UNA SITUAZIONE DIFFICILE IN IRAN

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DI PEPE ESCOBAR
Asia Times

Mentre i mastini della guerra circondano minacciosi il golfo Persico, un cambio di regime in Iran potrebbe diventare una distinta possibilità – ma non esattamente secondo i desideri del Vice Presidente USA Dick “tutte le opzioni sono sul tavolo” Cheney, le cui supreme ossessioni sono il petrolio, la guerra e le loro reciproche intersezioni.

Un influente consulente energetico occidentale, che preferisce rimanere anonimo, si è recato a Teheran all’inizio di Febbraio ed ha incontrato personalmente il presidente Mahmud Ahmadinejad. Egli riferisce all’Asia Times Online che secondo il suo parere, al leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, “rimangono un paio di mesi al massimo – cancro alla prostata”.

Su questo tema estremamente delicato, viene contraddetto da un analista politico di Teheran di formazione occidentale, che per ragioni di sicurezza preferisce rimanere anch’egli anonimo: “Non ci sono prove concrete che il cancro di Khamenei sia serio e che egli stia morendo”. Fra i media iraniani, questo argomento è tabù.Le fonti migliori del consulente occidentale gli hanno anche detto che il leader supremo “non verrà sostituito, ma prenderà il suo posto un triumvirato/consiglio costituito da Khatami, Rafsanjani e Kharroubi”. L’ex presidente Mohammad Khatami è un riformista. Mehdi Kharroubi – il presidente del Majlis (il parlamento) – è un moderato. E l’ex presidente Hashemi Rafsanjani, un machiavellico pragmatico, è di fatto il prossimo notabile nella linea di successione, secondo le regole correnti (dovrebbe essere scelto dal Consiglio degli Esperti, di cui è il membro più alto).

Se questo triumvirato divenisse realtà, rappresenterebbe un incubo costituzionale. Secondo l’analista politico iraniano, “richiederebbe un emendamento alla costituzione. Il dibattito su di un consiglio che sostituisce il leader non è nuovo ma è pieno zeppo di problemi legali e religiosi”.

L’intera organizzazione, tuttavia, è fattibile. Khamenei ascese al potere fondamentalmente a causa di un golpe bianco incostituzionale dopo la morte dell’ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1989. Il nuovo “golpe” avrebbe di fatto estinto i timori delle élites iraniane che lo scaltro Rafsanjani – sebbene correttamente posizionato da un punto di vista legale – avrebbe potuto raggiungere la stessa posizione dominante di Khomeini, il padre della rivoluzione islamica del 1979. Rafsanjani è irresistibilmente considerato dall’establishment clericale non esattamente come un esempio di virtù.

Il merito chiave della soluzione del triumvirato sarebbe l’isolamento di Ahmadinejad. Khatami ha coniato il “dialogo delle civiltà” e Rafsanjani è in favore della normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti. Secondo il consulente occidentale, “solo un’ondata di populismo causato da un attacco USA potrebbe salvare Ahmadinejad dall’essere tagliato fuori molto presto”.

Il consulente occidentale conferma le insistenti speculazioni in settori della stampa iraniana, già riportate dall’Asia Times Online (vedi “Ahmadinejad sia dannato”, 19 Gennaio), secondo le quali Ahmadinejad ha perso il consenso tra le élites dominanti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le sanzioni USA sulle operazioni che coinvolgono le banche e le compagnie iraniane (Washington sta pressando l’Unione Europea e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché adottino questa escalation come punizione per il programma nucleare iraniano).

Teheran non si aspettava queste sanzioni, che hanno comportato un prezzo. “Il risultato è che le élites sono seriamente preoccupate dal flusso degli introiti petroliferi verso i loro conti e dall’utilizzo ristretto al quale potrebbero essere costretti”, ha dichiarato il consulente.

“Hanno certamente preso accordi alternativi, convertendo i conti in euro e aprendone di nuovi presso banche malaysiane e indonesiane in particolare, ma essere cacciati fuori dal sistema finanziario occidentale è di fatto l’unica sanzione che funziona, e l’élite è fondamentalmente contrariata per questo”.

Frattanto, con una conoscenza da esperto del dossier nucleare iraniano fin dalla presidenza Khatami, il consulente occidentale ha dichiarato “la capacità nucleare iraniana, per ogni intento e scopo, praticamente non esiste a causa – come mio malgrado so – di una cattiva gestione di proporzioni cosmiche”. Anche i Russi, in quanto costruttori dell’impianto nucleare di Bushehr, sono coscienti di questa inadeguatezza “cosmica”. E questo basta per interpretare le affermazioni israeliane circa la bomba [atomica, ndt] iraniana che sarebbe dietro l’angolo.

Riguardo le speculazioni secondo cui Ahmadinejad e i suoi alleati della Guardia Repubblicana starebbero puntando su un attacco preventivo USA che unisca l’intero paese sotto la sua presidenza, l’analista politico iraniano ha insistito “Né il presidente né la Guardia Repubblicana vogliono un attacco americano. Ciò che Ahmadinejad vuole è apparire come l’uomo che si è alzato di fronte agli Americani facendoli tornare indietro”.

Il risultato di tutto ciò è che l’Iran non sospenderà l’arricchimento dell’uranio sotto pressione – specialmente quando totalmente circondata dall’esercito, dalle basi militari e dai gruppi da combattimento delle portaerei USA così come infiltrata dalle forze speciali USA a est (Sistan-Balochistan) e ad ovest (Khuzestan). Il rispettato ex capo ispettore ONU agli armamenti Hans Blix, ad una recente conferenza sulla sicurezza internazionale a New York, ha pontificato: “Sedere attorno a un tavolo con loro e dialogare piuttosto che dirgli ‘Fatelo, quindi noi ci sederemo attorno a un tavolo e vi diremo come la pagherete’. Questo è allontanarsi da un atteggiamento neo-coloniale verso [uno] più normale”.

Ma mentre il balletto diplomatico neo-coloniale all’ONU si prolunga, un funesto quartetto, in parallelo, lavora ad un’agenda segreta. Il quartetto è formato da Cheney; dal vice consigliere della Sicurezza Nazionale Elliott Abrams; dall’ex ambasciatore a Kabul e a Baghdad Zalmay Khalilzad; e dal Principe Bandar bin Sultan, consigliere della sicurezza nazionale saudita e ambasciatore presso gli USA per 22 anni. Il loro obiettivo: la destabilizzazione e la frammentazione dell’Iran.

Una nuova variabile – la salute del Leader Supremo – è adesso in gioco. I prossimi veri burattinai dovrebbero essere più aperti verso una discussione seria. Ma basterà il cambio di regime in Iran – non provocato dalle bombe ma da cause naturali – a fermare la sete di guerra degli Stati Uniti?

Pepe Escobar
Fonte: http://www.globalresearch.ca
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04.03.2007

Traduzione per www.comedonchishiotte.org a cura di STIMIATO

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