Efficienza energetica: abbiamo innescato una bomba a orologeria?

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Di Patrizia Pisino per ComeDonChisciotte.org

 

Il (mai abbastanza esecrato) periodo pandemico che ha causato il blocco di tutte le principali attività economiche, tra cui l’edilizia, ha avuto come unico risvolto positivo il significativo abbattimento dell’inquinamento cittadino, soprattutto nelle città metropolitane. Questa parentesi è stata prontamente superata dalla impellente ed improrogabile corsa verso l’applicazione della direttiva ‘Case Green’ che, con l’obiettivo di diminuire del 55% le emissioni inquinanti entro il 2030, prevede la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio costruito.

È però necessario notare che attribuire ad una “scarsa efficienza energetica” delle abitazioni una sostanziosa fetta di inquinamento è in evidente contrasto con i dati oggettivi, in quanto durante i famigerati e illegittimi lockdown abbiamo aumentato i consumi energetici (per riscaldamento ed utenze elettriche) senza per questo contribuire sostanzialmente ad incrementare l’inquinamento.

Purtroppo però sappiamo che il se-dicente pensiero dei nostri esperti politici (scusate, esperti di cosa?) è spesso parecchio lontano dalla realtà dei fatti, soprattutto perché è tutto il loro vivere ad essere lontano dagli aspetti fattuali della realtà. Oggi il compitino assegnato a costoro è infondere nei cittadini una nuova paura (*), quella della catastrofe climatica in agguato dietro l’angolo, affinché se ne addossino la responsabilità. Con questa scusa hanno convinto, attraverso incentivi economici (ecobonus, bonus casa, superbonus 110%, super ecobonus 110%), della necessità di ristrutturare le proprie abitazioni con interventi che, a loro autorevole e ben informato giudizio, sono utili ed efficaci nel contrastare il cambiamento climatico, ridurre l’importazione del gas russo e raggiungere l’obiettivo zero emissioni. Che poi l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal gas russo (disponibile via terra sul nostro stesso continente) aumenti a dismisura quella dai nostri benevoli padroni d’oltreoceano, con in più un costo ampiamente maggiorato, questo sembra non essere di particolare rilievo nelle analisi del mainstream.

Questo approccio ecologista alle ristrutturazioni, spacciato come aiuto ai cittadini, si sta di fatto rivelando per molti un vero tour de force.

Come ormai geneticamente insito nel buro-dirigismo tipico della nostra politica, per accedere a tali incentivi, invece di lasciare libertà di scelta progettuale, sono state indicate soluzioni precostituite mandatorie; conseguentemente, nella illusoria speranza di risparmiare sui costi, sono state accettate dagli sprovveduti cittadini fiduciosi soluzioni a dir poco tecnicamente discutibili, altamente onerose sia per loro che per lo Stato e, soprattutto e assurdamente, poco sostenibili a livello ambientale.

Quando parliamo di emissioni degli edifici, dobbiamo prima di tutto constatare che solo il 50% di esse deriva dall’energia consumata durante la vita dell’edificio, il 20% è da attribuire alla fase di demolizione e manutenzione mentre la rimanente quota del 30% viene prodotta in fase di costruzione, includendo la produzione e il trasporto dei materiali. Attualmente in Italia sono stati ‘ottimizzati a livello energetico solo 430.661 edifici, con un onere a carico dello Stato di oltre 79 miliardi di euro. (fonte ENEA https://www.efficienzaenergetica.enea.it/images/detrazioni/Avvisi/Report_dati_mensili_30_09_2023.pdf) con un valore medio risultante di 184.210,75 €.

Se consideriamo 1,8 milioni di edifici residenziali su un totale di 12 milioni, possiamo ben dire di essere solo all’inizio e che ciò comporterà necessariamente un impegno finanziario notevole. In questi termini, vale la pena di seguire questa strada o sono possibili e consigliabili/auspicabili soluzioni diverse?

