BENGASI: TERRORE NELLE STRADE

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DI MARIE EDWARDS
Mathaba.net

Traduzione di levred

A Bengasi le case sono oggetto di irruzioni,

i sospetti sono giustiziati, i vicini di casa trascinati fuori. Molte

persone sono disoccupate. Le grandi aziende, tra cui la società di

costruzione tedesca Bilfinger Berger, hanno abbandonato la città. I

giovani fanno corse in auto facendo stridere le gomme dentro il centro

abitato, altri stanno impettiti intorno ad edifici pubblici brandendo

i loro coltelli. Di notte, le strade ricordano le guerre fra bande di

San Paolo (in Brasile), con l’unica differenza che qui i giovani indossano

i giubbotti antiproiettile.
Molti giovani universitari che stavano

per completare i loro studi e per ottenere un buon lavoro stanno iniziando

a essere frustrati. Uno che parla solo a condizione che egli rimanga

anonimo, ha studiato economia all’Università Gharyounis. Gli fu offerto

un lavoro come manager alla Bilfinger Berger e avrebbe guadagnato un

buon stipendio. Ora è disoccupato. Dice dei ribelli: “Hanno meno

di 30 anni e non hanno mogli. Sono orgogliosi delle armi che hanno saccheggiato

dalla caserma. Non sanno come controllare se stessi. Ben presto sono

diventati aggressivi. Hanno queste armi…. e si perdono.”

Le milizie di Bengasi possiedono armi

sofisticate, che vanno dai missili anticarro alle granate e la gente

qui parla di tribù che si preparano a saldare vecchi conti ed emergono

lotte di potere. Spari sporadici dei ribelli possono essere uditi ogni

giorno nella capitale, e centinaia di uomini camminano per la città

armati di fucili d’assalto Kalashnikov.

La preoccupazione delle persone a Bengasi

si focalizza sulle bande, appoggiate dai ribelli, che indossano la mimetica

militare, terrorizzando i cittadini e derubandoli sotto la minaccia

delle armi. “Non è più sicuro viaggiare in alcune parti della

città”, dice Dawud Salimi, di 41 anni. “I criminali stanno

approfittando della situazione di instabilità per i loro profitti.

Recentemente, essi hanno preso di mira gli stranieri. Un gruppo di uomini

che indossavano abiti militari hanno fatto irruzione nella stanza d’albergo

di una giornalista occidentale, che è stata aggredita e sono fuggiti

con le sue apparecchiature elettroniche”.

Dall’altra parte della città

di Bengasi, squadre armate vengono inviate a reprimere i sostenitori

del leader libico Muammar Gheddafi. Migliaia di persone sono state arrestate

nei raid notturni.

Con la copertura delle tenebre, la

‘squadra di protezione’ di Bengasi si è radunata. Parlando in

sordina, con tono teso, stringendo fucili carichi, gli uomini hanno

cominciato la caccia. In rapido, silenzioso convoglio guidano in tutta

la città, puntando le case dei sospetti lealisti.

Gli uomini armati hanno guidato fino

ad una fattoria appena fuori Bengasi. La scelta del target era stata

discussa prima alla loro base in un ufficio cosparso di carte manoscritte,

l’intelligence su potenziali sospetti.

Fermandosi in silenzio, smorzando la

chiusura delle portiere, le dita sui grilletti delle pistole cariche,

hanno preso ognuno la propria posizione. Due uomini hanno puntato le

armi, come il cecchino, attraverso aperture nelle pareti esterne. Con

i volti coperti da passamontagna, altri furtivamente hanno attraversato

il cancello anteriore e circondato la fattoria. L’unico rumore che poteva

essere sentito sotto il cielo nel chiaro di luna era il suono dei latrati

dei cani da guardia.

Gli autisti attendevano, con i motori

accesi. “Questo è molto, molto pericoloso. Spesso ci sono

sparatorie,” ha mormorato un autista. La fattoria era vuota. Delusa,

la squadra è ritornata alle auto. Verso il prossimo obiettivo.

“Sanno che li stiamo cercando.

Essi non possono rimanere in un posto. Spesso corrompono i vicini per

non darci informazioni”, dice il leader della squadra.

