L’EUROPA DEVE AFFRONTARE UNA GUERRA POLITICA SU DUE FRONTI, MAN MANO CHE AUMENTA LA REAZIONE NEGATIVA DEI PAESI MEMBRI ALLE SUE DECISIONI

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DI AMBROSE EVANS PRITCHARD

telegraph.co.uk

Gli Stati Orientali dell’Unione Europea sono sconvolti per aver perso la sovranità sui confini, mentre quelli dell’Europa Meridionale lo sono per aver perso la sovranità economica, conseguenza dell’adesione all’euro

L’Unione Europea si sta frantumando lungo diverse linee di scissione, scavate dall’emergente Kulturkampf [1] sui flussi migratori, che sta avendo luogo prima ancora che siano stati superati gli amari conflitti al centro dell’Unione Monetaria.

“Le campane stanno suonando … il momento è arrivato”, ha sostenuto Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione. “Dobbiamo guardare agli enormi problemi con i quali l’Unione Europea si sta ora confrontando. La nostra Unione non è in una situazione molto buona”.

Sarebbe forse un po’ semplicistico, ma sostanzialmente giusto, sottolineare che la causa di questo crollo – pressoché fatale – va fatta risalire alla decisione di lanciare l’euro a Maastricht, nel 1991, senza prima aver dato vita ad un’Unione Politica in grado di renderlo praticabile ed ignorando, al contempo, i cristallini avvertimenti degli esperti in seno alla Commissione e alla Bundesbank, sul fatto che essa avrebbe inevitabilmente portato ad una crisi – la “crisi benefica”, come supponevano maliziosamente gli entusiasti dell’EMU.

I successivi Trattati di Amsterdam, Nizza e Lisbona hanno ulteriormente concentrato il potere nelle mani di un sistema istituzionale deformato, che ha minato la linfa vitale costituita dai Parlamenti degli antichi Stati Nazionali, i soli luoghi di autentica democrazia esistenti in Europa.

Ma, soprattutto, è stata distrutta la fiducia [nelle Istituzioni] non avendo tenuto conto del categorico “no” espresso nel 2005 dagli elettori francesi ed olandesi alla Costituzione Europea, riproponendo praticamente lo stesso Trattato attraverso un putsch dell’esecutivo, con un disgustato ma complice Primo Ministro britannico [Tony Blair] che lo ha firmato in una stanza laterale, a Lisbona, controllata dalle telecamere di sicurezza.

La conclusione corretta che si potrebbe trarre è che l’Unione Europea si può salvare, in questa fase, solo abbandonando il “Metodo Monnet” [2] ed i tentativi di forzare l’integrazione oltre i suoi limiti, ritraendosi al contrario sul più sicuro territorio degli Stati Nazionali, ove possibile.

Ed invece no … il Sig. Juncker ha invocato i “poteri del Trattato” per costringere i paesi membri ad accettare pro-quota i 160.000 rifugiati, anche se non sono d’accordo con le sue risoluzioni e se credono che tutto questo sia molto pericoloso, considerando lo stato di guerra tra la civiltà occidentale ed il fondamentalismo jihadista.

Personalmente, penso che le nazioni europee debbano aprire le loro porte a chi fugge da guerre e persecuzioni – dopo un adeguato controllo – in conformità con i trattati internazionali sui rifugiati ed in linea con la tradizione morale.

I paesi che hanno inciso le linee di Sykes-Picot [3] sulla mappa del Medio Oriente, nel 1916, conseguenza dello sgretolamento dell’Impero Ottomano, o quelli che hanno generato il caos per rovesciare gli sgradevoli ma stabili regimi in Iraq e in Libia, hanno uno speciale dovere di solidarietà. Ma il punto è scoprire dov’è che si trova l’autorità finale.

Invocando il “diritto dell’Unione” per imporre quote [d’immigrati] sotto pena di sanzioni, Bruxelles ha incautamente reso evidente che i paesi membri hanno rinunciato alla loro sovranità sulle frontiere, sulle forze di polizia e sui sistemi giudiziari, così come hanno rinunciato alla loro sovranità economica aderendo all’euro.

Si tratta di uno shock molto forte che ha creato una nuova spaccatura fra Est ed Ovest, che si aggiunge a quella fra Nord e Sud sulle questioni dell’Unione Monetaria. Con alcune sfumature i popoli d’Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Stati Baltici hanno rigettato la legittimità delle richieste che sono state fatte loro.