Prendiamo per esempio la realizzazione del cappotto esterno: questa comporta un impatto ambientale notevole dovuto alla produzione, trasporto e messa in opera del materiale utilizzato; pensate davvero che sia tutto a zero emissioni?

Consideriamo inoltre che il tempo di degrado (la vita utile) di un cappotto, messo in opera a regola d’arte, viene certificato per una media di 30/50 anni, laddove la durata di un impianto è stimata in circa 20, 25 anni, sempre che vengano effettuate le opere di manutenzione periodica necessarie.

La corsa a questi bonus ha provocato la proliferazione di nuovi cantieri edili in ogni città italiana ma, malauguratamente, fin troppo spesso le imprese utilizzano operai non specializzati (a basso costo), con la conseguente perdita di qualità e un aumento dei rischi. Si risparmia sui costi del materiale e sulla sicurezza.

Le conseguenze sono a dir poco disastrose: queste nostre abitazioni presuntivamente messe in condizioni di efficienza energetica, sono anche altrettanto efficienti in materia di sicurezza antincendio?

Si sono di recente verificati incendi in cantieri in cui erano in corso opere di ristrutturazione con la realizzazione del cappotto esterno, per esempio a Roma, in via Edoardo D’Onofrio, Colli Aniene; oppure in palazzi in cui erano già state realizzate, come per esempio in via Antonini a Milano. L’attenzione dei periti nominati per accertare le cause si è rivolta ai materiali utilizzati, che potrebbero aver contribuito alla propagazione delle fiamme. Il dubbio nasce spontaneo: le nostre case sono veramente salubri o sono state avvolte con materiali combustibili altamente tossici?

Nei due casi citati sopra, i prodotti isolanti presenti in facciata sono quelli di derivazione sintetica che, dovendo essere certificati in classe 1 o di classe B-s3-d0 secondo il sistema di classificazione europeo, devono conseguentemente rispondere a precisi requisiti di reazione al fuoco. A quanto pare, invece, la risposta è stata distruttiva, come possiamo bene osservare in questo video, realizzato in Germania già nel 2011:

I proprietari di alloggi, i condomini e quanti altri, si rivolgono a professionisti di fiducia per avere la certezza di essere tutelati nella scelta tecnica dei materiali, nei  tempi di realizzazione e sull’effettiva successiva salubrità interna. Purtroppo, però, queste scelte sono guidate da soluzioni economiche che, se anche certificate come idonee, non sono però soggette ad un reale controllo. Si utilizzano soluzioni in kit forniti direttamente dal produttore che, se non messe in opera correttamente, si rivelano spesso controproducenti, soprattutto se non realizzate in sequenza nei tempi previsti. Vediamo ormai ovunque cantieri senza operai, lavori bloccati e, specialmente per gli abitanti in condominio, disagi insopportabili e perdita di sicurezza abitativa a causa delle impalcature in facciata, che possono facilitare le intrusioni oltre a ridurre anche significativamente l’illuminazione e l’aerazione dei locali, sino al peggiore dei rischi, quello della facilità di un innesco di incendio.

È necessario essere molto vigili sulla scelta dei materiali in quanto, purtroppo, in virtù dei costi contenuti il mercato è stato conquistato dagli isolanti sintetici, quali i pannelli in polistirene espanso e il poliuretano espanso, che sono stati utilizzati per rivestire la quasi totalità delle pareti dei nostri edifici. Questa categoria di materiali che, oltre ad avere un elevato costo energivoro in fase di produzione, è anche causa di scarsa traspirabilità delle pareti, elevato rischio di innesco di incendi abbinato a liberazione di sostanze tossiche, è inoltre difficilmente smaltibile (cioè potenzialmente ad alto inquinamento) in caso di demolizione o sostituzione.

Un’altra categoria di materiali utilizzata è quella  di derivazione minerale, quali lana di vetro, lana di roccia e perlite espansa che, sebbene  derivanti da elementi minerali naturali o riciclati, necessita di processi di produzione anch’essi particolarmente energivori.