I sostenitori di Gheddafi vanno in

giro in auto sparando ai passanti al fine di diffondere la paura, dicono

i ribelli. “Ci sono migliaia di loro qui”, ha detto il capo

banda del raid notturno. “Abbiamo molte persone -. Studenti, laureati,

uomini d’affari che ancora stanno con Gheddafi sono ora in clandestinità,

a organizzarsi”, dice Sami Hassan, 37 anni da sempre residente

a Bengasi.

I ribelli temono che cittadini “pro-Gheddafi”

a Bengasi agiscano come spie per il governo libico.

“Non fidarti di nessuno, siamo

in una guerra psicologica”, ammette il portavoce del Consiglio

Issam Giriani. “Anche ora, so che alcuni sono in giro mentre noi

siamo qui per la registrazione”.

Forse le accuse sono vere. Ci sono

segni che Bengasi non si è data alla causa dei ribelli. Un tavolo

in una casa tribunale è cosparsa delle armi trovate ad assalitori

infiltrati: Kalashnikov, fucili d’assalto, e dinamite. “Ci sono

stati molti tentativi di attaccare la casa tribunale”, dice Ibrahim

Gheriani responsabile della sicurezza.

Prima di essere fermati dagli attacchi

aerei della NATO sulle loro tracce, l’avanzata di Gheddafi su Bengasi

incoraggiò alcuni dei suoi sostenitori a mostrarsi.

“In due giorni vinceremo, Muammar tornerà,” ha detto un uomo

a un giornalista prima di scivolare silenziosamente dietro la folla.

L’incidenza ha indotto il giro di vite

da parte del leader ribelle che ha annunciato che i simpatizzanti Gheddafi

avevano 24 ore di tempo per consegnare le armi. Se non lo avessero fatto,

sarebbero stati trattati come assassini e nemici dei ribelli.

“Quelli con le mani macchiate

di sangue saranno puniti”, dice Issam Giriani.

Alimentata dalla paura, la guerra fa

crescere sospetto e diffidenza. Determinare la lealtà in questo

ambiente fluido può essere un compito impossibile. Alcuni degli

obiettivi sono dei sospettati con criteri pericolosamente malfermi.

Sono tutte considerate ‘prove’ di fedeltà

al regime: la città natale di una persona, una fotografia del

leader libico nel portafogli e i legami familiari.

“Quest’uomo è di Sirte.

La maggior parte delle persone che vengono da là sono Ligen Thauria.

Anche la sua famiglia viene da lì”, – dice Hani nella spiegazione

del raid armato di mezzanotte alla fattoria.

I ribelli hanno un proprio “gioco[sistema]”

di spionaggio. “A volte usiamo donne, vanno dentro alle case, forse

fingendo di essere povere e aver bisogno di qualcosa. Là vedono se

la persona ha pistole, lei cerca di trovarle.”

I prigionieri sono portati in una base

militare. Nel cortile chiuso di cemento a forma di quadrilatero, fanno

ala file di prigionieri seduti. Sulla destra ci sono i detenuti stranieri,

ritenuti dai ribelli esser “mercenari”. Allineati a sinistra

vi sono decine di libici neri.

La loro detenzione è indefinita.

“Dio sa quando mi sarà permesso di tornare a casa”,

dice un libico di colore che dice di essere stato catturato a una fermata

d’autobus mentre cercava di tornare a casa.

Spesso le incursioni sono guidate dall’adrenalina

pompata dei giovani. Prima di uscire, nella base segreta dove si sono

riuniti, la squadra di giovani ha scherzato, saltato, urlato, si è

pompata per la caccia della notte. “La maggior parte di questi

ragazzi sono stati miei amici fin dalla scuola”, ha detto il leader

della squadra. “Andiamo!” disse al clac entusiasta della sua

banda che carica le proprie armi.

Eccitato e assetato di potere il comandante

ha verificato la carica del suo kalashnikov pericolosamente con un sorriso

maniacale. La sua formazione militare è stata interrotta quando è

stato sbattuto fuori dal college. “Ho litigato con il colonnello

in un college,”- ha giurato a me, “mi ha cacciato fuori”.

Il raid può essere violento.

Alcuni membri di questa banda sono stati uccisi. “Il primo raid

siamo andati a trovare la gente di Gheddafi che stava commerciando armi

– ha detto Hani – Ci sono stati quaranta minuti di scontro a fuoco in

cui la squadra ha perso uno dei suoi uomini.” Abbiamo catturato

quattro ragazzi e ne ho ucciso uno,” – ha detto con orgoglio.