Ma c’è un paradosso, nella crisi europea. L’ex-premier italiano Mario Monti sostiene che tutti e tre i drammi che stanno attualmente intaccando l’Europa implicano questioni in cui le persone – in un certo senso – vogliono legarsi ancor più strettamente all’Unione Europea [e non viceversa].

Per i rifugiati che stanno arrivando in quantità bibliche, il territorio dell’UE è la “terra promessa”. La crisi con la Russia è scoppiata perché l’Ucraina vuole entrare nel club. La saga senza fine che si sta trascinando in Grecia sta avendo luogo perché il popolo greco vuole restare nell’EMU.

Tutto questo è vero, ma è anche un qualcosa privo di significato se il progetto europeo si sta disintegrando proprio nel suo centro. Marine Le Pen, del Front National francese, non ha perso tempo a stigmatizzare gli eventi, insistendo sul fatto che quasi tutti i rifugiati sono, nella realtà, dei semplici migranti e protestando perché la Germania li sta lasciando entrare solo per farli lavorare, in pratica, come “schiavi economici”.

Marine Le Pen continua a guidare i sondaggi, in Francia, sul solido terreno del 29% – ultimo sondaggio del Figaro – nonostante l’espulsione dal Partito di suo padre, avvenuta attraverso un sorprendente spettacolo di parricidio politico.

C’è un’alta probabilità che i suoi voti possano aumentare, dopo che lo scoppio iniziale di caldi sentimenti e di generosità – in alcune parti della società francese – sarà cominciato a svanire e si dovranno affrontare le conseguenze dell’immigrazione.

L’Eurozona è ancora in una fase di dura e strutturale depressione economica. Non lasciatevi ingannare dalla ripresa ciclica di breve termine che è attualmente in corso. Si presenta molto tardi rispetto all’espansione globale, che ha già fatto il suo corso, ed è troppo anemica per fermare la rivolta politica che si sta inasprendo in gran parte dell’Europa del Sud.

La Banca Centrale Europea prevede una crescita dell’1.4%, quest’anno, e dell’1.7% il prossimo. Questo è un gruel [4] veramente sottile, dato che tutte le stelle sono allineate in favore di quello che dovrebbe essere un boom straripante.

La politica fiscale è neutrale, dopo anni di inasprimento pro-ciclico. La BCE sta portando avanti un Quantitative Easing da 60 miliardi di euro al mese. L’euro è caduto del 24% rispetto al dollaro, nel corso dell’anno passato, ed i prezzi del petrolio sono scesi della metà. Tuttavia, anche questo stimolo non riesce a chiudere il gap.

La frattura tra il Nord ed il Sud dell’Unione Monetaria è stata messa vividamente in mostra lo scorso fine settimana, al Forum Ambrosetti sul Lago di Como – un incontro fra le élites europee – quando un alto funzionario francese ha apertamente accusato i tedeschi di condurre una “guerra di religione” e di distruggere l’Unione Monetaria attraverso la sollecitazione di una calvinista “pulizia morale” del debito.

Anche se il “racconto morale” dei tedeschi su ciò che è andato storto nell’Unione Monetaria fosse vero – ma Parigi rifiuta questa premessa – è comunque troppo tardi per poter chiudere il divario di “competitività del lavoro” tra le due metà dell’Eurozona, compreso fra il 20 ed il 30%, agendo soltanto sui tagli al Sud.

E’ proprio una politica così asimmetrica che ha spinto l’Eurozona in una contrazione degna degli anni ‘30. È stata inoltre del tutto controproducente. Gli effetti deflazionistici hanno fatto salire gli indici dell’indebitamento ancor più velocemente.

La spinta della Germania per la “competitività” è una copertura per quella che è stata, nella realtà, una deflazionistica compressione dei salari che ha rubato “una marcia” agli altri paesi dell’EMU, con tattiche da beggar-thy-neighbor [5].

Il funzionario francese ha continuato dicendo che queste politiche sono un gioco a somma zero, in un’Unione Monetaria. Non vanno confuse con i veri guadagni di “produttività”, la vera misura del progresso economico.

