DI GUY R. MCPHERSON
Guymcpherson.com
Dobbiamo sviluppare un nuovo sistema
economico perché quello attuale non funziona. Il sistema industriale
sta distruggendo ogni aspetto della vita sulla terra. E, fino a prova
contraria, senza vita sulla Terra non è possibile sopravvivere.
Cercherò di descrivere brevemente
gli orrori di questo intricato e devastante castello di carte globale.
Proverò a indicare un’alternativa migliore, e non sarà cosa difficile.
Molto più difficile sarebbe trovare un’alternativa peggiore. E i modelli
cui rifarsi non mancano certo. Mi concentrerò su due di questi, l’anarchia
agraria e l’Età della Pietra post-industriale.
Cosa non funziona? Un resoconto particolareggiato dei
malfunzionamenti dell’enonomia industriale richiederebbe un’intera biblioteca.
Riassumendo, i problemi principali sono (1) il fatto che la disparità
tra ricchi e poveri persiste anche al culmine dello sviluppo industriale
occidentale; (2) l’eccesso di popolazione, in un pianeta che ormai è
sovraccarico; (3) i cambiamenti climatici senza controllo prodotti dal
surriscaldamento globale; (4) la distruzione all’ingrosso della vita
sulla Terra, con l’estinzione di centinaia di specie al giorno, la perdita
di acqua potabile e di suolo fertile.
In breve, come ho scritto sulla più
importante rivista specializzata del settore, “il mondo moderno
ci costringe a vivere in modo immorale. Non c’è
dubbio che una società che schiavizza, tortura e uccide le persone,
fa abuso della terra e delll’acqua necessarie alla sopravvivenza della
nostra e di altre specie è una società
immorale, e tuttavia ciò è perpetrato con scioccante efficienza dal
sistema economico globale, incarnato nell’impero statunitense. La maggior
parte della gente sa che le multinazionali dell’energia avvelenano la
nostra acqua, quelle dell’agricoltura controllano le nostre forniture
alimentari, quelle del settore farmaceutico controllano il comportamento
dei nostri figli, Wall Street il flusso dei nostri soldi, i grandi media
le informazioni che riceviamo ogni giorno, e i “criminosamente
ricchi” diventano sempre più
ricchi sfruttando l’immoralità del sistema.
È così che funziona l’America. E, nonostante ciò, pensiamo ancora
di vivere da brave persone nel paese dei liberi“.
Dovrebbe essere chiaro che l’economia
industriale ci sta facendo ammalare, mentalmente e fisicamente, e sta
distruggendo gli habitat delle specie viventi su questo pianeta.
Sono convinto che sia necessario porre fine a questo sistema di vita
— cioè, porre fine alla civiltà industriale – e sostituirlo
con uno più sano e duraturo.
Alternative
Le alternative abbondano, e in generale
si collocano in un ventaglio che spazia dallo status quo all’Età
della Pietra postindustriale. In questo ventaglio voglio soffermarmi
su tre punti: (1) lo status quo, che deve essere sovvertito se
vogliamo continuare a esistere come specie ancora per più di qualche
decennio, (2) l’anarchia agraria e (3) l’Età della Pietra postindustriale.
Il sistema attuale: l’economia
industriale
Lo stadio attuale di sviluppo reca
con sé una quantità spaventosa di controindicazioni: il
sovrappopolamento, il caos climatico e la crisi delle specie animali
in via d’estinzione. È il nemico principale che ci troviamo ad
affrontare. Dobbiamo sbarazzarcene prima che sia lui a sbarazzarsi di
noi. Considerando la velocità con cui il nostro sistema economico procede
verso l’autodistruzione e l’assenza quasi totale di dibattito a livello
nazionale e internazionale su come fermarlo, ho il sospetto che la nostra
società precipiterà nell’Età della Pietra postindustriale nel giro
di anni, non di decenni. Ma alle comunità e agli individui rimane sempre
la possibilità di scegliere l’opzione dell’anarchia agraria.
L’anarchia agraria
L’anarchia come ideale politico pressupone
l’assenza di un governo coercitivo e stabilisce l’associazione volontaria
e cooperativa di individui o gruppi di individui come struttura portante
dell’organizzazione sociale. Questo “rapporto di vicinato”
dell’uomo con l’uomo e dell’uomo con la natura è l’ideale jeffersoniano
all’origine degli Stati Uniti, come indicato da Monticello e qua e là
da Thomas Jefferson nei suoi scritti. È anche il modello proposto da
Henry David Thoreau e, più di recente, da pensatori radicali come Wendell
Berry (scrittore e contadino), Noam Chomsky (linguista, filosofo), Howard
Zinn (storico recentemente scomparso) e dall’iconoclasta di Tucson Edward
Abbey.
