VIAREGGIO. Lunedì Sergio ha deciso di non aprire il bar in Passeggiata. È sembrato un po’strano ai suoi clienti abituali. Molti sono operai dei cantieri della Darsena: basta attraversare la passerella e sono lì, da lui, al Grecale. Un locale che si chiama come un vento. Se lo poteva permettere, così a un soffio dal molo, in faccia alla pizzeria Athos che il suo babbo – pappà, in viareggino stretto – aveva reso un ritrovo mitico del viale a mare. Sergio Benedetti lunedì non ha aperto il bar perché non si sentiva tanto bene: aveva fatto la terza dose di vaccino. È capitato a molti. Un malessere diffuso. È andato a letto e ha rimandato il lavoro al giorno dopo, lui che il lavoro lo coltivava con dedizione. Ieri pomeriggio, però, il bar era ancora chiuso. Sergio non si è più alzato. È stato trovato morto, probabilmente stroncato da un infarto. A soli 45 anni.
La mamma non ci crede. Il suo ragazzone immobile nel letto. Ci sono stati tanti tentativi di rianimarlo, ma sono stati tutti inutili. Lo strazio si unisce all’incredulità. Sergio, a quanto risulta, è sempre stato un ragazzo sano. Per questo, la famiglia chiederà che venga effettuata un’autopsia.
Vuole capire perché Sergio sia morto, così senza nessuna avvisaglia. Un uomo giovane, forte. Con un grande appetito. Gli amici più stretti si divertivano spesso a prenderlo in giro (bonariamente) per i suoi innumerevoli tentativi di mettersi a dieta. Un sacrificio non tanto semplice, con la pizza, la focaccia e la cecina sfornati in continuazione dalla pizzeria di famiglia gestita dal fratello Guglielmo. I due fratelli insieme sul lavoro: uno di fronte all’altro. Da una parte la pizzeria, dall’altra il bar che si era specializzato in cocktail, grazie anche all’attenzione di Sergio ai gusti dei clienti.
Difficile che Sergio non si ricordasse le preferenze di chi si presentava al suo bar, a far colazione o per l’aperitivo, in primavera e in estate sui divanetti e sulle sedie bianche all’aperto, vicino al Caffè Liberty, già Supercinema e Caffè Savoia, dove negli anni Trenta si esibì perfino Totò e dove non era raro incontrare Guglielmo Marconi a fare colazione. A Sergio piaceva parlare della storia di Viareggio. La conosceva e ne era orgoglioso. Ogni tanto, alle persone con le quali era più in confidenza, rivolgeva anche qualche domanda: “Ma quanti piani ha la Torre Matilde?”.
Se sapevi che era stato abbattuto giù l’orologio piazzato in cima alla torre, allora ti considerava della sua cerchia. Era un po’ il suo test di viaregginità. Dopo quello c’era il test di letteratura. Perché Sergio sì era il titolare di un bar sulla Passeggiata, ma aveva un’altra aspirazione. Aveva aperto il locale al posto del negozio di fotografia Baldassarri in attesa della sua vera carriera, quella da scrittore: se con Sergio condividevi questi dettagli, allora potevi avvicinarti, anche se per diventare amico ci voleva un po’ di tempo. La confidenza arrivava quando iniziava a parlare di letteratura perché, appunto, Sergio aspirava a scrivere un romanzo. In realtà lo scriveva da un sacco di tempo, ma era come la Penelope della scrittura: scriveva e correggeva. Voleva raggiungere la perfezione, la pagina perfetta. Lo esigevano i suoi modelli: Tolstoj e l’amatissimo Simenon. Potevi parlare male di tutto, quasi anche della squadra di calcio, ma non di Simenon. Guai: potevi rischiare la scomunica o il divieto di accesso al bar.
Bar, poi. Più una comunità, un ritrovo fra persone che si riconoscevano. Che amavano condividere pensieri ed esperienze. Aveva creato anche un soppalco per ospitare gli scrittori. Presentava libri, metteva lo spazio a disposizione di chi voleva leggere e scrivere. Per gli altri c’era sempre lo spazio esterno: qui potevi trovare il maxi-schermo per le partite o per gli strumenti per la musica. Non mancava mai l’amico a dargli la mano. Perché dire di no a Sergio era impossibile. Lui che aveva raccolto i soldi per la statua del gatto del molo; che condivideva con gli amici la casa in collina. Che aveva sempre un sogno, un mare, un progetto di cui parlare. Per questo ha lasciato un sacco di ricordi. E non è poco.