La soluzione ideale di Berlino al “rischio morale” [costituito dal debito] – ovvero il perseverare nell’austerità fino al compimento delle riforme, perché non ci possano più essere scivolamenti all’indietro – contrasta duramente con la letteratura accademica. Le riforme hanno bisogno, semmai, di uno stimolo in più, per poterne attutire l’urto.

I funzionari tedeschi presenti al forum hanno sorriso angelicamente, indisposti a concedere finanche un pollice di terreno sul piano ideologico. Non solo sono certi delle loro “ragioni morali”, ma ritengono che le politiche dell’EMU siano finanche un qualcosa da rivendicare: basta guardare alla Spagna, dimostra quello che un paese può fare!

I francesi potrebbero ribattere che la Spagna ha fatto rivivere la sua industria automobilistica – che ora lavora su “tre turni” ed esporta l’85% della sua produzione – attirando la produzione dagli impianti francesi, attraverso un taglio dei salari del 27%, dando così luogo ad una corsa al ribasso.

Per quanto riguarda la Grecia, inoltre, niente è stato risolto. Che ci sia o meno un governo funzionante, ad Atene, dopo le elezioni della prossima settimana, i creditori dovranno comunque chiarire cos’è che intendono fare per la riduzione del debito – ammesso e non concesso che abbiano quest’intenzione – mentre il Fondo Monetario Internazionale si rifiuta di partecipare al più recente pacchetto di prestiti, per 86 miliardi di euro, fino a quando questa riduzione non avrà luogo.

Il livello di austerità che è stato concordato non può plausibilmente essere raggiunto. L’avanzo primario è ancora una volta una questione tutta da risolvere, un mefitico intruglio per avvocati. I termini imposti alla Grecia sono ancora più duri di quelli respinti dagli elettori nel referendum vinto a valanga nel mese di Luglio. “Sono impossibili da rispettare”, ha dichiarato Yanis Varoufakis, l’ex Ministro delle Finanze.

Ed ha continuato: “Il FMI non pensa che [il pacchetto di riforme] possa funzionare, e non lo pensa nemmeno il Tesoro degli Stati Uniti. Anche Wolfgang Schäuble non lo pensa, egli stesso me lo ha detto. Non esiste, in Grecia, un sistema bancario che funziona. Le sofferenze sono del 45% e qualsiasi ricapitalizzazione sarà semplicemente uno spreco. In sei mesi dovremo passare di nuovo attraverso la stessa crisi”.

Il rischio è che l’economia globale possa andare verso un altro rallentamento, nel corso dei prossimi 18 mesi, prima che l’Eurozona possa davvero rimettersi in piedi, con debiti molto più alti rispetto al 2008, con la disoccupazione ancora bloccata a quasi l’11% e con gli investimenti ancora di 4,5 punti di Pil al di sotto dei livelli pre-crisi – dati FMI.

Questa settimana, la Banca Mondiale ha avvertito che, se la Federal Reserve degli Stati Uniti dovesse fare l’errore di cominciare a stringere [la sua politica monetaria], innescherà una reazione a catena nei mercati emergenti.

Il “Progetto Europeo” ha ben poco capitale, economico e politico, per potersi difendere, se qualcosa dovesse andare per storto. Come ha giustamente detto Juncker, “la campana sta suonando”. Davvero.

Ambrose Evans Pritchard

Fonte: www.telegraph.co.uk

Link: http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/11854259/Europe-faces-political-war-on-two-fronts-as-backlash-builds.html

9.09.2015

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da FRANCO

Fra parentesi quadra [ … ] le note del Traduttore, ed inoltre:

[1] Il termine si riferisce al conflitto tra Stato e Chiesa Cattolica scatenatosi in Germania dopo le annessioni del 1866 e la proclamazione dell’Impero (1871).

[2] Consiste nel procedere gradualmente con misure tecnocratiche d’integrazione economica, contando sul fatto che possano portare all’unificazione politica, anche se attraverso delle crisi, considerate “grandi opportunità di unificazione”.

[3] Per saperne di più si può consultare, fra i tanti, il sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Accordo_Sykes-Picot

[4] Specie di ‘porridge’ molto sottile.

[5] Per saperne di più si può consultare, fra i tanti, il sito: http://www.treccani.it/enciclopedia/politica-di-beggar-thy-neighbor_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/

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