Sostituire la Democrazia Economica
con l’Oligarchia Finanziaria
DI MICHAEL HUDSON
“Ma se un paese non
mantiene i propri impegni, credo che tutti saremmo d’accordo nel ritenere
che il secondo stage dovrà essere differente. Andremmo
troppo in là se noi considerassimo, in questo secondo stage,
di dare alle autorità dell’area euro una voce più
forte e più autorevole nella formazione delle politiche economiche
della nazione se queste falliranno pesantemente? Un’influenza
diretta, che va ben oltre la sorveglianza potenziata che
è prevista al momento? Jean-Claude Trichet, Presidente della BCE
mentre riceve il premio Carlo Magno per l’unità dell’Europa (Aachen,
2 giugno 2011)Subito dopo che il Partito Socialista
aveva vinto le elezioni nazionali in Grecia nell’autunno del 2009,
era diventato palese che le finanze del governo erano un disastro. Nel
maggio del 2010 il Presidente francese Nicolas Sarkozy prese l’iniziativa
per raccogliere 120 miliardi di euro dai governi europei per sussidiare
il sistema fiscale non progressivo che aveva portato il governo greco
in un mare di debiti, che le banche di Wall Street avevano aiutato a
nascondere sotto una contabilità stile Enron.
Il sistema impositivo era come un imbuto
che raccoglieva le tasse per pagare le banche tedesche e francesi che
stavano comprando i sempre più deprezzati bond governativi.
I banchieri stanno dando l’imprimatur
su questo modo d’intendere la politica, la condizione necessaria per
derubare i bond greci quando arrivano alla scadenza e per estendere
le scadenze nel breve lasso di tempo in cui la Grecia è costretta a
operare. Se questo piano avesse successo, sarebbe una manna per gli
attuali possessori delle obbligazioni. Il 1° giugno Moody’s ha abbassato
il rating sul debito greco a “junk” (da Caa1, poi
a B1, che era già abbastanza basso), stimando una probabilità del
default pari al 50%. L’abbassamento è servito per mettere ancora
più alle strette il governo greco. Senza considerare la politica dei
funzionari europei, Moody’s ha affermato: “C’è una sempre maggiore
probabilità che i sostenitori della Grecia (il FMI, la BCE e la Commissione
dell’UE, noti anche come la “Troika”), in un futuro prossimo,
richiederanno la partecipazione dei creditori privati nella ristrutturazione
del debito come precondizione per il supporto finanziario.”[1]
La condizione per un nuovo e “riformato”
pacchetto di prestiti è che la Grecia inizi una guerra di classe alzando
le tasse, abbassando la spesa sociale – e persino le pensioni del
settore privato– e vendendo pezzi di territorio, i siti turistici,
le isole, i porti, gli impianti per la potabilizzazione e le fognature.
Tutto questo alzerà il costo della vita e quello per fare gli affari,
erodendo ancora la già limitata competitività per le esportazioni.
I banchieri lo hanno descritto in modo ipocrita come un “salvataggio”
delle finanze greche.
Quelle che sono state davvero salvate
un anno fa, nel maggio del 2010, furono le banche francesi che detenevano
31 miliardi di euro in obbligazioni greche, le banche tedesche con 23
miliardi e altri investitori stranieri. Il problema è come permettere
ai greci di tirare avanti. Quando fu eletto, il Primo Ministro socialista
Papandreou era ritenuto capace di portare il suo elettorato lungo linee
simili a quelle seguite dai neoliberali Socialdemocratici e dai Laburisti
in tutt’Europa, ossia privatizzare le infrastrutture fondamentali
e destinare le entrate future per pagare i banchieri.
L’opportunità che ha il settore
finanziario per arraffare i beni pubblici e stringere la cinghia al
fisco non è mai stata migliore. I banchieri, da parte loro, avevano
tutta l’intenzione di concedere prestiti per finanziare gli acquisti
dei monopoli delle scommesse, dei telefoni, dei porti e dei trasporti
o altre simili opportunità. E per la classe più agiata della popolazione
greca, il pacchetto di prestiti dell’UE dovrebbe rendere possibile
di restare all’interno dell’Eurozona abbastanza a lungo per permettergli
di spostare i capitali fuori dal paese prima che si arrivi al punto
in cui la Grecia sarà obbligata a sostituire l’euro con la dracma
e svalutare la propria moneta. Fino a che il cambio non fosse avvenuto,
la Grecia avrebbe dovuto seguire le politiche, già praticate nei paesi
baltici e in Irlanda, volte a favorire la “svalutazione interna”,
ossia il calo del potere di acquisto degli stipendi e i tagli del governo
alla spesa sociale (a parte i pagamenti al settore finanziario) per
abbassare il tasso di occupazione e abbassare i livelli di reddito.