I raid notturni stanno crescendo in

numero e dimensione.

Ne abbiamo preso decine la scorsa settimana”,

ha detto un organizzatore della squadra che lavora al tribunale dei

ribelli di Bengasi.

Dall’inizio del conflitto i ribelli

hanno fatto affidamento sui loro sostenitori occidentali. I ribelli

non sono riusciti ad allargare il loro fascino, proprio perché

i leaders dell’opposizione sono percepiti come esattamente quello che

sono: traditori.

Il popolo libico sa che i membri leader

dei ribelli sono burattini imperiali.

Prima della guerra i diritti sociali

ed economici sono stati così ampiamente sviluppati che la Libia

ha ospitato centinaia di migliaia di lavoratori stranieri. E con tutta

la sua ricchezza, la Libia è rimasta un paese socialista. Muammar Al-Qathafi

chiesto: “Come si fa a non essere un socialista e a diffondere

la ricchezza del proprio paese equamente tra i suoi cittadini?”

Questo fatto è stato difficile

da inghiottire per i capitalisti occidentali e le opportunità

di profitto da una guerra con la Libia per i capitalisti occidentali

erano semplici per passarci su. L’obiettivo di Washington e i suoi alleati

consiste nella confisca e la gestione della vasta ricchezza della Libia

e il controllo delle sue risorse. Così hanno avviato una politica estera

che ha fatto da propellente per la guerra civile in Libia.

Ma i ribelli non sono in grado di utilizzare

il vantaggio tattico che la superiorità aerea della NATO offre loro.

Avessero avuto il sostegno delle masse libiche, i ribelli avrebbero

guadagnato più territorio. Pochi analisti, se non tutti, ritengono

che i fedelissimi del leader libico possano essere facilmente sconfitti.

Reports dalla Libia indicano la crescente ondata di sostegno massiccio

per il leader libico Muammar Al-Gheddafi dai suoi seguaci, che hanno

frequentato raduni e dimostrato la loro disponibilità a confrontarsi

con i ribelli e i loro sostenitori.

I ribelli non sono amati,considerato

il discorso di Muammar Al-Gheddafi, che si rivolgeva ai suoi sostenitori

di più di un milione di persone nella città nord-occidentale di Al-Zawiya

non lontano da Tripoli. La folla ha raggiunto un crescendo assordante

quando egli ha parlato in un messaggio registrato.

Nel frattempo le forze di governo libico

hanno ripreso il controllo della maggior parte del territorio libico

e quasi cinque mesi dopo l’aggressione della Nato contro la Libia, impianti

petroliferi chiave e, soprattutto, la capitale fino ad ora inespugnabile

sono saldamente nelle mani del governo libico.

La guerra d’informazione contro la

Libia è gigantesca. Oceani di menzogne ​​e disinformazione

si riversano sulle teste di ignari ascoltatori e lettori su base giornaliera.

Eventi in Libia stanno mostrando come mostruose bugie orwelliane possano

essere facilmente utilizzate per manipolare le menti della gente in

un’epoca di tecnologie informatiche. Frontrunners in manipolazione sono

quelli di Al-Jazeera del Qatar e i media occidentali. Le bugie sono

talmente evidenti, che si deve chiedere perché la carta non stia respingendo

la stampa.

La colpa dell’Occidente per come ci

si trova ora in Libia ha un lungo pedigree. L’aggressione contro la

Libia è parallela all’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq.

Quest’ultima sta ancora riprendendosi dalle ferite del conflitto confessionale

scatenato dall’invasione di Washington e la prima è un proverbiale

fallimento della NATO.

La NATO sta perdendo e a loro non piace

– farebbero bene a svegliarsi affinché il contribuente americano non

finanzi un altra enorme atrocità contro l’umanità. La verità sta

venendo fuori.

Maria Edwards è un’esperta

di questioni libiche e coordinatrice del progetto per l’Africa. Risiede

a New York e può essere raggiunta a [email protected]

Fonte: http://gilguysparks.wordpress.com/2011/08/20/benghazi-terror-in-the-streets/

Articolo originale in inglese: http://pub.mathaba.net/2011/08/20/benghazi-terror-in-the-streets/

20 agosto 2011

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