WALL STREET INIZIA IL 2016 CON UNO SCIVOLONE

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DI MIKE WHITNEY

counterpunch.org

Il 2016 è iniziato di lunedì con un tonfo, quando le notizie dalla Cina hanno fatto precipitare i listini globali. L’indice di Shanghai è precipitato di 242 punti prima che entrasse in funzione uno stop-selling sistemico a bloccare ogni contrattazione. I tre principali indici Usa hanno seguito lo scivolone asiatico, col Dow Jones in prima linea che ha fatto segnare in giornata perdite a tre cifre. La notizia che il manifatturiero cinese ha continuato a contrarsi per il decimo mese di fila ha posto fine ad ogni speranza in un rally di inizio anno, con i trader frenetici che hanno fatto affondare le azioni ad un ritmo mai visto dal 2011. La combinazione fra dati macroeconomici sottotono, contrazione dei profitti, calo degli investimenti, crescita sotto la media, e tassi di interesse più alti ha messo un umore tremendo a Wall Street, e ci fa presagire un anno volatile e travagliato con scarsi motivi per festeggiare.

Mentre la causa più evidente della turbolenza attuale è l’affievolirsi della manifattura cinese, vi sono alla base ragioni non meno importanti, come il pessimo stato dell’economia americana che continua a languire in un lungo coma. Qui sotto un breve riepilogo dell’economista Jack Rasmus su CounterPunch:

“L’economia reale americana è cresciuta dal 2008 ad un tasso che oscilla più o meno da metà a due terzi di quello normale. Gli impieghi pagati decentemente sia nel manufatturiero che nelle costruzioni sono ancora un milione in meno rispetto ai livelli del 2007. La retribuzioni mediane per i non-manager sono ancora sotto il livello del 2007, e le famiglie accumulano ancora nuovo debito per affrontare le spese crescenti per cure mediche, affitti, per l’automobile e l’istruzione. Le vendite al dettaglio rallentano. Le costruzioni sono solo a due terzi del livello precrisi e il manifatturiero americano si sta ancora contraendo. Il boom industriale del fracking di idrocarburi del 2012-2014 — il principale driver per la crescita — si è concluso l’anno scorso, ed è emersa una massa di centinaia di migliaia di licenziati nei settori estrattivo, manifatturiero e dei trasporti. L’inflazione rallenta, riflettendo la vera debolezza dell’economia Usa essendo ora al minimo storico del 1,3% tendente al ribasso, mentre gli Stati Uniti—come Europa e Giappone—puntano verso la deflazione.” (Banche centrali fuori controllo, Jack Rasmus, CounterPunch)

Rasmus fa un riassunto perfetto. Lo stimolo dei tassi a zero da parte della Fed è stato un fallimento per tutti, ad eccezione di quella classe di investitori che, grazie agli stimoli monetari, ha rastrellato trilioni destinati a gonfiare bolle mentre l’economia reale arranca. E’ di particolare interesse la menzione che egli fa del “boom del fracking di idrocarburi del 2012-2014”, dal momento che, virtualmente tutta la cosiddetta “espansione del credito” ha avuto luogo in questa industria ad alta intensità di capitali, che attualmente si trova in grosse difficoltà a causa del crollo del prezzo del greggio e del ritorno della deflazione. Date un’occhiata a questo grafico preso dall’eccellente sito di Warren Mosler “Il centro dell’Universo”, che ci mostra la crescita del credito dal 2001

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Se i bassi tassi della Fed hanno in questo modo provocato un’espansione del credito presso famiglie ed imprese, cosa si è guadagnato allora?

Non molto in realtà. I posti di lavoro ben pagati nel settore petrolifero si sono già esauriti, lasciando gli imprenditori alle prese con ingenti debiti grazie a campagne di trivellazione non più profittevoli. Mentre il prezzo del petrolio continua a calare, il costo del denaro nel mercato dei bond-spazzatura continua a crescere, spianando la strada per un’ondata di fallimenti che potrebbero travolgere l’industria in un effetto domino. Questo è uno scenario abbastanza tipico, ogni qualvolta la Fed abbassa i tassi. Gli investitori cercano freneticamente maggiori guadagni, scaricando con frequenza il loro denaro su bond sopravvalutati, i quali forniscono fondi per operazioni rischiose che – alla fine – vanno a gambe all’aria. Il boom del fracking è solo un altro esempio di come il denaro a basso costo unito ai prezzi in caduta possa portare al disastro.

Naturalmente, se si porta il costo del denaro a zero, e lo si tiene così per sette anni, qualcosa di brutto deve succedere. La speculazione aumenterà, gli investitori prenderanno dei rischi in più ed il prezzo delle azioni e dei bond aumenterà. Ma quello che non succede è che la gente comune che lavora, che sta ancora tentando di ridurre il proprio fardello di debito dopo l’ultimo crollo, non inizia a richiedere altro denaro per spenderlo senza criterio. Questo non è successo e non succederà. L’unica ripresa è stata quella dei portafogli azionari dei magnati bancari e di altri investitori oscenamente ricchi. Tutti gli altri annaspano.

Abbiamo avuto numerosi segnali sul fatto che le politiche monetarie della Fed stiano portando il sistema verso un’altra crisi finanziaria. Date un’occhiata a questo trafiletto tratto dal sito World Socialist:

“L’Ufficio per le Ricerche Finanziarie (OFR), aperto dal Tesoro dopo la crisi del 2008, in un rapporto uscito questa settimana sullo stato dei mercati finanziari, ha tracciato un quadro di un “sistema finanziario americano nettamente distorto”— per usare le parole dell’editorialista economico del Financial Times Gill Tett — come conseguenza di sette anni di tassi di interesse ultra-bassi. L’OFR ha affermato che “il rischio di credito nel settore non finanziario dell’economia è elevato ed in crescita”. Arriva a mettere in guardia su “tassi base più alti che possono creare rischi di rifinanziamento… e innescare potenzialmente un più ampio ciclo di fallimenti.”

