Ci è arrivata la recensione del libro di Freya Mathews “Per amore della materia. Un panpsichismo contemporaneo” (Ma.Gi., 2018). Recentemente, con vari articoli, abbiamo più volte affrontato il tema della riscoperta dell’anima, della spiritualità in antitesi al materialismo oggi dominante che tutto seppelle. Pubblichiamo il contributo riferito al volume della Mathews, consapevoli che ella, “è una filosofa ambientale” e che ciò oggi, molto spesso, va in piena direzione Green, rischiando di legittimare, magari inconsapevolmente o indirettamente, la rivoluzione digitale e deindustriale coatta in corso a danno dei popoli, soprattutto in Europa.
Tuttavia, la ricerca di una nuova etica ambientale, quando ha fini umani e non criminali, non sarebbe certamente di secondaria importanza.
Il panpsichismo è quella corrente di pensiero secondo cui tutti gli esseri, viventi e non viventi, posseggono delle capacità psichiche e coscienti. Se anche la materia ha un’anima, essa conta quanto l’uomo? A quanto pare, viste le spietate vigenti regole dell’economia, della finanza e del profitto rispetto ai diritti degli esseri umani, al momento è così.
Pubblichiamo il contributo sottostante per aprire il tema al dibattito e al confronto, in pieno stile CDC.
Buona lettura.
Freya Mathews e “l’amore per la materia”
Di Francesco Vincenti
Il libro ci parla di una forma diversa di realizzazione, quella che non ci ritrova al comando del mondo, ma teneramente inginocchiati ai suoi piedi, in attesa di un suo comando, cercando di indovinare la sua volontà. Ci parla di una spiritualità di cui fa parte anche il mondo manifesto, che non rimane più, a tutti gli effetti, escluso dal dramma spirituale.
Viviamo in un clima intellettuale chiamato a ripensare la mentalità moderna e a difenderci dall’invasione economica.
L’ottica di un mondo inanimato, considerato dalla scienza classica come un pezzo di hardware cosmico, è alla base della crisi ecologica. Non può avvenire alcun cambiamento se non è accompagnato da una trasformazione di quest’ottica. Esistono quindi valide ragioni per rianimare la realtà, per restituire vita a un mondo dotato di significati propri e restituire una matrice soggettivale alla materia.
Cos’è la soggettività?
In noi è associata all’autocoscienza, mentre in altri esseri alla percezione.
Tuttavia, essa non è necessariamente da identificare con i pensieri, i sentimenti o le sensazioni, ma può essere considerata, piuttosto, qualcosa che li sottende.
In questo caso la soggettività costituirebbe quel livello più profondo della presenza di sé, dal quale emergono pensieri e sentimenti.
Si può sostenere, diversamente da Cartesio, che noi percepiamo la nostra corporeità anche quando non stiamo pensando affatto: il nostro corpo è presente a sé stesso, che noi siamo coscienti o incoscienti, svegli o addormentati.
È forse tramite l’analogia con la soggettività inconscia dei nostri corpi che possiamo capire la soggettività generale della materia: proprio come il corpo dormiente non è un oggetto puramente esteriore, ma occupa uno spazio interiore, oltre a quello percepito da un osservatore esterno, tutta la materia può essere immaginata di occupare uno spazio interiore.
Il fatto che il mondo come tale sia permeato di significati e/o intenzioni propri suggerisce la possibilità della comunicazione fra il mondo e noi. Orientarci verso questa possibilità sarebbe fondamentale per avvicinarci alla natura della realtà.
L’ordine comunicativo può e deve coesistere con quello causale.
L’obiettivo moderno di conoscere il mondo ha preso il posto di un obiettivo precedente, quello di incontrarlo, più adatto al tipo di visione del panpsichismo.
Nella terminologia del panpsichismo l’incontro ci mette al corrente dell’esistenza reale di altri esseri e ci rivela il loro significato.
La conoscenza tradizionale cerca di spiegare, l’incontro cerca di coinvolgere.
La conoscenza cerca di rompere il mistero della natura dell’altro, l’incontro lascia intatto questo mistero.
Se fossero considerati come soggetti anche altri sistemi, altri sé, si guarderebbe all’incontro come alla modalità più appropriata per relazionarsi con il mondo.
Ovviamente abbiamo bisogno anche di conoscenza per sopravvivere che, in generale, è più descrittiva che esplicativa. Tale conoscenza deve acquisire però un senso di consonanza spirituale al fine di un atteggiamento rispettoso e comprensivo.
La funzione principale della conoscenza deve essere quella di relazionarsi con il mondo.
Chi conosce deve essere sensibile e aperto alla soggettività di ciò che vuole conoscere.
Il panpsichismo implica una spiritualità pervasiva e il significato delle nostre azioni e delle nostre esistenze è continuamente negoziato e rinegoziato attraverso le nostre continue conversazioni con i Molti.
La scienza e altre branche della conoscenza occidentale, inclusa la filosofia, sono prodotti del conversare dell’umanità solo con sé stessa.
Dal punto di vista panpsichista, lo scopo non è teorizzare il mondo, ma relazionarsi ad esso e godere di questa relazione.
E infine, perché siamo nati anche per soffrire e morire?
La presenza della sofferenza nel mondo può essere moralmente giustificata?
Il panpsichismo vede nella sofferenza solo una necessità naturale per creare abbondanza e diversità dei sé. Non vi è alcuna cura, da un punto di vista panpsichista, per il dolore e l’incertezza che sono al centro dell’Universo. Questi sono gli speroni che pungolano l’Uno all’autodifferenziazione nel creato e spingono i Molti verso la loro autorealizzazione.
Il vero obiettivo della vita non è la liberazione dalla sofferenza, non è la salvezza né la redenzione, ma è la crescita, il rafforzamento, la carica che matura dal contatto con la soggettività vivente di tutto ciò che esiste.
L’impulso a entrare in dialogo con il mondo, è il percorso spirituale che il panpsichismo indica.
Di Francesco Vincenti
03.09.2023