di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Partecipando a vari incontri serali organizzati sulle diverse piattaforme social, ai quali vengo gentilmente invitato per discutere di temi economici e monetari, mi sono reso conto che ancora molti non riescono a comprendere la vera natura dei saldi delle bilance commerciali tra Paesi, che identificano il valore dei flussi dei beni che i vari Paesi del mondo si scambiano tra loro.
Anzi, la maggioranza di essi, continua a ritenere gli squilibri tra import ed export come un problema serio da risolvere. Pensiero questo, frutto di un meccanismo tutt’ora ben presente nelle menti di questi individui, che persistono erroneamente nel collegare l’emissione monetaria alla disponibilità di oro o ad un qualcosa di certo in esso convertibile, quindi necessario da reperire per un eventuale riequilibrio del deficit commerciale.
Se riguardo alla natura della moneta ed alla sua emissione out of tin air (dal nulla), l’opera di informazione ha fatto grossi passi avanti, tanto che oggi anche i bambini sono pienamente consapevoli che nessun nano minatore è presente nei caveau delle banche centrali, noi così detti economisti che ci erigiamo a paladini nell’esporre le frodi del mainstream neoliberista, dobbiamo però fare mea culpa per non essere stati in grado al momento di chiarire ai più questo apparentemente semplice e fondamentale concetto:
All’interno di un sistema a moneta FIAT (come quello che usiamo oggi), i saldi delle bilance commerciali, non hanno natura di stock debitorio, ma rappresentano solo dei flussi che certificano il valore monetario dei beni esportati ed importati.
Chiariamo subito una cosa fondamentale: chi oggi esporta un bene all’estero, fondamentalmente lo fa in cambio di un estratto conto (numeri su un computer) nella valuta del Paese di chi importa il bene, detenuto in ultima istanza presso la Banca Centrale del Paese importatore e niente di più!
Spieghiamo ancora meglio, con nomi e cognomi: Richard Gere famoso attore americano che acquista una Ferrari in Italia del valore di 300 mila euro, si vede addebitare il controvalore in dollari sul suo conto e Ferrari Spa – qualora abbia concordato di essere pagata in dollari – ottiene un accredito sul proprio conto in valuta di 300 mila dollari. Questo passaggio viene gestito direttamente dal sistema dei pagamenti delle Banche Centrali a cui partecipano le banche commerciali ed i vari dealer finanziari.
Come possiamo ben vedere Ferrari Spa in cambio dell’auto fornita, fondamentalmente, riceve un estratto conto in dollari, che potrà spendere direttamente per i suoi acquisti o, se vorrà, potrà tranquillamente convertirlo in valuta euro attraverso il sistema dei cambi.
Fine delle operazioni e direi anche delle trasmissioni!
Forse Ferrari Spa ha un credito nei confronti di Richard Gere? assolutamente NO! L’attore, da buon Ufficiale e gentiluomo, ha pagato interamente la sua Ferrari. Forse la Fed o il Paese Stati Uniti hanno un debito nei confronti del Paese Italia? ancora più assolutamente NO! una riserva in dollari è entrata nel nostro sistema economico a fronte di una auto Ferrari che è stata esportata negli Stati Uniti.
Conclusione, nessun debito estero e nessun vincolo esterno.
Allora, vi chiederete: come mai tutti lo considerano un problema?
Purtroppo quando si tratta di ricercare la Verità, anche su temi ampiamente dibattuti, il tanto caro principio della maggioranza, fedele alla democrazia, va a farsi benedire. Questo perché essa non si manifesta appunto attraverso l’espressione della maggioranza, ovvero una cosa non si da per accertata se la crede il 50% più uno degli appartenenti ad una comunità, una nazione oppure i partecipanti ad un dibattito; ma è vera quando è dimostrata attraverso un processo di studio scientifico. A maggior ragione quando provata con l’ausilio di scienze perfette quali la matematica contabile e non ultima la pura logica.
