Sette giorni a maggio

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di Metthew Ehret
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Sette giorni a maggio” (1964) di John Frankenheimer può essere un film hollywoodiano, basato sull’omonimo libro, ma è anche un resoconto incredibilmente perspicace del problema del pensiero della Guerra Fredda. All’epoca doveva essere una lezione e un avvertimento per coloro che si lasciavano governare dalla paura e dalla convinzione fanatica che l’uso della forza fosse l’unica soluzione per uscire dallo stallo della Guerra Fredda, non irrilevante per la situazione attuale.

John F. Kennedy fu molto categorico nel volere che questo film fosse realizzato il più rapidamente possibile e assicurò a Frankenheimer che tutte le risorse possibili sarebbero state messe a disposizione del regista e della sua troupe.

La premessa generale della storia è che il generale James Mattoon Scott (interpretato da Burt Lancaster), una figura molto rispettata all’interno dell’esercito americano, è profondamente turbato e disturbato dalla decisione del Presidente di firmare un trattato di disarmo nucleare con i sovietici per porre fine alla Guerra Fredda. Il generale Scott e alcuni membri dello Stato Maggiore congiunto ritengono che non ci si possa fidare che i sovietici rispettino tale trattato e che il Presidente si stia prendendo gioco di loro [i militari americani]. Il generale Scott ritiene che non ci possa essere una soluzione a questo conflitto se non quella di mostrare una maggiore forza militare contro i sovietici.

Il colonnello Martin “Jiggs” Casey (interpretato da Kirk Douglas) è il braccio destro del generale ed è responsabile di informarlo quotidianamente su questioni di alta sicurezza. Il colonnello lavora per il generale da anni e lo rispetta molto. Tende a concordare con il Generale sul fatto che la decisione del Presidente di firmare un simile trattato con i sovietici sembri molto rischiosa. Tuttavia, il punto di vista generale del colonnello sulla questione è che, in ultima analisi, non spetta a lui o ad altri militari prendere decisioni, ma piuttosto ai funzionari eletti del Paese, ovvero il Presidente, il Congresso e il Senato. Come militare, deve rispettare il codice d’onore e, in ultima analisi, la Costituzione, ma non prendere decisioni per il corso futuro del Paese, che è lasciato al popolo e a coloro che sono stati eletti dal popolo.

Per coloro che non hanno visto il film, consiglio di farlo prima di continuare a leggere il resto di questa recensione.

All’inizio del film, il colonnello Casey (alias Jiggs) si trova di fronte a numerose persone che si avvicinano a lui e fanno riferimento a cose di cui presumono che sia a conoscenza, dato che è il braccio destro del generale Scott, ma di cui in realtà non ha mai sentito parlare. Un riferimento particolare e sorprendente riguarda una base militare chiamata ECOMCON e quando Jiggs lo verifica con il Presidente, che esamina la questione, si scopre che non c’è traccia di tale base. A questo punto Jiggs ha messo insieme le cose solo per sentito dire, non ha prove concrete da presentare al Presidente. Tuttavia condivide le sue preoccupazioni su ciò che questo potrebbe significare nel peggiore dei casi…. un colpo di stato militare pianificato per il governo che avverrà quella domenica, a soli 4 giorni di distanza. E che questo colpo di stato militare potrebbe essere orchestrato dall’eroe di Jiggs, il generale Scott. Nonostante la grande ammirazione di Jiggs per il generale e la sua stessa incertezza sul trattato, Jiggs capisce che la decisione non spetta a lui o al generale, ma piuttosto al Presidente e al processo costituzionale. Il Presidente si trova nella difficile situazione di dover indagare sulla questione senza far capire alle persone sbagliate che sospetta qualcosa.

Un gruppo di tre uomini fidati viene riunito dal Presidente, insieme a Jiggs, per indagare su alcune piste. Durante le loro indagini, riescono a confermare con certezza che è effettivamente in corso un colpo di stato militare, ma si pensa che le prove siano state distrutte in un incidente aereo (quasi certamente per mano criminale).

l Presidente intende incontrare il generale Scott, al che uno dei suoi consiglieri dichiara: “Credo sia ora di affrontare il nemico, signor Presidente”.

Il Presidente risponde: “Non è lui il nemico. Scott, lo Stato Maggiore, persino le frange lunatiche molto emotive e molto illogiche, non sono il nemico. Il nemico è un’epoca. Un’era [di armi] nucleari. Si tratta di uccidere la fede dell’uomo nella sua capacità di influenzare ciò che gli accade. E da questo nasce una malattia, una frustrazione, un senso di impotenza, di impotenza, di debolezza. E da questo, da questa disperazione, cerchiamo un campione in rosso, bianco e blu. Di tanto in tanto passa un uomo su un cavallo bianco e lo nominiamo nostro dio personale per tutto il tempo. Per alcuni uomini è stato il senatore McCarthy, per altri il generale Walker e ora il generale Scott.”

Il Presidente incontra il generale Scott e gli chiede di dimettersi, ma il generale rifiuta di farlo. Il generale sa che non ci sono prove in mano del fatto che stia pianificando un colpo di Stato e sa anche di avere una certa porzione di sostegno popolare tra la gente che è d’accordo con una posizione militare più forte e si oppone al trattato.

