello di diventare clandestini (o trovare una propria nicchia giusta su internet).
Baudrillard sapeva già che il concetto di «alter» (diverso) – ucciso dalla convivialità – non esiste nel mercato ufficiale. Quindi è nato un «alter» mercato nero, cooptato dai trafficanti, dove regnano il razzismo, il nazionalismo ed altre forme di esclusione. Baudrillard aveva già identificato il modo in cui un «alter» tipo di contrabbando – che si esprimeva in sette ed altre forme di nazionalismo (pensiamo oggi allo spettro tra il jihadismo e i partiti politici di estrema destra) – era destinato a divenire ulteriormente virulento in una società ormai disperatamente intollerante, ossessionata dall’irreggimentazione e completamente omogeneizzata.
Poteva essere molto divertente vivere la vita in un’utopica e sconvolgente miscela di culture, segni, differenze e «valori»; ma poi è il pensiero si è fuso con la sua esatta replica tecnologica – l’intelligenza artificiale – giocando con la linea di demarcazione tra umano e non-umano nel campo del pensiero.
Il risultato, come anticipato da Baudrillard, è stata la produzione di una società parapolitica – con una specie di mafia che controlla questa forma nascosta di corruzione generalizzata (si pensi ai Maestri finanziari dell’Universo). Il potere non è in grado di combattere questa mafia – che sarebbe poi un’ipocrisia, perché la mafia si emana dal potere.
Il risultato finale è che ovunque oggi le cose più importanti tendono ad avvenire al di fuori degli ambienti ufficiali; come in un mercato nero sociale.
ESISTE ANCORA LA “VERA” INFORMAZIONE?
Baudrillard ha descritto l’economia politica come una macchina gigantesca che produce valore e segni di ricchezza, ma non ricchezza in sé. L’intero sistema dei media – tuttora controllato dagli Stati Uniti – è un’enorme macchina che produce eventi come segni; valore di scambio nel mercato universale dell’ideologia, dello star system e del catastrofismo.
Quest’astrazione dell’informazione funziona come per l’economia – rigurgitando materiale codificato, decifrato a priori e scambiabile in termini di modelli, così come l’economia rigurgita prodotti scambiabili in termini di prezzo e valore.
Così come tutte le merci sono scambiabili – grazie a quest’astrazione del valore – allo stesso modo tutti gli eventi (o non-eventi) sono scambiabili, sostituendosi uno all’altro nel mercato culturale dell’informazione.
E questo ci conduce al punto dove oggi siamo noi: trans-storia e trans-politica, dove gli eventi non sono realmente accaduti, essendosi persi nel vuoto dell’informazione (così come l’economia si perde nel vuoto della speculazione).
Ecco la quintessenza dell’analisi di Baudrillard: se consideriamo la storia come un film – quello che oggi è – allora la “verità” nell’informazione non è altro che la sincronizzazione, il doppiaggio e i sottotitoli della post-produzione.
Tuttavia, poiché dilaga l’irresistibile istinto di divorare eventi, c’è anche molta delusione, perché i contenuti dell’informazione sono tristemente inferiori ai mezzi per la loro diffusione. Definiamolo pure un patetico contagio universale: la gente non sa come gestire tristezza ed entusiasmo in una società ormai teatro dell’assurdo, dove niente ha delle conseguenze.
Nessuna azione, o fatto, o misfatto (vedi la crisi finanziaria del 2008), o evento politico (vedi le mail pubblicate da Wikileaks che mostrano non ci sia alcuna distinzione tra la macchina fabbrica-soldi del “non profit” di Clinton, pubblico e privato, ricerca ossessiva di proprie ricchezze e affari di stato) sembrano avere più alcuna conseguenza.
Immunità, impunità, corruzione, speculazione – stiamo virando verso uno stato di responsabilità pari a zero (si pensi a Goldman Sachs). Quindi, automaticamente, bramiamo un evento di conseguenza massima, un evento «fatale» che ripari a questa scandalosa non-equivalenza. Come un simbolico riequilibrio della bilancia del destino.
Così sogniamo un evento eccezionale: un Trump che vince alle elezioni? O una Clinton che dichiara la Terza Guerra Mondiale? Un qualcosa, insomma, che ci liberi dalla schiavitù di dover sempre cercare un senso e un’equivalenza tra causa ed effetto.
NEL MONDO DELLE OMBRE
Proprio come Baudrillard, negli anni ’80 e ’90 ho avuto modo di conoscere l’America dal di dentro percorrendola in auto in lungo e largo.
Così, prima o poi, uno sviluppa un rapporto metafisico con quell’avviso: “Gli oggetti riflessi nello specchio possono essere più vicini di quanto sembrino”.
E se invece fossero più lontani?
Il diluvio di immagini che la cultura contemporanea fatta di istanti/eventi/celebrità riversa continuamente su di noi, ci rende più vicini ad un mondo “reale” che in realtà è molto lontano da noi? Oppure tengono il mondo “reale” a distanza da noi, creando una profondità di campo artificiale che ci protegge dall’imminenza degli oggetti e dal pericolo virtuale che essi rappresentano?
Allo stesso tempo, continuiamo a caracollare goffamente verso un’unica lingua futura – il linguaggio degli algoritmi, come ce li propina l’asse Wall Street/Silicon Valley – che rappresenterebbe una vera catastrofe antropologica, proprio come il sogno Globalista/Nuovo Ordine Mondiale dell’Unico Pensiero e dell’Unica Cultura.
Le lingue, per definizione, sono molteplici ed uniche in se stesse. Se ci fosse un’unica lingua, le parole sarebbero univoche, auto-determinate da un significato automatico.
Non ci sarebbe interattività, poiché non c’è interattività in un linguaggio automatico. Il linguaggio non sarebbe che una semplice appendice di una realtà massificata – il destino negativo di una specie umana languidamente unificata.
Il Sogno Americano oggi è su questa strada. E’ il momento di fargli prendere la prima uscita.
Pepe Escobar
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2016/11/01/american-dream-revisited/
1.11.2016
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63