Quello che è effettivamente svalutato
nei programmi di austerità o nel deprezzamento delle valute è il prezzo
del lavoro. Che è il costo interno principale, allo stesso modo in
cui c’è un prezzo comune globale per il petrolio e per i minerali,
per i beni di consumo, il cibo e persino per il credito. Se gli stipendi
non possono essere ridotti dalla “svalutazione interna” (con la
riduzione del personale che parte dal settore pubblico, portando così
alla caduta degli stipendi), il deprezzamento della moneta riuscirà
comunque allo scopo. Questo è il modo in cui in Europa la guerra dei
creditori contro i paesi debitori si è trasformata in una guerra al
lavoro. Ma per imporre le riforme neoliberiste, la pressione che viene
dall’estero è necessaria per bypassare i parlamenti eletti democraticamente.
Non ci si può aspettare che il voto degli elettori sia più inutile
per difendere i propri interessi di quelli dei lettoni e degli irlandesi.
La gran parte della popolazione greca
ha capito quello che è successo grazie allo scenario che è
stato lo sfondo di questi ultimi anni. “Papandreou stesso ha ammesso
che non abbiamo voce in capitolo sulle misure economiche che ci sono
state imposte”, ha detto il partigiano Manolis Glezos. “Sono state
decise dall’UE e dal FMI. Adesso siamo sotto la supervisione straniera
che può mettere in discussione anche la nostra indipendenza economica,
politica e militare.” [2] Dalla destra dello schieramento politico, il
leader dei conservatori, Antonis Samaras, ha preso la parola il
27 maggio quando le trattative con la troika europea si stavano
facendo sempre più difficili: “Non possiamo essere d’accordo con
una politica che uccide la nostra economia e distrugge la società.
[…] C’è solo una via d’uscita per la Grecia, rinegoziare il salvataggio
[dell’UE/FMI].”[3]
Ma i creditori dell’Unione Europea
hanno alzato la posta: rifiutare queste condizioni – è la loro minaccia
– provocherebbe un ritiro dei finanziamenti che porterà al collasso
del sistema bancario e all’anarchia economica.
I greci hanno rifiutato di arrendersi
in modo pacifico. Gli scioperi hanno iniziato a diffondersi dai sindacati
del settore pubblico per sfociare nel movimento dell’“Io non pago”
quando i greci hanno iniziato a rifiutarsi di pagare i pedaggi autostradali
o altre tariffe per l’accesso ai servizi pubblici. La polizia e gli
altri esattori non hanno cercato di stimolare questa raccolta. Il consenso
sempre maggiore per il populismo ha portato il Primo Ministro del Lussemburgo,
Jean-Claude Juncker, a porre minacce simili a quelle che il collega
britannico ha rivolto all’Islanda: se la Grecia non si fosse abbassata
ai voleri dei ministri delle Finanze europei, avrebbe bloccato la concessione
della trance dei prestiti del FMI fissato per giugno. Questo
avrebbe impedito al governo di pagare le banche straniere e i fondi
speculativi che hanno comprato il debito greco quando le quotazioni
erano in ribasso.
Per molti greci questa è una minaccia
che gli viene rivolta dai ministri delle finanze per spararsi nei piedi.
Se non ci sono soldi per pagare, i possessori stranieri delle obbligazioni
ne patiranno le conseguenze, se la Grecia metterà la propria economia
al primo posto. Ma questa è un’ipotesi remota. Il Primo Ministro
socialista, Papandreou, ha già emulato il collega islandese socialdemocratico
Sigurdardottir per creare un “consenso” di modo da obbedire ai ministri
delle Finanze dell’UE. “I partiti dell’opposizione rifiutano quest’ultimo
pacchetto di austerità con la convinzione che i tagli necessari per
la concessione del salvataggio di 110 miliardi di euro stanno strozzando
la vita dell’economia.” (Ibid.)