Tuttavia, il Presidente non si tira indietro e tra i due nasce una discussione su quale sia il vero processo democratico e quindi il vero rispetto della Costituzione. Il Presidente afferma: “Sono pronto a marchiarla per quello che è, generale, un egoista impettito con un complesso di potere napoleonico e un vero e proprio traditore. So che lei pensa che io sia una sorella debole, generale, ma quando si tratta del mio giuramento e di difendere la Costituzione degli Stati Uniti…”

Il generale Scott interrompe: “Nessuno deve insegnarmi a fare il saluto alla bandiera americana!”

Il Presidente: “Qualcuno deve insegnarle il processo democratico che quella bandiera rappresenta!”

Generale Scott: “E non abbia la presunzione di assumersi questo compito, signor Presidente… perché francamente non è qualificato. Il suo modo di agire nell’ultimo anno ha rasentato la negligenza criminale. Questo trattato con i russi è una violazione di qualsiasi concetto di sicurezza. Lei non è una sorella debole, signor Presidente. Lei è una sorella criminalmente debole. E se vuole parlare del suo giuramento, sono qui per dirle di persona che ha violato quel giuramento quando ha spogliato questo Paese dei suoi vascelli, quando ha deliberatamente giocato sulla paura e sulla stanchezza della gente, dicendo loro che avrebbero potuto eliminare quella paura con un tratto di penna. E poi, quando questa nazione l’ha respinta, ha perso la fiducia in lei e ha iniziato ad opporsi, lei ha violato quel giuramento semplicemente non dimettendosi dalla carica e consegnando questo Paese a qualcuno che potesse rappresentare il popolo degli Stati Uniti.”

Presidente: “E questo sarebbe il generale James Mattoon Scott, non è vero? Non so se ridere o piangere di questa megalomania”

Generale Scott: “James Mattoon Scott, come dice lei, non ha il minimo interesse nella propria glorificazione, ma ha una preoccupazione profonda per la sopravvivenza di questo Paese.”

Presidente: “Allora, per Dio, si candidi! Lei ha un affetto così fervente, appassionato ed evangelico per il suo Paese, perché in nome di Dio non ha fiducia nel sistema di governo che è così determinato a proteggere? Lei dice che ho ingannato il popolo, generale, che l’ho montato, che l’ho fuorviato, che l’ho denudato e lasciato indifeso. Mi accusate di aver perso la loro fede, di aver deliberatamente e criminalmente chiuso le orecchie alla voce nazionale.”

Gen. Scott: “È vero!”

Presidente: “Dove diavolo ha sentito quella voce, Generale? Nei montacarichi? Nei vicoli bui? In luoghi segreti nel cuore della notte? Come ha fatto quella voce a penetrare in una stanza chiusa a chiave piena di cospiratori? Non è lì che si sente la voce del popolo, Generale, non in questa Repubblica. Vuole difendere gli Stati Uniti d’America? Allora li difenda con gli strumenti che le fornisce, la Costituzione. Chieda un mandato Generale da un’urna elettorale, non lo rubi dopo mezzanotte quando il Paese è girato di spalle.”

Generale Scott: “È serio signor Presidente? È veramente serio? Beh, potrei uscire di qui stasera e propormi come candidato alla presidenza e domani mattina sarei seduto a quella scrivania [la scrivania del Presidente] proprio con il mandato che lei ha tanto a cuore. E per di più, signor Presidente, lei lo sa, io lo so e questo Paese lo sa, quindi non dica che domani mi sarei impossessato di una carica senza averne il beneficio o il sostegno. Se avesse davvero il coraggio di chiedere l’alzata di mano, ora sarebbe su un aereo per tornare in Ohio.”

Presidente: “Può chiedere e ottenere la sua alzata di mano, Generale, basta che aspetti un anno e nove mesi per una cosa chiamata elezione.”

Genenerale Scott: “Tra un anno e nove mesi non credo che ci saranno elezioni. Penso che saremo seduti sulle nostre stesse macerie, con un minimo di 100 milioni di morti e sulla cui lapide potremo incidere “Sono morti per il concetto di pace di Jordan Lyman”.”

Il Presidente afferma cupamente: “Generale… Generale, le è mai venuto in mente che se prendeste il controllo di questo governo con la forza, non dovreste aspettare un anno e nove mesi per il funerale? Se l’Unione Sovietica vedesse il nostro governo assunto da una dittatura militare, quanto tempo crede che impiegherebbe per rompere il trattato? Forse addirittura per attaccarci? Credo che forse sia una questione di giorni, forse di ore, sicuramente di settimane. Voglio le sue dimissioni, Generale. Le voglio stasera, me le aspetto. Insieme agli altri membri dello Stato Maggiore coinvolti in questo tradimento. Le dirò in modo inequivocabile che non dirò il motivo delle sue dimissioni, se questo venisse reso pubblico questo Paese andrebbe a rotoli. Si dimetterà, generale?”

Generale Scott: “Non mi dimetterò.”

