Dimitri Grechi Espinoza: il sax della guarigione

di Verdiana Siddi

 

Un saluto ai nostri lettori. Dimitri Grechi Espinoza è un musicista nato a Mosca nel 1965, naturalizzato livornese ma, ciò nonostante, “in ottimi rapporti con Pisa”.

Inizia a suonare il sax da molto giovane, studia poi al JazzMobile di New York e successivamente perfeziona la sua formazione all’Accademia Internazionale di Jazz a Siena, con Pietro Tonolo.

Suona jazz e tanto blues per diversi anni, maturando una conoscenza sempre più radicale dei movimenti (o generi) musicali afroamericani sorti negli anni Venti.

Nel 2001, il gruppo jazz italiano da lui fondato, Dinamitri Jazz Folklore, viene invitato a suonare al Festival Panafricano di Brazzaville in Congo ed è qui che incontra Goma Parfait Ludovic, direttore artistico della compagnia Yela Wa. Lavorano insieme negli anni successivi, organizzando laboratori volti a diffondere in Italia la conoscenza della tradizione africana, dove la musica ha da sempre un ruolo centrale, ed in modo particolare nell’ambito della dimensione spirituale individuale e collettiva, per percorsi musicali di guarigione.

Scopre poi la possibilità di suonare in luoghi che, per le loro peculiarità costruttive, restituiscano riverberi e risonanze insieme ai quali suonare il suo ottantenne sax tenore e creare piccoli cori polifonici affinché il Suono ”torni alla sua origine”, in un raffinato dialogo con l’architettura.

Pochi suoni “fusi e non confusi” rivelano sonorità sovrumane e celestiali, verso la dimensione ancestrale dell’esistente e dell’essere.

Sono andata a Livorno a fargli delle domande alle quali lui ha gentilmente accettato di rispondere.

 

*****

Livorno, 19/06/2024

 

Mosca-Livorno, passando da New York. Raccontaci dell’Africa.

Da quelle parti permane più o meno vivido il retaggio di un passato culturale, in Africa come in altre parti del mondo non (o poco) occidentalizzate, in cui ancora resistono concetti che qui abbiamo perduto. Per gli africani il rapporto con l’invisibile è certamente qualcosa di naturale e spontaneo. L’occidente ha rinunciato a questo, ha iniziato a considerare come “vero” solo il misurabile e dunque gli individui come corpi.

In cosa consiste il tuo progetto OREB?

Emetto un primo suono, ascolto ed aspetto la sua propagazione nella struttura, nell’architettura. Gli armonici fanno il resto. Considera che per ottenere il risultato è necessario un riverbero di almeno 7 secondi. La musica si sviluppa quindi per intervalli: suono-ascolto.

Il silenzio totale tra un suono e quello successivo cerco di evitarlo perché può risultare molto difficile da fruire ed il mio scopo è di arrivare a tutti, universalizzando l’esperienza che propongo, che produce un effetto calmante e di acquietamento dei processi di pensiero razionali. Questa pace, questa profonda concentrazione, determina al contempo una dilatazione dell’essere: una concentrazione contestuale all’espansione.

 Mentre nel jazz …

Di fatto tutta la storia del jazz è legata dal filo rosso del tecnicismo, che a volte risulta anche molto interessante, ma produce un effetto che porta altrove rispetto a quello che cerco io. Ci sono stati rari casi nella storia del jazz, penso a Coltrane, Ailey… musicisti dalle sonorità singolari, personali, che lavoravano sul suono modellandolo, fino alle estreme conseguenze, e riuscivano a traghettare l’ascoltatore in dei luoghi profondi del mondo animico, al confine. Ma sono esempi più unici che rari. Con il mio progetto intendo portare l’ascoltatore nel luogo oltre l’anima, il luogo del suono non udibile per arrivare all’origine dell’emozione, e non suono per – necessariamente – emozionare. Si tende a pensare che l’artista debba intrattenere ed emozionare, io non sono d’accordo. L’emozione è un movimento, è interessante, a me interessa soprattutto andare verso l’origine del movimento – o sua destinazione. Ci tengo a dire che Coltrane è un caso particolare, più unico che raro, lui ha sicuramente compiuto percorsi interiori spirituali di una certa rilevanza, che poi sono diventati la sua musica. Anche perché se non hai vissuto certe esperienze in prima persona, se non sei passato da certe porte strette, non ci potrai condurre l’ascoltatore, perché non conosci la strada.

 Cos’è il suono non udibile

È un concetto presente nella teoria Indù sulla risonanza dhvani, e corrisponde alla primordialità del suono. È la condizione che precede il suono manifesto, benché sia una condizione di per sé manifesta.

Il suono non udibile “anahata nada” è l’origine del suono udibile “ahata nada”, è una condizione di non silenzio, dove il suono esiste in potenza. È un concetto che non abbiamo nelle culture e nelle religioni occidentali.

 Questo è coerente con il tuo modo di comporre per passaggi tra tensione e risoluzione. Sei d’accordo?

Inspirare ed espirare sono, insieme, il Respiro. Il suono torna sempre alla sua origine, cioè il suono udibile torna sempre alla condizione di suono non udibile.