Seguendo questi propositi, la Grecia,
l’Irlanda, la Irlanda, Spagna, il Portogallo e il resto dell’Europa
faranno arretrare le riforme democratiche ottenute in passato e si incammineranno
verso un’oligarchia finanziaria. L’obbiettivo finanziario è quello
di bypassare il parlamento con la richiesta di un “consenso” per
mettere i creditori in primo piano, sempre al di sopra del resto dell’economia.
Ai parlamenti viene chiesto di mollare la presa sui propri poteri decisionali.
La vera definizione di “libero mercato” è ora diventata quella
di una pianificazione centralizzata nelle mani dei banchieri centrali.
Questa è la prossima strada per la servitù verso cui ci stanno portando
i “liberi mercati” finanziarizzati: il libero mercato dei privatizzatori
che comprano i monopoli a prezzi stracciati per renderli “liberi”
dai prezzi politici e dalle regolamentazioni anti-trust, “liberi”
dai limiti sul credito per proteggere i debitori e al di sopra di tutte
le interferenze dei parlamenti regolarmente eletti. Intrufolarsi nei
monopoli naturali dei trasporti, delle comunicazioni, delle lotterie
e del demanio è quello che viene chiamata l’alternativa alla servitù,
e non la strada verso lo schiavismo del debito e verso un neofeudalesimo
finanziario che incombe sulle società del futuro. Questa è la filosofia
economica alla rovescia dei nostri tempi.
La concentrazione del potere finanziario
nelle mani di soggetti che non agiscono in modo democratico ha a che
fare proprio col modo in cui la pianificazione centralizzata dell’Europa
è stata ottenuta. La Banca Centrale Europea non ha un governo eletto
che possa far leva sulle tasse. La costituzione dell’Unione Europea
impedisce alla BCE di aiutare i governi. Inoltre, gli Articoli di Programma
del FMI anch’essi vietano un sostegno fiscale interno per i deficit
di bilancio. “Uno stato membro può ottenere credito dal FMI solo
a condizione che abbia ‘un bisogno di fare acquisti a causa della
sua bilancia dei pagamenti e della consistenza delle sue riserve o gli
sviluppi delle sue riserve.’
Grecia, Irlanda e il Portogallo non
sono certo a corto di riserve di divise straniere. […] Il FMI sta
prestando a causa di problemi di bilancio e non è quello che dovrebbe
fare. La Deutsche Bundesbank ha chiarito a fondo questo punto
nel suo report mensile del marzo 2010:
‘Un qualsiasi contributo
finanziario del FMI per risolvere i problemi della necessità di divise
straniere – come il finanziamento diretto dei deficit di bilancio
– sarebbe incompatibile col suo mandato monetario.’ Il direttore
del FMI Dominique Strauss-Kahn, e l’economista Olivier Blanchard stanno
portando il FMI fuori dal suo territorio, e non c’è tribunale che
li possa fermare.”[4]
La morale è che, quando si devono
salvare i banchieri, le regole vengono ignorate, per servire una “più
alta giustizia” che sostenga le banche e le sue controparti dell’alta
finanza dall’affrontare le perdite. Questo è l’esatto opposto delle
politiche del FMI nei riguardi del lavoro e dei “contribuenti”.
La lotta di classe è di nuovo sugli scudi e, con fare vendicativo,
i banchieri hanno vinto anche questa volta
La Comunità Economica Europea
che ha preceduto l’Unione Europea fu creata da una generazione di
leader il cui obbiettivo primario era quello di porre fine alle
guerre intestine che hanno sconvolto l’Europa per un migliaio di anni.
Il fine per molti era quello di far terminare l’esistenza degli Stati-nazione
con la premessa che sono le nazioni che si fanno la guerra. Le aspettative
diffuse erano che la democrazia economica si sarebbe opposta alla classe
aristocratica e monarchica che ha sempre cercato gloria con la conquista.
All’interno dei paesi, le riforme economiche avevano lo scopo di purificare
le economie europee dalle eredità feudali che avevano determinato le
conquiste del territorio e dei beni pubblici in generale. L’obbiettivo
era quello di beneficiare tutta la popolazione. Questa era un programma
di riforma di una classica economia politica.
L’integrazione europea ha considerato
il commercio come la via di minore resistenza, con il Comunità del
Carbone e dell’Acciaio promossa da Robert Schuman nel 1952, seguita
dalla Comunità Economica Europea (la CEE, il Mercato Comune) nel 1957.
