Il lungo addio al Kamut, marchio registrato

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di Dario De Marco

L’inchiesta di Report sul Kaumut, marchio registrato americano, scopre contaminazioni da glifosato e mostra che molte aziende italiane, da Alce Nero a Naturasì, lo stanno abbandonando.

Un lungo addio: in sordina, lento, in ordine sparso. Ma indubitabile: è quello che le aziende italiane stanno compiendo nei confronti di Kamut, il marchio registrato di origine statunitense che negli scorsi decenni è riuscito nell’impresa di identificarsi con una intera varietà di grano duro, il Khorasan o triticum turanicum. È questa, in sintesi, l’impressione che si ha dopo aver visto i 30 minuti dedicati all’argomento dalla trasmissione Report di Rai 3, nell’inchiesta firmata da Bernardo Iovene.

Il reportage ha vari meriti: innanzitutto quello divulgativo di spiegare al grande pubblico, che magari non la conosce, la storia della Kamut, azienda americana che ha compiuto una delle più notevoli operazioni di marketing degli ultimi anni. Cavalcando la nascente onda dei grani antichi – addirittura nei primi tempi era in circolazione la storia del grano del faraone, nato da semi di 4.000 anni ritrovati in una tomba egizia – Bob Quinn, l’inventore del Kamut, è riuscito a imporre il suo marchio a livello globale, diventando di fatto quasi un monopolista: unico produttore – che raccoglie i cereali coltivati da agricoltori tra Stati Uniti e Canada – unico esportatore, che si appoggia per esempio in Europa a un unico distributore.

L’aureola di santità che si è creata attorno a questo prodotto – popolarissimo soprattutto in Italia, che è il maggior importatore al mondo – oltre che dagli indiscutibili vantaggi a livello nutrizionale e gustativo, deriva dal fatto che le coltivazioni sono senza OGM e senza pesticidi: il tutto discende dalla certificazione biologica con la quale il grano arriva dall’America. Ma è proprio qui che Report ha affondato il bisturi, scoprendo che nel 2017 era stata fatta una segnalazione da Federbio, che aveva rilevato la presenza di glifosato in 4 di 5 container analizzati. Il glifosato è il noto pesticida della Monsanto, spesso al centro di polemiche: al di là dei più o meno dimostrati pericoli per la salute, il fatto certo è che per essere biologico nella Ue un cibo deve avere al massimo 0,01 milligrammi di residuo per chilogrammo, in pratica niente.

Alla segnalazione non è stato dato seguito a livello ufficiale, né evidentemente fu resa pubblica all’epoca. Però, è stato all’epoca, forse per caso forse no, che le cose hanno iniziato a cambiare. Per esempio De Cecco, il più grande pastificio italiano, pur continuando a importare dalla Kamut ha eliminato dalle confezioni di pasta la dicitura “prodotto biologico”. Da parte sua, ha scoperto sempre Report, il pastificio Ghigo che prende il Kamut dal Molino Grassi per fare la pasta a marchio Conad, ha rilevato almeno in una occasione presenza di glifosato a livelli superiori a quelli consentiti, ma su suggerimento della Kamut ha ripetuto le analisi (in un laboratorio che non si capisce se sia stato o meno indicato dall’azienda americana stessa) ed è andato tutto ok.

In maniera diversa si è regolata Alce Nero, storica azienda di alimenti bio in Italia. Da un po’ di tempo hanno abbandonato il Kamut e producono pasta, biscotti e farina di khorasan italiano. Ai microfoni di Report l’amministratore delegato Massimo Monti ha rilevato: “Oggi è un prodotto assolutamente marginale. Avevamo sottovalutato la forza del marchio, anche se l’avevamo messo in conto”. Piccola notizia, alla telecamera di Iovene anche NaturaSì annuncia una svolta del genere, per bocca dell’ad Fausto Jori: “Cerchiamo di spostare tutti i nostro prodotti nel nostro ecosistema”. Non lo venderete più?, incalza il giornalista. “Tendenzialmente è una strada che stiamo percorrendo”.

Una strada che prova a coniugare controllo sui pesticidi e filiera corta, sostenibilità ecologica ed economica. Infatti, nell’ultima parte, Report mostra gli agricoltori e i molini italiani che sono alle prese con le varietà di turanicum, che a seconda delle regioni assume diversi nomi: per esempio etrusco in Toscana, perciasacchi in Sicilia. E c’è da dire che tale aspetto, se da un lato mostra la resistenza negli anni di certe varietà – il fatto insomma che davvero si tratti di “grani antichi” – dall’altro non contribuisce al successo commerciale. Ma questo riguarda il futuro del khorasan: un futuro senza Kamut.

Fonte: https://www.dissapore.com/alimentazione/il-lungo-addio-al-kamut-marchio-registrato/

Pubblicato il 08.06.2021

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