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La Redazione

 

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Dalla globalizzazione al Grande Reset: intervista a Fulvio Grimaldi.
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A cura di Moravagine
Il 28 Dicembre 2020
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In questo incontro con  Fulvio Grimaldi gli abbiamo proposto un tema di stringente attualità, il cosiddetto “Grande Reset”, legandolo al fenomeno che sembra esserne a tutti gli effetti il precursore, quella “globalizzazione” che è stata al centro del dibattito politico e culturale negli ultimi 25 anni.

E’ dunque il “Grande Reset” l’esito finale della globalizzazione? Fulvio Grimaldi, dando forma ad una lunga panoramica,  rileva due decisive differenze rispetto al passato, quando il “globalismo” muoveva i primi passi: il ruolo della tecnologia e la concentrazione della ricchezza in pochissime mani, con la progressiva espropriazione di potere e risorse delle masse e degli stati nazionali a beneficio di quell’elite formata dai 2200 miliardari oggi esistenti al mondo (come riporta la rivista Forbes).

Nell’analisi di Grimaldi, la globalizzazione è un progetto di lunga data degli Stati Uniti che, favorendo la progressiva costituzione dell’Unione Europea dopo la II Guerra Mondiale, hanno mirato, in ultima analisi, a mettere le mani sul “cuore del mondo”, il continente europeo culla della civiltà occidentale.

Dietro gli USA agisce una “cupola” neoaristocratica, i cui membri sono legati anche a livello familiare, che si articola pubblicamente attraverso tutti quegli organismi di cui abbiamo fatto conoscenza negli ultimi vent’anni di ricerca della verità: il Forum di Davos, il Bilderberg, la Trilaterale, il Council on Foreign Relations.

Costoro puntano a costruire un pianeta “unificato” sul piano economico e politico ed omologato su quello culturale, appiattendo le differenze che da sempre caratterizzano i popoli anche nella sfera della quotidianità.

Fulvio Grimaldi parla poi della decolonizzazione, fenomeno che ha, almeno inizialmente, contribuito ad arrestare il processo globalizzante, come di una “resistenza” che è poi andata scemando fino a capitolare su tutta la linea: oggi i paesi asiatici e africani, salvo sparute eccezioni, sono completamente acquisiti al disegno globalista, e il Vietnam ne rappresenta forse l’esempio più amaro.

A proposito della “questione cinese”, il nostro ospite parla di temporanea “sintonia” con il processo globalizzante che potrebbe sfociare in un’aperta conflittualità; Grimaldi parla infatti di “collusione e collisione” fra la Cina ed il globalismo. Inoltre, il regime di Pechino rappresenta oggi l’avanguardia di quell’esperimento di controllo sociale che va affermandosi in tutto il pianeta dietro il paravento della pandemia

Sulla Russia, invece, “grande speranza” per chi contrasta il “Grande Reset”, Fulvio Grimaldi descrive l’inesorabile processo di accerchiamento di cui è oggetto, attraverso “rivoluzioni colorate” ed operazioni militari più o meno camuffate: l’ultimo episodio in tal senso è l’aggressione all’Armenia da parte della Turchia (“via” Azerbaigian), davanti al quale Putin è rimasto a guardare. Lo stesso presidente russo è costretto, a detta di Grimaldi, a venire a patti con gli oligarchi sopravvissuti alla “purga” condotta nel suo primo mandato: centri di potere che affondano radici nell’epoca eltsiniana e che rappresentano un cavallo di Troia del globalismo nella pur “resistente” Russia.

Fra i resistenti al Grande Reset, Fulvio Grimaldi cita pure alcuni paesi della sua amata America Latina, soffermandosi soprattutto sul caso boliviano, che rappresenta a tutti gli effetti un unicum storico: nel paese andino, infatti, dopo il golpe che aveva spodestato Evo Morales un anno fa, ribaltando i rapporti di forza all’interno del panorama politico, le forze popolari sono tornate al potere attraverso regolari elezioni, sancendo così l’irreversibilità del processo di cambiamento. Una lancia viene spezzata pure per l’ambiguo Bolsonaro: il presidente brasiliano, infatti, pur proclamandosi  erede della dittatura militare e della lunga tradizione di violenza politica che da sempre caratterizza la storia di quel paese, ha manifestato più volte il suo dissenso verso la “narrativa” pandemica globale, venendo puntualmente massacrato dai “professionisti dell’informazione” di tutto il mondo. Sospendendo dunque il giudizio sul leader brasiliano, Fulvio rivela qual è il suo modus operandi in casi come questi: va a leggere cosa ne scrive il Manifesto e si comporta di conseguenza; se il “quotidiano comunista”, (di fatto velina del Deep State”) dice peste e corna di un determinato personaggio, egli è portato a guardarlo con una certa simpatia.

Infine, il nostro ospite si è pronunciato pure sulla possibilità di sopravvivere individualmente al “Grande Reset”, considerandola una pia illusione: la repressione colpirà tutti e nessuno potrà permettersi di sfuggire alle direttive tecno-sanitarie. Solo nella lotta politica c’è possibilità di salvezza, sostiene Fulvio Grimaldi. A rivederci e risentirci sugli schermi del dissenso.

 

Di Giuseppe Russo, ComeDonChisciotte.org

Regia e montaggio video di Filippo Altobelli, ComeDonChisciotte.org

 

Fulvio Grimaldi è un giornalista e documentarista che ha lavorato per quindici anni in RAI, soprattutto come inviato di guerra per il tg3 (l’allora “Tele Kabul”), dimettendosi nel 1999 per manifestare il suo dissenso contro i bombardamenti Nato alla Serbia di Milosevic. In precedenza aveva lavorato per la BBC a Londra, per Paese Sera e per il quotidiano Lottablank Continua, da lui diretto dal 1972 al 1975; oggi è curatore del blog Mondocane. Fra le sue opere, ricordiamo Mondocane. Serbi, bassotti, Saddam e Bertinotti (Kaos edizioni, 2004), Mamma ho perso la sinistra, (Malatempora, 2008) ed il recente e già citato Cambiare il mondo con un virus. Geopolitica di un’infezione; fra i tanti docufilm di cui ha curato la realizzazione, segnaliamo Cuba, el camino del sol, Un deserto chiamato Pace – Fulvio Grimaldi nell’Iraq sotto attacco e Maledetta Primavera. Arabi tra rivoluzioni, controrivoluzioni e guerre NATO.

 

 

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