L’integrazione delle pratiche alle dogane e le Politiche Agricole
Comuni (CAP) furono facilitate dall’integrazione finanziaria. Ma senza
un vero parlamento continentale a scrivere le leggi, a fissare il livello
delle imposte, a proteggere le condizioni del lavoro e dei consumatori
e a controllare i centri bancari offshore, le pianificazioni
centralizzate sono passate naturalmente nelle mani dei banchieri e delle
istituzioni finanziarie. Questo è un effetto della sostituzione degli
Stati-nazione con la pianificazione dei banchieri. È il modo in cui
le politiche democratiche sono sostituite dall’oligarchia finanziaria.
La finanza è una forma di guerra.
Come le conquiste militare, il suo obbiettivo è quello di guadagnare
il controllo del territorio, delle infrastrutture pubbliche e di imporre
i tributi. Per far questo si ha bisogno di piegare le leggi e di piegare
la progettualità economica e anche sociale nella mani di poche persone.
Questo è quello che è riuscita a fare la finanza, senza però i costi
dello schieramento di un esercito. Ma le economie sotto attacco possono
essere ancor più devastate dal rigore finanziario che da un attacco
militare quando poi si arriva alle limitazioni demografiche, alla riduzione
delle aspettative di vita, all’emigrazione e al trasferimento all’estero
dei capitali.
Questo attacco non è stato condotto
dagli Stati-nazione, ma da una classe finanziaria cosmopolita. La finanza
è sempre stata più cosmopolita che nazionalistica e ha sempre cercato
di imporre le sue priorità e il potere legislativo su quello delle
democrazie parlamentari.
Come per un qualsiasi monopolio o potere
forte, la sua strategia finanziaria cerca di bloccare il potere dei
governi che vogliono regolarla o tassarla. Dal punto di vista della
finanza, la funzione ideale di un governo sarebbe quella di rafforzare
e proteggere il capitale finanziario e “il miracolo degli interessi
composti” che permette alle proprie fortune di moltiplicarsi esponenzialmente,
più velocemente di quanto l’economia riesca a fare fino a che non
riesca a divorarsi tutta l’economia.
Questa dinamica finanziaria oggi minaccia
di distruggere l’Europa. Ma la classe finanziaria ha già ottenuto
potere a sufficienza per poter condizionare l’ideologia corrente e
così insistere nel dire che i popoli delle nazioni sono una minaccia
all’unità europea nel voler resistere ai richiami cosmopoliti del
capitale finanziario che sono necessari per imporre l’austerità al
mondo del lavoro. I debiti che non sono più rimborsabili dovranno essere
portati all’interno dei bilanci dello Stato, senza alcun conflitto
militare, ovviamente. Almeno lo spargimento di sangue è solo un ricordo
del passato. Dal punto di vista della popolazione d’Irlanda e Grecia
(a cui, forse, fra poco si uniranno quelle di Portogallo Spagna), i
governi nazionali parlamentari devono mobilitarsi per imporre le politiche
necessarie alla resa della nazioni ai pianificatori finanziari. Alcuni
sostengono che l’ideale sarebbe quello di ridurre i parlamentari a
pupazzi del regime che servono la classe cosmopolita finanziaria usando
il leverage del debito per sottrarre il poco che è rimasto del
demanio pubblico, che una volta veniva definito come “bene comune”.
Così facendo, stiamo entrando in un mondo post-medievale di enclosures,
un cambiamento provocato dalle leggi finanziarie che sopravanzano le
leggi nazionali e le consuetudini contro il bene comune.
In Europa il potere finanziario è
concentrato in Germania, in Francia e nei Paesi Bassi. Sono le loro
banche che detengono la maggior parte dei bond del governo greco
che ora viene richiamato all’austerità, e quelle irlandesi che sono
già state salvate dai loro contribuenti.
Giovedì 2 giugno, il Presidente
della BCE, Jean-Claude Trichet, ha delineato la strada da seguire
per radicare l’oligarchia finanziaria in tutta Europa. In modo consono,
ha annunciato il suo progetto proprio mentre riceveva il premio Carlo
Magno a Aachen in Germania, esprimendo in modo simbolico che l’Europa
doveva essere unificata, non tanto in virtù della pace economica sognata
dagli architetti del Mercato Comune negli anni ’50, ma sul terreno,
diametralmente opposto, dell’oligarchia.