In altre parole si è creata una situazione nella quale un fallimento o una serie di fallimenti in aree ad alto rischio potrebbero innescare una reazione a catena nell’intero sistema, che ricorda gli effetti del crollo dei mutui sub-prime. (“Dopo l’aumento dei tassi da parte della Fed, la linea di frattura dell’economia globale si allarga” Nick Beams, World Socialist).

Qesto è esattamente quanto successo nel 2008 quando la Lehman è entrata in difficoltà, minacciando di trascinare l’intero sistema finanziario americano assieme ad essa. Ora— secondo l’Ufficio per le Ricerche Finanziarie— ci troviamo nello stesso guaio a causa dei tassi a zero della Fed che hanno “distorto nettamente” i prezzi degli asset, creando così la premessa per un ulteriore collasso.

Chiaramente la Fed è preoccupata su come andrà a finire tutto ciò. Solo la scorsa settimana, il vicepresidente della Fed Stanley Fischer ha detto che quest’ultima necessita di maggiori strumenti per prevenire i crack finanziari e contenere le conseguenze negative che ne deriverebbero. Questo da Bloomberg:

(Fischer) “domenica ha detto all’Associazione Economica Americana che la Fed non è ben equipaggiata di poteri regolatori per controllare il mercato immobiliare ed altri asset in bolla come lo sono altre banche centrali. Si è chiesto inoltre se il governo si sia spinto troppo oltre nel limitare la capacità della Fed di intervenire nel caso in cui scoppi una crisi che minacci il sistema finanziario.

Se la Fed sia stata eccessivamente limitata, “Non lo sapremo finchè non sarà troppo tardi” , ha detto Fischer al meeting annuale dell’AEA a San Francisco. Questo è qualcosa “di cui dovremmo preoccuparci parecchio…”.

Fischer ha inoltre contrastato le resistenze del Congresso sulla facoltà della Fed di agire come prestatore di ultima istanza… Nella legge bancaria passata nel 2010, i legislatori Usa hanno proibito alla Fed di intraprendere salvataggi di singole imprese finanziarie, come successo con la Bear Stearns e l’AIG durante l’ultima crisi. (“Fischer si preoccupa che la Fed non possa fronteggiare o contenere una crisi finanziaria Bloomberg )

Perché Fischer dovrebbe chiedere ulteriori poteri se non perché ha intravisto delle nuvole all’orizzonte?

La Fed è interamente responsabile delle condizioni dei mercati finanziari. Loro sono il primo regolatore e la mente dietro programmi sperimentali come il QE (quantitative easing ndr) e lo ZIRP ( programma dei tassi d’interesse zero). Non sorprende che abbiano implementato entrambi i programmi senza avere idee per una exit strategy. Adesso stanno cercando disperatamente una via d’uscita per il caos che hanno creato da soli. Guardiamo solo al modo in cui stanno cercando di aumentare i tassi d’interesse. E’ una procedura completamente nuova e nessuno la conosce davvero, che funzioni o no. Prima della crisi finanziaria, la Fed era solita aumentare il tasso dei Fed Funds (prestiti interbancari overnight ndr) semplicemente acquistando una parte residuale di essi. Ma ora che la Fed ha inondato le banche di riserve in eccesso per 2,6 trilioni, ciò non è più possibile. La Fed invece, pianifica di sperimentare dei reverse repos sperando che ciò li aiuterà a riconquistare il controllo del meccanismo di regolazione del tasso di interesse. Qui un breve resoconto di come si pensa che funzioni dal Wall Street Journal:

“La Fed ha iniziato a testare un nuovo strumento: l’accordo di riacquisto inverso giornaliero (reverse repo). Questi sono di fatto dei prestiti garantiti alla Federal Reserve che drenano temporaneamente un eccesso di riserve da entità governative o un eccesso di liquidità dal mercato dei Funds. Ciò presenta tuttavia dei rischi. Se la Fed non limitasse l’ammontare dei riacquisti, l’opportunità di guadagnare un interesse esente da rischi al nuovo più alto tasso della Fed, potrebbe innescare un flusso potenzialmente destabilizzante da asset di rischio come i bond mutual funds. La Fed dovendo fissare un tetto troppo basso, rischierebbe di perdere il controllo dei tassi sui prestiti overnight.” (L’aumento dei tassi della Fed: si profila un nuovo test”, Wall Street Journal).

Così secondo l’autore, il nuovo sistema per l’aumento dei tassi risulta:

a) Rischioso e

b) Nessuno sa se funzionerà perché non è stato provato prima.

Ciò non è esattamente un solido appoggio per le politiche della Fed, giusto?

Di certo nessuno ammetterà che niente di tutto ciò sarebbe necessario se la Fed avesse nazionalizzato le banche e svalutato i loro debiti, come ebbero occasione di fare nel 2008. Oh no. Invece, si continua a ripetere lo stesso non-sense sentito negli ultimi otto anni: che tutto sta migliorando e che la prosperità è appena dietro l’angolo. Che risate. Nel frattempo il sistema finanziario continua ad avvicinarsi alla propria inevitabile resa dei conti, in larga parte grazie agli sforzi della Fed.

MIKE WHITNEY vive nello stato di Washington. E’ uno degli autori di Senza speranza: Barck Obama e le politiche dell’illusione (AK press). Disponibile anche su Kindle. Contatti: [email protected]

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2016/01/05/wall-street-kicks-off-2016-with-a-faceplant/

5.01.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VALENTINO FANCELLO

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