Considerate, ad esempio, alcuni passi
arcinoti da Jefferson: (1) “Il risultato del nostro esperimento
sarà di consentire ai più di governare sé
stessi senza un padrone“; (2) “Preferirei essere esposto
agli inconvenienti di un eccesso di libertà
che a quelli del suo contrario” e (3) “Quando la gente
ha paura del proprio governo, è la tirannia; quando il governo ha paura
della propria gente, è la libertà“. Anche se Jefferson non
si considerava un anarchico, dalle sue parole e dai suoi ideali si capisce
che auspicava fortemente una supremazia dell’individuo e un governo
“minimo” che vegliasse sui cittadini senza pesare su di loro.
L’etimologia greco-latina di “anarchia”, invece, suggerisce
l’assenza totale di governo. Che non mi pare un’idea così cattiva.
Come Jefferson, Henry David Thoreau
propugnò l’ideale di una società agricola vicina alla natura.
Thoreau era uno strenuo sostenitore dell’anarchia agraria e attribuiva
all’individuo un’importanza ancora maggiore che Jefferson: “Il
governo migliore è quello che non governa; e quando gli uomini saranno
pronti, questo è il governo che avranno.” Che io sappia, nessun
governo nazionale ci ritiene pronti.
Balziamo alla fine del ventesimo secolo,
ed ecco diversi altri filosofi schierarsi a favore dell’anarchia agraria.
Forse gli esempi più famosi sono Wendell Berry, Noam Chomsky e
Howard Zinn, ma la voce più esplicita è stata quella di Edward Abbey
negli anni precedenti alla morte, avvenuta nel 1989: (1) “L’anarchismo
non è una favola romantica, ma la presa di coscienza, basata su cinquemila
anni di esperienza, che non possiamo affidare le nostre vite a re, preti,
politici, generali e questori“; (2) “L’anarchismo
è fondato sulla considerazione che siccome pochi uomini sono in grado
di governare sé stessi, ancora meno sono in grado di governare gli
altri“; e (3) “Il vero patriota deve sempre essere pronto
a difendere il proprio paese dal proprio governo“.
Nei miei sogni, le nazioni industrializzate
sono dirette verso l’anarchia agraria. Molti paesi l’hanno vissuta per
anni e possono mostrarci la via. Quando una regione era esclusa dall’accesso
immediato ai combustibili fossili, l’anarchia agraria era l’ovvia soluzione.
Cos’altro se non un forte senso di autonomia e forti legami all’interno
della comunità potevano permettere a queste comunità di coltivare
e distribuire cibo a livello locale? Cos’altro poteva permettere loro
di assicurarsi forniture d’acqua e proteggerle dalle grinfie delle multinazionali?
Di sviluppare una struttura sociale fondata sul rispetto reciproco e
sulla fiducia nel prossimo? Al contrario che nel nostro sistema,
non avevano bisogno del denaro: i conti erano saldati per mezzo del
baratto. Meglio ancora, l’economia agraria si sposa perfettamente con
l’economia del dono.
L’età
della pietra postindustriale
Per migliaia di anni la specie umana
ha vissuto in comunità relativamente piccole a stretto contatto con
la terra da cui traevano sostentamento. Questi uomini si conoscevano
tra di loro e conoscevano le piante e gli animali con cui condividevano
l’ambiente. Avevano impatto zero sul terreno e sulle risorse idriche
che utilizzavano. Passavano poche ore al giorno in quello che chimiamo
“lavoro”, allo scopo di assicurare l’accesso a acqua, cibo
e fonti di calore a tutti i membri della comunità. Era un sistema di
vita duraturo, caratterizzato dalla longevità e dall’impatto minimo
sul pianeta.
Questa è l’epoca che con arroganza
chiamiamo “età della pietra”.
La prima forma di civilizzazione si
sviluppò poche migliaia di anni fa. È legata essenzialmente
allo sviluppo delle città. In altre parole, la civilizzazione è caratterizzate
da popolazioni umane troppo numerose per soddisfare i propri fabbisogni
con le risorse locali. La città sopravvive grazie all’aria pulita,
all’acqua e al cibo sano che trae dalle campagne circostanti, come anche
il combustibile necessario a mantenere la temperatura corporea degli
abitanti a circa 37 gradi. In cambio, le campagne ricevono dalle città
aria sporca, acqua inquinata e spazzatura. Molte persone civilizzate
pensano che si tratti di un grande affare, ma la realtà è che non
può durare in eterno, perché l’abbondanza della natura ha dei limiti.