Durante il suo discorso [5]
“Costruire l’Europa, costruire le istituzioni”, il signor Trichet
ha giustamente accreditato il Consiglio Europeo, guidato da Van Rompuy,
per aver dato direzione e forza fin dal livello più alto, e anche il
gruppo dei ministri delle Finanze dell’Eurozona che sono diretti da
Juncker. Trichet si è riferito al “trialogo tra Parlamento, Commissione
e Consiglio”.
Il compito dell’Europa, ha spiegato,
era quello di seguire Erasmo per portarla oltre la sua tradizionale
e “rigida concezione delle nazioni”: “Il problema del debito richiede
nuove misure di politica monetaria – le chiamiamo ‘decisioni
non standard’, strettamente separate dalle decisioni ‘standard’
che hanno lo scopo di permettere una migliore implementazione delle
nostre politiche monetarie nelle anormali condizioni del mercato odierno.”
La questione da affrontare è come rendere tutto questo la norma, ossia
come pagare i debiti e ridefinire la solvibilità di una nazione dalla
sua capacità di pagare con la svendita del demanio pubblico.
“Le nazioni che non hanno seguito
alla lettera lo spirito delle regole sono state in difficoltà”, ha
notato il signor Trichet. “Con il contagio, queste difficoltà hanno
colpito altre nazioni dell’EMU. Rafforzare le regole per prevenire
politiche scorrette è da questo momento una priorità urgente.” Il
suo uso del termine “contagio” descrive i governi democratici e
la protezione dei debitori come una malattia. E ci ricorda i discorsi
dei colonnelli greci, che aprono il famoso film del 1969 “Z”, pronunciati
per combattere la sinistra come se ci fosse un agente infestante da sterminare con il giusto pesticida ideologico. Trichet ha adottato la retorica dei colonnelli. Il compito dei Socialisti in Grecia è ormai fare quello che non è riuscito ai colonnelli e ai conservatori che li hanno preceduti: portare il lavoro a dover affrontare riforme economiche irreversibili.
Trichet afferma:
Gli accordi sono ancora in corso e riguardano l’assistenza finanziaria che verrà concessa seguendo protocolli rigidi, pienamente in linea con le politiche del FMI. Sono attento alle questioni che alcuni osservatori potrebbero sollevare sulla direzione da intraprendere. La linea tra solidarietà regionale e responsabilità individuale potrebbe essere mal interpretata se gli obblighi non venissero soddisfatti in modo rigoroso.
Dal mio punto di vista, potrebbe essere appropriato prevedere due stage nel medio termine per i paesi in difficoltà. Ciò richiederebbe naturalmente una modifica del Trattato.
Il primo stage dovrebbe fornire l’assistenza finanziaria nel contesto di un robusto aggiustamento di programma. È corretto dare a queste nazioni un’opportunità per sistemare da sole la situazione e per ripristinare la stabilità.
Allo stesso tempo, una assistenza di questo tipo è negli interessi dell’intera area euro per prevenire che le crisi si diffondano in modo da poter danneggiare altri paesi.
È di fondamentale importanza che avvengano questi aggiustamenti, che le nazioni – governo e opposizione – si uniscano nello sforzo e che i paesi contributori sorveglino con grande attenzione l’implementazione del programma.
Ma se un paese non mantenesse i propri impegni, credo che tutti saremmo d’accordo nel ritenere che il secondo stage dovrà essere differente. Andremmo troppo in là se noi considerassimo, in questo secondo stage, di dare alle autorità dell’area euro una voce più forte e più autorevole nella formazione delle politiche economiche della nazione se queste falliranno pesantemente?
Un’influenza diretta, che va ben oltre la sorveglianza rafforzata che è prevista al momento?
Il Presidente della BCE ha poi dato le premesse politiche del suo programma di riforma (una parodia dell’uso
del termine “riforma” nell’odierno Contro-Illuminismo):
Possiamo vedere davanti
ai nostri occhi che l’appartenenza all’UE, e ancora di più all’EMU,
comporta una nuova comprensione del modo in cui si esercita la sovranità.
L’interdipendenza significa che le nazioni, de facto, non devono
avere un’autorità completa all’interno dei propri confini. Tutto
questo può portare ad affrontare crisi causate dalle politiche economiche
scorrette poste in essere da altre nazioni.