Tutti, o meglio la maggioranza, considera gli squilibri delle bilance commerciali un problema, proprio perché sono ancora assuefatti dal mantra – profuso nel tempo, con chirurgica precisione, da chi ci comanda – che la moneta sia convertibile in oro.
Certo, tanto per fare un esempio, se al titolare della riserva in dollari – in questo caso ricevuta in cambio della Ferrari – fosse concesso il diritto, stabilito per legge, di convertire tali dollari in oro, a quel punto il saldo della bilancia commerciale o meglio ancora quella dei pagamenti (che comprende anche i flussi dei capitali) diverrebbe per costui un credito reale, e di conseguenza per la Fed un debito. Questo perché per la Fed si presenterebbe la necessità altrettanto reale di procurarsi la quantità di oro necessaria da consegnare a richiesta.
Ma il sistema monetario attuale si fonda su una moneta FIAT, ovvero su uno strumento non convertibile in niente, che riceve la sua legittimazione tramite la legge dello Stato (corso forzoso/legale), e la rende necessaria e desiderabile ai soggetti che operano nel sistema economico per mezzo dell’imposizione fiscale, anch’essa stabilita da una legge dello Stato.
Quando poche sere fa, durante uno di questi social-meeting, ho provato per l’ennesima volta a spiegare questi concetti ai partecipanti, uno di loro – incredulo sul fatto che si potesse lavorare all’infinito per produrre auto Ferrari per poi consegnarle ad altri in cambio di un estratto conto in valuta – è intervenuto controbattendo che certamente un giorno, a Ferrari Spa non starà più bene lavorare per produrre auto lussuose e consegnarle ad altri in cambio di “carta” (numeri) creati dal nulla.
Ho ribattuto che ad oggi, sono quasi cento anni (la Ferrari è nata nel 1939) che Ferrari Spa produce auto senza interruzione e chiunque si reca con i soldi in mano – vuoi che sia di nazionalità italiana o straniera – si porta a casa la sua Ferrari. Ed ho aggiunto che questo durerà fino a quando lo Stato italiano imporrà a Ferrari Spa di pagare le tasse (una volta in Lire oggi in Euro) nella valuta che esso indica per legge.
Del resto, se mettiamo da parte la Ferrari, visto che molti di noi non se la possono permettere, e pensiamo alla nostra vita di tutti i giorni, sfido chiunque di trovarmi qualcuno o una azienda che si rifiuta di cedere un bene o un prodotto a fronte della consegna di denaro!
Anzi a guardar bene e per dirla tutta, la realtà che viviamo purtroppo per noi, è l’esatto contrario! Ovvero abbiamo una enorme quantità di soggetti ed aziende pronti a cedere i loro prodotti in cambio di denaro. Quindi, non esiste il pericolo esplicito – manifestato dall’interlocutore sopra menzionato – che una azienda si rifiuti di lavorare per consegnarvi beni a fronte di denaro, ma bensì esiste concretamente il pericolo opposto, ossia che una azienda smetta di produrre e quindi di consegnarci beni perché, in conseguenza della deliberata scelta politica di far mancare il denaro, si ritrova a non vendere i propri prodotti e quindi costretta al fallimento.
Ora, se proprio vogliamo trovare una giustificazione per non far crollare la psicologia di tutti coloro che ancora non comprendono che gli squilibri della bilancia dei pagamenti rientrano in una logica prettamente fisiologica, all’interno di quella che è la politica del cambio flessibile sulle valute e la palese necessità della presenza di chi importa a fronte di chi esporta, dobbiamo ricordare che anche uno degli economisti più famosi ed illuminati della storia, Jhon Maynard Keynes, si perse dentro questo concetto, quando fu chiamato – alla vigilia degli accordi di Bretton Woods – a formulare una proposta per un meccanismo di riequilibrio dei rapporti tra i vari Stati, riguardanti appunto lo scambio reciproco di beni in cambio di valuta.
