IL BANCO VINCE SEMPRE

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DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

“…e lo Stato che fa: si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità.”
Fabrizio de André – Don Raffaé – dall’album Le nuvole – 1990.

La prima cosa che mi è saltata in mente, quando ho saputo della vincita di 150 milioni al Superenalotto, è stata “cosa ne avrei fatto”: come tutti, ho l’ardire di pensare.
Pur non giocando mai, talvolta queste fantasie mi prendono; ecco allora la mente popolarsi di slanciati velieri “da sogno”, oppure di tenute agricole sconfinate: ciascuno colorerà il proprio avvenire secondo le proprie inclinazioni.
Dopo che qualcuno ha vinto quella montagna di soldi, per un po’ di tempo le fantasie oniriche s’acquietano, come la corrente di un ruscello che trova pace nelle placide acque di un laghetto.
Sono intimamente convinto che, nel periodo successivo a queste vincite, se potessimo indagare, misurare la salute psichica della popolazione scopriremmo che subisce un colpo, quasi un trauma. In fin dei conti, non essere fra i fortunati significa far parte degli esclusi, e i nostri umori più segreti poco si nutrono di raziocinio.
Sorge però alla mente un dilemma: perché le vincite sono sempre più alte, addirittura stratosferiche, al punto di raggiungere numeri di solito riservati ai grandi bilanci aziendali, oppure a leggi di spesa? E’ sempre stato così?

I ricordi conducono a lontane “Canzonissime”, dove il primo premio era di 100 milioni di Lire: anche le grandi vincite al Totocalcio dell’epoca s’aggiravano intorno a quei valori. Su quali basi di reddito?
Attingendo più ai miei ricordi che a complessi studi statistici, ricordo che intorno al 1970 il salario di un operaio s’aggirava intorno alle 80.000 Lire il mese, quello di un impiegato verso le 100.000: un preciso ricordo, del 1972, riferisce che un insegnante delle Medie, pochi anni d’anzianità e due figli a carico, guadagnava 140.000 Lire il mese.
Ponendo a 100.000 Lire una media ragionata ed approssimativa delle retribuzioni di quel periodo, la vincita di 100 milioni rappresentava un corrispettivo pari a 1.000 retribuzioni mensili.

Oggi è piuttosto difficile compiere una media ragionata delle retribuzioni, perché la gran varietà di contratti atipici – periodi di disoccupazione, lavori a progetto, ecc – rendono qualsiasi ricognizione assai ardua. Non ho nemmeno preso in esame i dati ufficiali, poiché con il famigerato “mezzo pollo” non s’è mai saziato nessuno.
Partendo dai 500-800 euro dei lavoratori “atipici”, passando per i salari operai più bassi intorno ai 1.200 euro, per finire con chi ha ancora un impiego tradizionale (pubblico o privato) con massimi intorno ai 2.000 euro, forse 1.400 euro è una cifra vicina ad un salario medio.
Una vincita alla Lotteria di Capodanno, con 5 milioni di euro come primo premio, equivale oggi a 3.500 salari mensili: tre volte e mezzo rispetto a quegli (oramai) quasi antichi concorsi.
L’attuale vincita al Superenalotto di 147,8 milioni rappresenta invece – se correlata al solito stipendio di 1.400 euro – ben 105.571 salari mensili! Che salto.
Le cifre potranno contenere qualche imprecisione di dettaglio, perché il discorso che vogliamo sottoporre all’attenzione dei lettori è altro, e poco importano i decimali.

Lo Stato incassa circa la metà dell’ammontare delle giocate, mentre al monte premi va circa il 38% del totale: il rimanente 12% è suddiviso fra la ricevitoria “vincente” (la quale incassa un bel gruzzolo, l’8%) e la società Sisal che gestisce il gioco (4%) [1].
Fin qui aride cifre, dalle quali scopriamo la nuda realtà: il gran vincitore è sempre lo Stato, il quale osa chiamare “gioco” una vera e propria rapina dove incassa la metà del bottino, mentre i giocatori si dividono poco di più della terza parte. E non finisce qui: cosa farne di una simile montagna di soldi?

Toglietevi pure tutti gli sfizi che vi vengono in mente: villa faraonica, due o tre Ferrari, veliero a Portofino, aereo privato, aggiungete anche tre giri del mondo, e vi rimarrà sempre una montagna di soldi. Dove li metterete?
Sicuramente in qualche posto dove vi garantiscano, al netto dell’inflazione, un rendimento che vi consentirà una vita da nababbo: una banca, una finanziaria, un posto dove gestiranno i vostri soldi. Da dove vengono quei soldi?

Prima che la Dea Bendata vi favorisse, circolavano nelle tasche degli italiani, i quali potevano decidere se godere di un modesto piacere (una pizza e una birra) oppure tentare la fortuna, facendo finta di non sapere che le probabilità di vincere sono una su tot miliardi o giù di lì.
Quei 450 milioni di euro (circa) che sono stati il giro d’affari della recente vincita di Bagnone – e che rappresentano circa 45 milioni di pizze e birre – si sono trasformati in un colossale rastrellamento di soldi, che sono finiti nel gigantesco calderone dove la Casta affonda le mani come e quando vuole, più quel direttore di Banca che si sfregherà le mani, poiché saprà d’avere un centinaio di milioni di euro – per moltissimo tempo – a disposizione.