Con l’impostazione contenuta
nel secondo stage, noi cambieremmo drasticamente la governance
che adesso è basata sulla dialettica della sorveglianza, delle raccomandazioni
e delle sanzioni. Nel contesto attuale, tutte le decisioni rimangono
nelle mani delle singole nazioni, anche nel caso in cui le raccomandazioni
non vengano seguite e persino se quest’attitudine scatena difficoltà
più pesanti per gli altri stati membri. Nella nuova concezione, nel
secondo stage non solo sarebbe possibile, ma in qualche caso
obbligatorio, che le autorità europee – in particolare il Consiglio
sulla base di una proposta della Commissione presa insieme alla BCE
– prendano decisioni da applicare nelle economie interessate.
Ci potremmo immaginare
che le autorità europee abbiano di avere il diritto di veto sulle
decisioni di politica economica nazionale. Il mandato potrebbe includere
in particolare politiche di maggior spesa fiscale e alcuni elementi
essenziali per la competitività della nazione.
Per “politiche economiche scorrette”
il signor Trichet intende il non pagare i debiti, da intendersi con
la possibilità di pagare senza dover rinunciare ai territori e ai monopoli
del demanio pubblico e quindi il rifiuto di veder sostituita la democrazia
politica ed economica con il controllo del settore bancario. Affondando
il coltello della lunga storia dell’idealismo europeo, ha descritto
in modo subdolo il suo proposito di un colpo di stato finanziario come
se stesse seguendo lo spirito di Jean Monnet, di Robert Schuman e degli
altri liberali che hanno promosso l’integrazione europea nella speranza
di creare un mondo più pacifico, più prospero e produttivo e non certo
basato sul lo scippo dei beni pubblici da parte della finanza.
Trichet ha continuato:
Jean Monnet nelle sue memorie
scrisse 35 anni fa: “Nessuno può dire oggi quale sarà la cornice
istituzionale dell’Europa in un domani perché i cambiamenti futuri,
che sono favoriti da quelli odierni, sono imprevedibili.”
Nella sua Unione del domani,
o del dopodomani, sarebbe troppo audace, in campo economico, con un
mercato unico, una sola divisa e una sola banca centrale, di immaginare
un ministro delle finanze dell’Unione? Non necessariamente un ministro
delle finanze che amministri un grande bilancio federale. Ma un ministro
delle finanze che possa esercitare la responsabilità diretta in almeno
tre ambiti: primo, la sorveglianza sia delle politiche fiscali che di
quelle per il sostegno alla competitività, così come le dirette responsabilità
sopra menzionate riguardo le nazioni al “secondo stage” ce
sono all’interno dell’area euro; in secondo luogo, tutte le tipiche
responsabilità di tutti gli organismi dirigenziale sul settore finanziario
unificato dell’unione per favorire la piena integrazione dei servizi
finanziari; e terzo, la rappresentanza della confederazione dell’unione
nelle istituzioni finanziarie internazionali.
Husserl concluse la sua
lettura in modo visionario: “La crisi esistenziale dell’Europa può
finire in uno solo di questi due modi: con suo crollo (…) sprofondando
nell’odio per lo spirito e nella barbarie; o in una sua rinascita
dallo spirito della filosofia, attraverso l’eroismo della ragione
(…)”.
