GLI ATTENTATI NEL LORO CONTESTO

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DI DANIELE SCALEA

Per quanto grande possa essere l’impatto emotivo sulle popolazioni europee e anglosassoni, gli eventi di Londra, Sharm ash-Shaik e in precedenza Madrid, hanno tutto sommato un rilievo marginale nel contesto storico contemporaneo. Lo stesso, dopo tutto, si potrebbe dire persino dell’11 settembre, il quale non è stato affatto la causa degli avvenimenti successivi, bensì il casus belli utilizzato dall’amministrazione statunitense per realizzare dei piani geostrategici già progettati da tempo. Se così non fosse, gli USA avrebbero reagito all’11 settembre – i cui attentati sono attribuiti a Bin Laden – esclusivamente con tecniche “poliziesche” canoniche contro Al-Qaida, che possono variare dallo smantellamento della struttura all’infiltrazione di quadri e comandi: cosa che, personalmente, ritengo gli apparati di sicurezza nordamericani abbiano cominciato a fare ben prima dell’11 settembre 2001. Ma a ciò gli USA hanno aggiunto – evidenziando i propri fini nascosti – il progetto del “Grande Medio Oriente”, il cui rapporto con l’attacco alle Torri Gemelle è quanto meno discutibile. Bin Laden, considerando il suo passato, sarebbe stato molto più facilmente collegabile a George W. Bush che non al Mullah Omar; per non parlare poi del povero Iraq e dei minacciati Siria e Iran, che nulla hanno a che fare coll’estremismo wahhabita.

Come l’11 settembre, anche Madrid, Londra e Sharm ash-Shaik non appartengono all’ambito centrale – cioè quello militare – della vicenda, bensì al ramo collaterale del condizionamento dell’opinione pubblica: condizionamento esercitato tanto dagli autori dei misfatti, quanto dalle vittime. Se – come si afferma – gli esecutori fossero riconducibili a Al-Qaida o ambienti affini dell’estremismo musulmano, essi colpendo obiettivi palesemente civili mostrerebbero l’intento di portare qui in casa nostra, seppur in scala notevolmente inferiore, gli orrori della guerra in corso sul loro territorio, cosicché le popolazioni europee possano valutare coscientemente i vantaggi e gli svantaggi della loro partecipazione all’invasione dell’Iraq, e forzare la mano dei rispettivi governi verso il ritiro. Specularmente, i governi dei paesi occidentali sfruttano questi attentati (e lasciamo al lettore di giudicare s’essi siano subiti, causati, indotti, o altro) per atteggiarsi a “vittime” innocenti d’un nemico “barbaro”. Ma essi, contro ogni evidenza, negano categoricamente qualsiasi collegamento tra gli attentati e l’invasione dell’Iraq: altrimenti, infatti, risulterebbe a tutti palese l’ipocrisia di chi volesse porre sulla stessa bilancia queste decine di vittime occidentali e le decine di migliaia afghane e irachene, con la pretesa ch’esse possano avere il medesimo peso!

Non stiamo affatto vivendo, come affermano alcuni, nella “terza guerra mondiale”. Semmai la Guerra Fredda avrebbe meritato maggiormente quest’appellativo, benché essa vada secondo me vista come continuazione della Seconda Guerra Mondiale – a sua volta logica conseguenza della Prima. Personalmente non credo né alla “guerra santa dell’Islam contro l’Occidente”, né alla “crociata giudaico-cristiana contro i Musulmani”, due luoghi comuni di segno opposto che nascondono la realtà d’una fase interlocutoria e di transizione. Gli USA, coerentemente con la strategia dei neoconservatori al potere e con la classica geopolitica mackinderiana, stanno cercando di guadagnare posizioni strategiche nel Rimland, la cintura continentale esterna che circonda la potenza terrestre da sempre identificata come nemica finale dagli strateghi anglosassoni: vale a dire la Russia. D’altro canto, assicurandosi il controllo d’importanti giacimenti d’idrocarburi nel Vicino Oriente, Washington aumenta il proprio potere contrattuale (e ricattatorio) con Europa e Cina, altre due potenziali competitrici molto vulnerabili sotto l’aspetto energetico. L’obiettivo finale è, naturalmente, impedire l’insorgere d’una nuova grande potenza rivale che possa minacciarne i sogni di dominio globale. A mio avviso quella che stiamo vivendo è una fase d’avvicinamento allo scontro finale che, ben inteso, non sottintende un evento bellico apocalittico; seppure questo rimanga purtroppo, nel lungo periodo, una possibilità.

Daniele Scalea
Fonte.www.rinascita.info
luglio 2005

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