Siccome chi vince simili cifre – e non ci riferiamo solo alla recente vincita di Bagnone – desidererà investimenti a basso rischio e sicuri (l’ammontare degli interessi è tale da soddisfare qualsiasi desiderio, basta che duri nel tempo) la Banca potrà investirli sui mercati asiatici, oppure servirsi della solita pratica di garantire prestiti per un controvalore pari a 20 volte le giacenze. Una bella “botta” di guadagni in ogni caso.
La teoria che regge l’aumento stratosferico delle vincite è dunque quella di sottrarre denaro al circolante per convogliarlo su due direttrici: il bilancio statale, che soddisfa i bisogni della Casta, e le casseforti delle Banche, le quali rimpinguano l’oligarchia finanziaria. Chi ci perde? I pizzaioli – quelli che lavorano – perché in una sola “botta” vedono scomparire 45 milioni d’avventori.

Si potrà affermare “gli italiani sono liberi di giocare o di non farlo”: verissimo, ma facile a dirsi. Sono anche liberi di non indebitarsi per acquistare quella tale autovettura che fa sognare, ma giungono fino agli strozzini pur d’averla.
Io non gioco: semplicemente, perché ho capito il trucco. M’attizza di più lo scopone scientifico, quando ero giovane il calcio, talvolta il biliardo: questi sono “giochi”, ossia attività ludiche, dedite al sollazzo di chi le pratica.
Possiamo, ragionevolmente, paragonare chi gratta numeri o compila schede – con il solo obiettivo in mente di catalizzare un sogno – con chi gioca la consumazione a scopa? Nemmeno il Casinò regge il paragone, perché lì i soldi devi averli per davvero.

Anche se non gioco, quando mi reco in cartoleria od in tabaccheria li osservo, nei pochi attimi nei quali ricevo il resto, oppure mentre attendo il mio turno.
Cosa narrano quei visi?
I più, raccontano una sofferenza troppo difficile da sopportare senza una speranza, una timida e lontanissima illusione, che mentre grattano o anneriscono i numeri prende forma, come un tempo ci si rivolgeva alla Madonna, in Chiesa, per ricevere conforto e soccorso.
Scorrono su quei visi la disoccupazione del marito, la cronica malattia della moglie, la figlia che si è appena separata con due figli da mantenere e lo scarso contributo dell’ex coniuge, l’anziana madre – alla quale bisogna comunque provvedere – e per la quale non si riesce nemmeno ad avere il modesto contributo per l’accompagnamento.
A parole, per ciascuno di quei problemi lo Stato ha una soluzione: in pratica, la Casta concede solo dopo martellanti attese, labirinti burocratici, inaccessibili contributi…e, spesso, si riesce soltanto al prezzo di baciare le mani del mammasantissima di turno. Se lo si conosce, se qualcuno te lo indica, ti raccomanda, t’introduce.
Altrimenti, l’ultima fermata dei perdenti è la ricevitoria, l’angolo del viale dove lo Stato t’attende per confortarti con un sogno menzognero,
e rubarti i pochi soldi che ancora hai in tasca.

Non voglio districarmi fra calcoli assurdi – per sapere a quanto abbia ammontato, nei decenni, la capitalizzazione per il Giano Bifronte (Casta/Finanza) – ma è certamente una montagna di soldi. Per avere un raffronto, i provvedimenti in Finanziaria (quando ancora esistevano) per integrare la pigione delle famiglie più povere erano pressappoco dell’identico ammontare, ossia centinaia di milioni di euro. Quelli che la Casta incassa in una sola tornata del Superenalotto.
Ma, vogliamo paragonare l’impatto sulla psiche di un probabile rimborso per una piccola quota dell’affitto – sempre che si abbiano redditi da Quarto Mondo! – con la speranza, spacciata nelle fantasmagorie delle reti televisive, di una vincita che risolverà tutto?

Ed è quello che si legge sui visi di chi gratta schede, cerca d’indovinare numeri – giungendo ad affidarsi ai “maghi” – oppure punta su un cavallo…e chi più ne ha più ne metta.
C’è anche chi gioca per la suspense, l’adrenalina del gioco: in questo caso, quando si trascorre più tempo a grattare e pensare numeri che a conversare con i congiunti, si tratta tout court di una patologia, come i ragazzini “malati” di videogiochi.

La trasformazione dei cosiddetti “giochi” – da vincite che consentivano al più di “sistemarsi”, a quelle che devono sbalordire, al punto di conquistare le prime pagine dei giornali per giorni – è parte di un ben preciso programma: accalappiare risorse senza nominare mai la parola “tasse” e fornire (a pagamento!) un sogno che tende ad acquietare il malessere sociale.

Riflettiamo su una vincita pari a 1.000 stipendi (anni ’60): oggi, sarebbe di circa 1,5 milioni di euro.
Con quei soldi, sarebbe possibile acquistare una casa, intraprendere un’attività commerciale o artigianale, aiutare i familiari ed i figli e concedersi pure qualche “sfizio”, ma non rimarrebbero enormi capitali: in altre parole, le piccole vincite tornerebbero sotto forma di consumi o di piccoli investimenti nel mondo dell’economia reale, non sparirebbero nei caveau delle Banche.
Invece, gran battage pubblicitario, favolosi introiti per lo Stato ladrone che si pappa la metà dei soldi, capitali che prendono la via della finanza ed un subdolo succedaneo di speranza, una “dose” per chi è disperato e non sa come affrontare il domani.

Proprio un bel congegno: la Casta non lascia nulla al caso.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2009/08/il-banco-vince-sempre.html
23.08.2009

[1] Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2008/10/superenalotto-stato-affare.shtml?uuid=a9c6105e-96c4-11dd-aa30-d5b492fe93cd&DocRulesView=Libero

VEDI ANCHE: MASSIMO FINI: “E’ UNA TRUFFA MA LE REGOLE SONO SACRE”

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