Lo stadio attuale della civilizzazione,
l’economia industriale, è il modello meno sostenibile, in parte
perché ha bisogno di crescere per sopravvivere. È come un
organismo, che o cresce o muore. E il nostro pianeta limitato non può
sostenere un crescita illimitata.
L’economia industriale ha bisogno di
forniture di greggio pronte per l’uso e a basso costo. Il petrolio è
il sangue che scorre nelle vene della nostra vita quotidiana. I derivati
del petrolio fanno viaggiare comodamente persone, merci, idee. Senza
conbustibili a basso costo per il trasporto di acqua, cibo, materiali
da costruzione, l’economia industriale va in recessione.
Ciascuna delle cinque recessioni registrate
dall’economia globale a partire dal 1972 è stata preceduta da un’impennata
nei prezzi del greggio. Sono finiti i giorni del carburante a portata
di mano. A livello globale, il picco di estrazione è stato toccato
nel maggio 2005. Un leggero calo nella disponibilità di greggio, assieme
alla crescita della domanda da parte di paesi in via di sviluppo come
Cina, India e Brasile, ha aperto la strada a ulteriori impennate nei
prezzi in futuro. Poco importa che vi siano al mondo quasi un trilione
di barili ancora da sfruttare: il prezzo dei conbustibili è la cosa
più importante per la crescita delle economie industriali.
Senza dubbio, i prossimi aumenti delle
tariffe porteranno il sistema al collasso e ci spediranno con un biglietto
di sola andanta tra le braccia della nuova età della pietra. Già
adesso, il petrolio è così caro che le banche centrali e i governi
nazionali non possono più permettersi di dare anche solo l’illusione
di una crescita economica stampando valuta. Propio come stava per accadere
nel 2008, quando il prezzo del greggio sfiorò i 147,27 dollari a barile.
Non è chiaro cosa il futuro abbia
in serbo. Ho il presentimento che, al termine del collasso in corso,
il tasso di mortalità avrà un’impennata di breve durata,
ma di larga scala. Dopodiché le risorse energetiche provenienti
da fonti rinnovabili verranno meno a loro volta, perché dipendono strettamente
per il loro mantenimento da settori che si reggono sul petrolio. Le
batterie della maggior parte dei pannelli solari installati nelle case
e delle centrali eoliche hanno una durata di un decennio o poco più.
Quando l’economia industriale sarà crollata e non ci sarà più possibilità
di generare energia attraverso le tecnologie rinnovabili, sembra proprio
che gli esseri umani non potranno fare a meno di tornare a vivere a
stretto contatto con i loro vicini e con l’ambiente naturale che consente
la vita sulla terra. Ciò significa che sprofonderemo nell’età della
pietra postindustriale, seppur provvisti di una tecnologia sconosciuta
ai tempi del Neolitico. Gli strumenti più semplici, come coltelli e
botti, rimarranno utilizzabili ancora a lungo. Le tegnologie più complesse,
specie quelle che dipendono dall’elettricità, scompariranno dalla nostra
memoria in men che non si dica.
Un’economia basata sullo scambio
di doni
Allo stadio attuale dello sviluppo
industriale la maggior parte della gente è ossessionata dall’economia
terziaria (pezzi di carta verde dal valore simbolico – i soldi – e componenti
magnetici di schede elettroniche). Pochi individui lungimiranti si concentrano
invece sul settore secondario (gli oggetti che usiamo nella vita di
tutti i giorni) che si basa saldamente sul settore primario, fondamentale
eppure trascuratissimo. Quest’ultimo ha a che fare con i rozzi materiali
che sfruttiamo per sopravvivere, e su cui forse prosperiamo. La fede
nei simboli dell’economia terziaria svanirà quando la gente si renderà
conto che ci sono troppo pochi strumenti da poter adoperare (l’economia
secondaria) e poche materie prime per ottenerli (economia primaria).
Il risultato sarà che i simboli perderanno gran parte del loro potere.
L’economia basata sullo scambio di
doni ha funzionato per i primi due milioni di anni della storia umana
e, con il collasso del sistema industriale dovuto alla scarsità
di combustibili fossili, siamo destinati a tornare a qualcosa di simile.
