DI MASSIMO FINI
“È
la prima riforma
della Giustizia
dopo sessant’anni”
ha detto, trionfante,
il Guardasigilli.
Ma proprio per questo si
tratta di una formidabile
occasione mancata.
Non entro nel merito delle
singole modificazioni portate
dalla riforma che tante
polemiche stan suscitando:
la separazione delle funzioni,
l’avanzamento di carriera
attraverso appositi esami,
i corsi di aggiornamento,
i maggiori poteri al Procuratore
capo.
Il fatto è che la riforma non
sfiora neanche ‘la questione
delle questioni’ della giustizia
italiana: l’abnorme
durata dei processi, sia
penali che civili. Dicevano i
latini, che una giustizia che
arriva tardi è sempre denegata
giustizia. Sia per il cittadino
che per la società. A
che serve, nel civile, che mi
sia data ragione dopo dodici
anni, che è la durata media
di questo tipo di processo? A
che serve alla società sapere
che un cittadino è colpevole
dopo decenni?È innanzitutto un problema
strutturale. Il nostro
è l’unico Paese al mondo
dove esistono tre gradi di
giudizio di merito, perché
anche quello della Cassazione,
che dovrebbe essere
un vaglio di pura legittimità
formale, si è trasformato,
attraverso la valutazione
della ‘congruità’ della
motivazione rispetto al
dispositivo, in un giudizio
sui fatti del processo. C’è
poi una serie infinita di
possibilità di impugnazioni,
per nullità, per invalidità,
per incompetenza
(per territorio, materia,
funzione), di ricusazioni,
spalmate su tutti e tre i
gradi di giudizio,
Come se non bastasse dopo
‘Mani Pulite’ la classe politica
per mettersi al riparo
da Pm ritenuti troppo
intraprendenti ha varato
un’altra serie di norme
‘ipergarantiste’ che hanno
finito per fare del processo
uno strumento quasi inservibile.
Tutto questo ‘garantismo’
si rivolta proprio contro
l’imputato innocente, mentre
favorisce il colpevole.
Innanzitutto perché allunga
fatalmente le carcerazioni
preventive. Poi, qual’è
l’interesse dell’imputato
innocente? Essere giudicato
il prima possibile, per
vedersi restituita l’onorabilità.
Il colpevole ha invece
l’interesse opposto: essere
giudicato il più tardi possibile,
mai.
Questa e la tabe del processo
penale italiano. Che la
riforma non solo non cura,
ma, se possibile, aggrava,
perché i magistrati, impegnati
in esami per accelerare
le carriere e in corsi
di aggiornamento, avranno
ancora meno tempo per
occuparsi della loro funzione:
che è di indagare sui
reati e di emettere al più
presto un verdetto sui
responsabili.
Massimo Fini
Fonte: Quotidiano Linea
Ripreso da Newsletter Arianna editrice
5.12.04