Il generale dichiara che si rivolgerà al popolo e lascerà che sia lui a decidere. Il Presidente risponde che domani terrà una conferenza stampa in cui annuncerà pubblicamente la sua richiesta di dimissioni dei membri coinvolti nel piano di colpo di Stato, a causa delle loro divergenze sul trattato. Il generale risponde che senza prove non potrebbe mai osare dire il contrario.

Il generale Scott informa gli altri tre membri dello Stato Maggiore congiunto sul piano di colpo di Stato. Li informa del piano del Presidente di tenere una conferenza stampa per sostenere una posizione che il generale Scott definisce del tutto insopportabile. Anche il generale Scott intende apparire in televisione durante la conferenza stampa del Presidente per fare appello alla popolazione affinché respinga il suo Presidente e sostenga la sua presa di potere. Gli altri membri del complotto golpista iniziano a diventare nervosi. Uno di loro afferma: “Prove o non prove, se il Presidente ci accusa di sedizione è una cosa seria!”. Il generale Scott risponde che la posizione del Presidente sul trattato con i sovietici è così insopportabile che prevede che il Presidente sarà sottoposto a impeachment nel giro di poche settimane.

In altre parole, il generale Scott ritiene che la mossa del Presidente di organizzare un disarmo congiunto delle armi nucleari con i sovietici e di porre potenzialmente fine alla Guerra Fredda, sia motivo di impeachment perché secondo il generale Scott è una violazione della “sicurezza”. Non sfugga l’attinenza di ciò con la situazione attuale.

Fortunatamente, l’inizio della conferenza stampa viene messo in pausa e il Presidente viene informato che la prova che pensavano di aver perso nell’incidente aereo è stata recuperata. Si tratta di una testimonianza firmata da un ammiraglio sul complotto per il colpo di Stato al quale gli era stato offerto di partecipare, ma da cui si era tirato indietro. Questa era la prova concreta di cui avevano bisogno. Il Presidente chiede che ne vengano inviate copie ai quattro militari coinvolti nel complotto golpista, in modo da spingerli alle dimissioni.

Il Presidente riprende la conferenza stampa e un giornalista gli chiede di commentare la voce di dimissioni di massa che sarebbero state richieste allo Stato Maggiore per la questione del trattato. Il Presidente risponde: “In una democrazia, una volta che il Presidente e il Senato, in quanto autorità responsabili, prendono una decisione, il dibattito e l’opposizione dei militari (che come sapete si sono opposti a questo trattato fin dall’inizio) devono finire. Così è in guerra, così deve essere anche nei consigli di governo qui a Washington. Non ho avuto altra scelta che chiedere le dimissioni del generale James Scott. Allo stesso tempo, ho chiesto le dimissioni di altri tre ufficiali: il generale Hardesty, il generale Diefenbach, capi di Stato Maggiore dell’Aeronautica e dell’Esercito e il generale Riley, comandante del Corpo dei Marines.”

A metà della conferenza stampa del Presidente, trasmessa in diretta televisiva, egli annuncia di aver ricevuto tre dimissioni su quattro, l’unica rimasta è quella del generale Scott, che alla fine si rende conto che tutto il sostegno che pensava di avere all’interno del governo e delle forze armate è crollato sotto la denuncia pubblica del Presidente della loro opposizione al trattato.

Il complotto per il colpo di Stato è stato reso pubblico e le persone coinvolte non hanno nemmeno avuto bisogno di aspettare la risposta del popolo. i cospiratori segreti del complotto si sono dispersi per la vergogna quando sono stati esposti all’opinione pubblica e tutta la fiducia nelle loro azioni per un colpo di Stato e un rovesciamento del governo si è sgretolata, dimostrandosi in realtà molto più debole alla luce del giorno che a quella del buio con le loro minacce segrete.

Il Presidente prosegue affermando: “Il punto di questo trattato, e l’ho ribadito in diverse occasioni, è che in ogni vero senso ci costringiamo ad allontanarci gradualmente da una postura offensiva, che ci allontaniamo gradualmente da, beh, quel momento di follia, in cui per puro caso o per disegno qualcuno avrebbe premuto quel pulsante… Negli ultimi mesi in questa terra si è sussurrato che abbiamo in qualche modo perso la nostra grandezza. Che non abbiamo la forza di vincere senza guerra le lotte per la libertà in tutto il mondo. Questa è una calunnia, perché il nostro Paese è forte, abbastanza forte da essere un costruttore di pace. È orgoglioso, abbastanza orgoglioso da essere paziente. I mormoratori, i detrattori, i violenti si sbagliano. Resteremo forti e orgogliosi, pacifici e pazienti. E vedremo un giorno in cui su questa terra tutti gli uomini usciranno dai lunghi tunnel della tirannia per entrare nel sole splendente della libertà.”

E qui finisce la storia, ma per noi continua. Ricordiamoci nel nostro tempo dove risiede la vera forza.

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Articolo originale di Matthew Ehret:

https://risingtidefoundation.net/2022/05/20/rtf-review-of-7-days-in-may/

Traduzione di Costantino Ceoldo

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