Chi ha veramente a cuore la sostenibilità dovrebbe rivolgersi di preferenza ai materiali naturali in quanto derivano da processi produttivi non dannosi per l’ambiente. Sughero, fibra di legno, canapa, paglia (opportunamente trattati con specifici prodotti ignifuganti) offrono vantaggi impareggiabili: il legno è un eccellente isolante termoacustico, garantisce un ottimo sfasamento termico e ha tempi di posa rapidi; il sughero è traspirante e inattaccabile da parte di insetti e roditori. Inoltre garantiscono una maggiore durabilità nel tempo e sono facilmente smaltibili in maniera naturale. Purtroppo, pur offrendo maggior sicurezza e comfort ambientale, questi pannelli trovano scarso impiego perché considerati troppo costosi  rispetto ai pannelli per cappotto esterno in materiali sintetici.

Questa scarsa considerazione verso l’ambiente e la salute degli abitanti potrebbe rilevarsi altamente costosa nel medio-lungo periodo, sia in termini di costi di produzione e smaltimento dei materiali sia perché, sigillando completamente l’edificio con il cappotto e gli infissi a tenuta e installando i pannelli fotovoltaici, è possibile provocare serie problematiche quali l’aumento dell’inquinamento all’interno dei locali. Se il vero obiettivo è quello di abbassare i costi in bolletta, ottenere costantemente la climatizzazione ideale degli edifici e arrivare alla classificazione energetica A o B, non è certo questa la strada da incentivare.

Già dagli anni ’70 si è iniziato a progettare e realizzare edifici che, basandosi su caratteristiche climatiche anche estreme e sui materiali consolidati presenti in ogni tradizione costruttiva, possono far considerare il manufatto ‘climaticamente responsabile’. Questo nuovo e rivoluzionario approccio costruttivo viene denominato edilizia bioclimatica.

Con l’architettura bioclimatica cambia il modo di progettare gli edifici, superando il modello costruttivo tradizionale, utilizzando materiali presenti nella zona e, grazie ad una serie di accorgimenti tecnici come l’orientamento, la forma dell’edificio, l’utilizzo di schermature mobili per proteggerlo dal caldo dei mesi estivi, viene assicurato il raggiungimento di un elevato comfort termico con il minimo dispendio di energia, realizzando in tal modo un edificio passivo a zero emissioni e superando in tal modo il concetto di edificio sigillato.

Valutando i pro e i contro sarebbe più logico, se vogliamo veramente creare edifici salubri sia per gli esseri umani che per l’ambiente stesso, iniziare a realizzare edifici passivi che creano un forte legame tra la struttura e i fattori ambientali, morfologici, fisici e geografici, ed abbandonare questa frenetica e costosissima corsa al cappotto esterno realizzato con materiali altamente nocivi. Il pianeta e i suoi abitanti potranno così iniziare a respirare in sintonia senza chiusure ma bensì aprendosi all’ambiente esterno.

Di Patrizia Pisino per ComeDonChisciotte

(*)

«Ovviamente la gente non vuole la guerra…è scontato…ma…che si tratti di democrazie, di dittature fasciste, di parlamenti o di dittature comuniste…il popolo può essere sempre assoggettato…basta dirgli che sta per essere attaccato e accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di voler esporre il proprio paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi paese»
Sostituire in questo testo pacifisti con ‘non-ecologisti’, patriottico con ‘ambientalista’ e proprio paese con il pianeta’ et voilà, les jeux sont fait
(Liberamente adattato dall’intervista dello psicologo Gustave Gilbert a Hermann Goering, pubblicata nel 1947 nell’Opera “Nuremberg Diary”)

 

Fonti:

https://www.ingenio-web.it/articoli/architettura-bioclimatica-architettura-ecologica-bioedilizia-e-bioarchitettura/

https://www.efficienzaenergetica.enea.it/images/NOTA_ENEA_MATERIALI_ISOLANTI_101220.pdf

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