 Scegli spesso luoghi sacri, luoghi di culto. Che rapporto hai con le religioni?
I luoghi devono essere consoni da un punto di vista dell’acustica, ma i luoghi sacri (siano sacri per culto o per la funzione che hanno avuto, vedi la Cisterna Romana di Volterra, o il Cisternino di Livorno) hanno qualcosa in più, ovvero un legame con l’ordine universale. La posizione, l’orientamento, le proporzioni strutturali…, formalmente certi luoghi rispondono a criteri matematici in accordo col cosmo e la cosmologia.

Quindi l’esperienza è del sentire, ma non inteso solo come udire. Io sono credente, e sono del parere che la distanza attuale tra la chiesa cattolica e quella ortodossa, oggettivamente insanabile per il momento, potrebbe idealmente essere superata con la presa di coscienza di una certa complementarietà tra le due. Ho in generale un ottimo rapporto con tutte le religioni, dall’Islam all’Induismo citato prima.

 Hai suonato nel Battistero più grande al mondo, quello di San Giovanni a Pisa, in piazza dei Miracoli.

Ho capito il potenziale del progetto OREB più di dieci anni orsono, suonando da solo nel duomo di Barga. All’inizio suonavo per il semplice piacere di farlo, come anche nella chiesa di Santa Caterina a Livorno, luogo dal riverbero davvero molto bello. Molto bello. Ogni tanto ancora adesso mi capita di suonarci la sera, per chi vuole ascoltare.

L’idea di registrare al Battistero di San Giovanni mi è stata suggerita da chi veniva ad ascoltarmi in quel primo periodo. Quelli di OREB non sono mai stati concerti, fin dal principio, e sono ancora adesso momenti di ascolto, con qualcosa di rituale.

Per il Battistero di Pisa ho dovuto parlare direttamente con il Vescovo. Non è semplice spiegare alle autorità religiose che quello che andrai a suonare sarà appropriato per il luogo: in nessun caso approverebbero qualcosa di inappropriato, specie in un edificio così importante, ma il Vescovo alla fine mi ha dato fiducia. Ho avuto persino il permesso di andarci più volte, all’alba, da solo, per provare il suono. Un’esperienza indescrivibile.

Il riverbero del Battistero di Pisa non solo è molto bello e molto lungo, 13-14 secondi, ma è talmente ricco di risonanze che sembrano insieme un coro angelico. Una sonorità che stimola quella elevazione, o meglio, dilatazione spirituale di cui parlavo prima.

 Qui hai registrato due volte a distanza di qualche anno. Angel’s Blows nel 2014 e The Spiritual Way nel 2019, due risultati diversi.

Sì, due esperienze diverse tra loro. La seconda registrazione è sicuramente un risultato più completo, per via degli anni intercorsi, nei quali ho suonato moltissimo, in centinaia di luoghi, anche fuori dall’Italia, ma anche perché già conoscevo il Battistero ed ho potuto meglio interpretarne le potenzialità, sia in termini di composizione che di intensità espressiva. Inoltre ho sperimentato la possibilità di muovermi nello spazio e questo ha prodotto due effetti opposti: da una parte tutti hanno potuto sentire il suono anche da vicino, dall’altra il fatto che mi muovessi distraeva la gente, che aveva “qualcosa da guardare” e perciò rinunciava all’immersione totale.

 Recreatio, registrato a Livorno nel 2016 al Cisternino Pian di Rota, è un disco dalle sonorità più terrose, forse proprio più terrestri, rispetto ai due appena menzionati.

Il risultato dipende da quello che trovo in fatto di acustica. Non è come in uno studio di registrazione, i dischi del progetto OREB sono registrazioni fatte in luoghi che incidono e suonano insieme a me. Il luogo non solo conferisce al suono una parte della sua identità, ma determina anche il mio modo di suonare, perché è come se non fossi in solo. Questo disco è stato registrato da REDROOM Studio e sono stati posizionati 8 microfoni in totale, di diversi tipi a seconda della loro funzione.

 Hai anche reinterpretato Love is a losing game di Amy Winehouse.

È una pratica tipica. Ho preso un tema e l’ho reinterpretato, in questo caso dilatandolo, rendendolo musicalmente irriconoscibile, per via di questa espansione. Ho deciso di mantenere il titolo originale, mi sembrava corretto, anche se war al posto di love avrebbe reso comunque l’idea che avevo in mente; è stato registrato nell’estate del 2022, uscito poi nel 2023.

Vedi, non credo che l’amore possa mai essere una perdita intesa come sconfitta, come invece intendeva Amy Winehouse, ma è una condizione di perdita delle certezze (cioè dei limiti). Una perdita che dilata l’essere. Aritmie e tempi spalmati, che disorientano, preoccupano, ma al contempo svincolano dai preconcetti e dalle convinzioni. La Cisterna Romana di Volterra si è rivelata un buon luogo per registrare questo disco.

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Prima di salutarci l’artista mi regala una copia del suo disco “The Healing Sax” registrato nella chiesa di S. Maria del Soccorso di Livorno. Registrato, mixato e masterizzato da Giovanni Ghezzi, prodotto da Titti Santini ed uscito lo scorso settembre per l’etichetta Ponderosa Music Records di Milano. Una “marcia” di guarigione sonora di circa 36 minuti. Ne consiglio fortemente l’ascolto integrale. Meglio dal vivo.

 

Vi saluto con “Silent Mouth”

 

Date live: https://www.dimitrigrechiespinoza.com/livetrue

Verdiana Siddi per ComeDonChisciotte

 

 

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