Seppur formulata in tempi ben diversi da quelli attuali dove l’economia reale era nettamente prevalente rispetto a quella finanziaria, il bancor pensato da Keynes rappresentava a tutti gli effetti una valuta di regolamento per gli scambi internazionale che avrebbe tenuto le economie dei Paesi ben stretti dentro la gabbia dei cambi fissi.
Poi sappiamo tutti come andò a finire, i potentati di allora decisero per la proposta di Harry Dexter White conosciuta con il nome di gold exchange standard e basata su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all’oro. Un sistema di cambi fissi con il dollaro convertibile in oro che di fatto fu solo sulla carta, poiché ogni Paese (Stati Uniti in primis) continuò ad emettere Debito Pubblico senza minimamente tener conto delle loro riserve in dollari ed oro. Questo anche attraverso lo strumento dei titoli di Stato per i quali non era garantita la convertibilità.
Fu allora che nacquero il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo; organismi che poi con il tempo abbiamo visto divenire funzionali ai disegni di colonizzazione di popoli e nazioni da parte dei poteri elitari che proprio partendo dalla confusione nella testa di Keynes, riguardo al tema dei deficit commerciali, hanno poi nel tempo sviluppato – anche attraverso la frode intellettuale – le idee di estremo liberismo che ci hanno condotto ai drammi dei giorni nostri.
Nel 1971 come tutti sapete, attraverso un decreto che rendeva i dollari non più convertibili, il governo di allora degli Stati Uniti decretò la fine ufficiale di quello che in realtà non era mai stato, ovvero il Gold Standard, dando vita al sistema fluttuante dei cambi flessibili ancora in essere.
Sul tema deficit commerciali, la critica che noi oppositori del pensiero mainstream più spesso dobbiamo fronteggiare, è che sarebbe sufficiente una valuta non accettata per far crollare la veridicità di quanto affermiamo.
Fermo restando che ogni valuta presente nel mondo (anche la meno pregiata) ha una sua quotazione all’interno di quello che è il regime dei cambi flessibili e quindi di fatto detenuta tra le riserve di qualche Banca Centrale e/o di un suo agente, questo non toglie il fatto che il deficit commerciale non sia una espressione di un debito estero reale, per i motivi già ampiamente spiegati. Se, ipoteticamente una valuta di un Paese non fosse accettata, significa semplicemente che il Paese deve rinunciare ad importare un bene, ma nessun debito in valuta grava su di esso.
Dal momento invece che un Paese dispone di un saldo della bilancia commerciale passivo, significa che sta importando. E se sta importando significa ancor di più che qualcuno nel mondo si prende un estratto conto denominato nella sua valuta. Non esiste alternativa contraria a questa esposizione propriamente contabile.
Una nazione che usa la moneta che emette e con essa persegue politiche fiscali di piena occupazione, mai avrà problemi a far sì che il mondo accetti la propria moneta, all’interno di quella che è la politica del cambio flessibile. Come del resto non ha la ben che minima necessità di finanziarsi in una valuta che non sia la sua; e se anche lo facesse per scelta politica, non avrebbe nessun tipo di problema a ripagare tale esposizione attraverso l’emissione della propria moneta.
L’eventuale default di un Paese dotato di sovranità monetaria è sempre e soltanto una scelta politica e mai una necessità tecnica derivante dalla perdita della ben nota ability to pay (capacita di pagare).
Il rischio di cambio per una Banca Centrale che anche ricevesse, in ultima istanza, a fronte di esportazioni, la valuta più deprezzabile del mondo, è nullo, in quanto creatrice di riserve. E questo è dimostrato anche dai fatti recenti che sono sotto i nostri occhi. Mi riferiscono al noto blocco delle riserve in dollari ed euro detenute dalla Russia. Bloccare un riserva e non renderla disponibile, di fatto equivale ad affrontare una svalutazione del 100% del cambio di quella valuta di cui detieni le riserve.