Faremmo bene a usare la storia come una guida per il nostro futuro senza
combustibili. Il nostro sistema monetario è basato sulla fede in simboli
e ci dà la falsa impressione di poter guadagnare molto in cambio di
niente. Invece, ci ruba il nostro senso della comunità.
Le persone provviste di denaro abbondante
non hanno bisogno di partecipare a una comunità di persone. La
ricchezza consente loro di comprare beni e servizi, e non hanno bisogno
di conoscere i nomi di chi fornisce loro tutto questo. Lo stesso per
i nomi delle piante, degli animali, del suolo, dell’acqua da cui dipendiamo
per la nostra sopravvivenza.
Al contrario, le persone indigenti
dipendono molto dai vicini. I poveri delle campagne riconoscono che
I vicini includono i non umani, oltre che gli umani. La vera comunità
si basa sul dono, e il dono è quello che ci fanno la terra e l’acqua
che ci sostengono non meno di quanto fanno i nostri simili.
Un esempio personale
Avevo in mano le carte vincenti. Ma
ho mollato la partita. I miei genitori hanno fatto gli insegnanti per
tutta la vita. Così anche mio fratello e mia sorella. In tutta la famiglia
sono stato l’unico a raggiungere l’apogeo dell’educazione. All’età
di quarant’anni ero professore ordinario all’università. Ho voltato
le spalle a quella vita, che amavo, e molte persone pensarono che fossi
diventato matto. Ho voltato le spalle dopo aver tentato invano di cambiare
quel sistema moralmente corrotto, quando mi resi conto che era il sistema
che stava cambiando me.
Ho gettato le carte quando mi sono
reso conto che il primo passo da fare per distruggere quaesto sistema
corrotto è abbandonarlo. Siccome ero nato in cattività e
avevo assimilato i normali pregiudizi di un mondo impazzito, mollai
più tardi di quanto avrei dovuto e solo dopo, molto tempo dopo,
mi resi conti dell’immoralità del sistema. Gran parte di questo ritardo
fu dovuto dalla mia incapacità di stabilire dove e come lasciare il
sistema. Ero arrivato a considerare il sistema economico industriale
al suo apice una cosa orribile ma, siccome era l’unico che avessi mai
conosciuto, non avevo idea di come fare a uscirne. Alla fine, dopo diversi
anni di riflessione e qualche tentativo abortito di evasione, assieme
a mia moglie riuscii a costruirmi una vita nuova improntata all’anarchia
agraria in una piccola proprietà condivisa con un’altra famiglia.
Dopo aver gettato le carte sul tavolo,
ho iniziato a lavorare assieme ad altre persone in un esperimento di
transizione verso l’economia del dono. Vivo in una piccola valle semidisabitata
dove il dono è la regola, non l’eccezione. Condivido un piccolo appezzamento
di terra assieme ad altri umani, anatre, papere, polli e piante. Abbiamo
cercato, e continuiamo tuttora, di seguire uno stile di vita rispettoso
della sana alimentazione, della giusta temperatura corporea, della condivisione
tra esseri umani. Vivendo nell’anarchia agraria in una comunità ai
confini dell’impero, sono diventato responsabile di me stesso e dei
miei vicini, umani e non.
Questo stile di vita è di gran lunga
superiore a quello che avevo in precedenza. Bevo acqua pura da un pozzo
locale azionato a mano e con pannelli fotovoltaici. Mangio sano, cibo
biologico coltivato in gran parte sulla mia proprietà. La mia abitazione
è ben coibentata e autonoma dal punto di vista energetico, non utilizzo
mai energia proveniente da combustibili fossili. Conosco i miei vicini,
umani e non, e loro conoscono me.
Alla fine, meglio tardi che mai, sono
riuscito a vedere gli orrori del nostro stile di vita, e ad abbandonarlo.
Unitevi a me, per favore.
Guy McPherson è professore
emerito di Scienze Naturali e di Ecologia e Biologia dell’Evoluzione
presso l’Università dell’Arizona, dove ha insegnato e condotto ricerche
per 20 anni. Ha scritto oltre 100 articoli, dieci libri, l’ultimo: Walking
Away From Empire, e per molti anni ha studiato la conservazione della
biodiversità. Vive in una casa di paglia autosufficente, pratica la
coltivazione biologica e l’allevamento, lavorando all’interno di una
piccola comunità rurale. Per saperne di più visitate guymcpherson.com o scrivetegli all’indirizzo [email protected]
Fonte: Toward an economy of Earth
02.02.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DAVIDE ILLARIETTI