Insomma, tanto per rendere ancora più chiaro il concetto, per la Banca Centrale di Russia oggi le riserve in dollari ed euro valgono meno di quelle del Franco del Burundi (qualora le detenessero).
E come abbiamo visto la Russia in conseguenza di questo evento non ha subito nessun contraccolpo, stante il fatto di aver gestito in modo ottimale l’economia interna attraverso la politica fiscale messa in atto dal proprio governo. Ed anche la prospettiva di un crollo del rublo, derivante dal fatto di non poter effettuare politica monetaria – causa le riserve bloccate – è stata ben gestita attraverso la richiesta di pagamento in rubli per le forniture di gas. In sostanza facendo fare ai Paesi importatori quella politica monetaria che di fatto le era impedito fare in conseguenza appunto del blocco delle riserve.
Il finale di queste discussioni-social è sempre lo stesso, ovvero chi avversa la verità dottrinale, trovatosi senza argomenti logici per controbatterla, si rifugia sempre in frasi impregnate di luoghi comuni, che suonano come dei postulati assoluti privi di qualsiasi senso e soltanto frutto della follia e dell’orgoglio personale di chi li formula.
Riguardo al tema in questione la classica frase finale che certifica il postulato a protezione della faccia di costoro, è questa: “i deficit commerciali, oltre un certo limite potrebbero diventare un problema”.
Dalle certezze con cui si sono presentati al dibattito passano al condizionale futuribile, prefigurando problemi astratti che neanche riescono ad identificare, oltre a stabilire livelli di un fantomatico “limite” che anche il più sprovveduto professore che ascolta tale postulato – al fine di renderlo accettabile al mondo accademico – richiederebbe loro immediatamente di identificare.
Ricordo che stiamo parlando di deficit commerciali di un Paese e quindi tale limite riguarda proprio i beni che esso importa. Vi risulta che qualche Paese abbia un limite ad importare il bene più prezioso che oggi esista sul pianeta terra, ossia il petrolio?
A me non risulta!
Il limite risiede interamente all’interno delle necessità reali del Paese, le quali a loro volta dipendono dalle politiche economiche messe in atto dai loro governi che regolano i loro sistemi economici. Non esiste nessun vincolo esterno a meno che non venga introdotto per decisione politica da parte di governanti impreparati o addirittura corrotti.
Se anche nel Paese più povero al mondo oggi siamo in grado di trovare il petrolio ed i suoi derivati, questo significa – contabilmente parlando – che un estratto conto denominato nella valuta di questo Paese giace nelle riserve di una qualche soggetto nel mondo, a partire dalle Banche Centrali ed i loro agenti.
Le cose così come sono esposte e come le ritroviamo nella realtà dei nostri giorni, parrebbero chiare, ma invece per la maggioranza non lo sono!
A questa folle non comprensione ha contribuito in modo determinante in questi decenni l’opera di molte università presenti nel nostro Paese – con capo fila il noto ateneo milanese La Bocconi – che negli anni hanno sfornato un esercito di soldati che possiamo definire ignoranti funzionali, i quali si rifiutano persino di comprendere la vera natura di un debito. Arrivando ad equiparare gli effetti di una passività per chi usa la moneta e chi invece la emette.
Parlare di debito reale per chi emette dal nulla in regime di monopolio la valuta con cui si denominano le passività, è totalmente privo di ogni logica. E la natura di quell’importo mai sarà debitoria, pur se per ragioni di partita doppia, il monopolista è costretto a registrarlo tra le passività.
In definitiva, il deficit commerciale per un Paese rappresenta una registrazione al passivo nei conti dello Stato di una riserva denominata nella propria valuta, creata in regime di monopolio e non convertibile, consegnata al Paese che ci ha fornito un bene!
Fine delle trasmissioni!
di Megas Alexandros