Come il mio amico Marshall Auerback
ha sottolineato ironicamente, il suo messaggio è abbastanza simile
alla descrizione di quello che sta succedendo negli Stati Uniti: “Questa
è la risposta Repubblicana nel Michigan. Prendere possesso delle città
in crisi che sono governate dalle minoranze in disgrazia, rimuovere
dal potere i governi democraticamente eletti e usare poteri straordinari
per imporre l’austerità.” In altre parole, non deve esistere nell’Unione
Europea alcuno spazio per una qualsiasi mediazione come quella sostenuta
da Elizabeth Warren. Non è l tipo d’integrazione idealistica a cui
guardano il signor Trichet e la BCE. Lui ci sta portando nella direzione
mostrata dalle ultime immagini del film “Z”:
le cose vietate dalla giunta includono
“i movimenti pacifisti, gli scioperi, i sindacati, gli uomini con
i capelli lunghi, i Beatles, altre musiche moderne e popolari, Sofocle,
Lev Tolstoy, Eschilo, scrivere che Socrate era omosessuale, Eugène
Ionesco, Jean-Paul Sartre, Anton Chekhov, Harold Pinter, Edward Albee,
Mark Twain, Samuel Beckett, i circoli culturali, la sociologia, le enciclopedie
internazionali, la libera stampa e la nuova matematica. È anche vietata
la lettera Z, che era usata come un ricordo simbolico per suggerire
che Grigoris Lambrakis e, per estensione lo spirito della resistenza,
vive (zi = ‘egli (Lambrakis) vive).”[6]
Il Wall Street Journal ha ben
riassunto il senso politico del discorso di Trichet:
Se un paese soggetto a
un bail out non rispetta il programma di aggiustamento fiscale,
allora si potrebbe richiedere un “secondo stage” per “dare
alle autorità dell’area euro una voce molto più forte e autorevole
nella formazione delle politiche economiche del paese”[7] […]
Le autorità dell’Eurozona – e specificamente le loro istituzioni
finanziarie, non le istituzioni democratiche che hanno lo scopo di proteggere
i lavoratori e i consumatori per alzare il tenore di vita –
“possono avere il diritto di veto sulle decisioni di politica economica
interna al paese”. In particolare, un veto potrebbe essere applicato
per le “politiche di maggior spesa fiscale e per alcuni elementi essenziali
alla competitività del paese”. Parafrasando la lugubre richiesta
del signor Trichet, “In questa futura unione […] non sarebbe troppo
audace in campo economico […] di immaginarsi un ministro delle finanze
dell’unione?” L’articolo ha riportato che “un tale ministro
non dovrebbe disporre di un grande budget federale ma sarebbe
coinvolto nella sorveglianza e nell’emissione dei voti e dovrebbe
rappresentare il blocco monetario alle istituzioni finanziarie internazionali.”
La mia memoria personale è che
l’idealismo socialista dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale
era disgustato dal vedere gli Stati-nazione usati come uno strumento
degli apparati militari. Questa ideologia pacifista ha poi offuscato
l’originale ideologia socialista della fine del XXIX secolo, che voleva
riformare i governi per dargli il potere legislativo, quello di tassare
il potere e di togliere la proprietà dalle mani delle classi che ne
erano in possesso fino dalle invasioni vichinghe che in Europa stabilirono
i privilegi feudali, per abolire la proprietà delle terre e il controllo
finanziario dei monopoli del commercio e, in modo sempre più forte,
il privilegio bancario della creazione della moneta.
Un mio collega all’UMKC, il
professor Bill Black, ha recentemente commentato nella sezione economica
del blog dell’UMKC: “Uno dei paradossi più grossi è che
i governi periferici, generalmente guidata dalla sinistra, hanno adottato
in modo entusiastico i rimedi economici totalmente di destra della BCE,
e l’austerità diventa così la riposta appropriata a una forte recessione.
[…] Il perché i partiti di sinistra hanno seguito i consigli degli
economisti ultra-conservatori, i cui dogmi contro le regole hanno aiutato
a provocare questa crisi, è uno dei più grandi misteri della vita.
Le loro politiche sono autodistruttive per l’economia e suicide in
senso politico.”[8]
Grecia e Irlanda sono diventate la
cartina di tornasole per verificare come le economie possono essere
sacrificate nel tentativo di pagare debiti che non possono essere pagati.
C’è la minaccia di un interregno durante il quale le strade che portano
ai default e all’austerità permanente ridurranno l’importanza
di un numero sempre maggiore di imprese pubbliche, devieranno sempre
più gli introiti dei consumatori per pagare i debiti pubblici e le
imposte raccolte dai governi per pagare i possessori delle obbligazioni,
oltre alle entrate del settore privato per pagare i banchieri.
Se non è guerra questa, ditemi
cos’è.
Note:
[1] Mark Gongloff,“Moody’s Downgrades
Grecia”, Wall Street Journal, 1 giugno 2011.
[2] Helena Smith, “The Greek spirit
of resistance turns its guns on the IMF”, The Observer, 9 maggio
2010.
[3] Reuters, “Grecia PM fails to
win austerity reform backing”, Financial Times, 28 maggio 2011.
[4] Roland Vaubel, “Europe’s Bailout
Politics”, The International Economy, Primavera 2011, p. 40.
[5] “Building Europe, building institutions.”
Discorso di Jean-Claude Trichet, Presidente della BCE al ricevimento
del premio Carlo Magno 2011 ad Aachen, 2 giugno 2011.
[6] Film
“Z”
[7] Tom Fairless, “Trichet Calls
for Tougher Debt Intervention”, Wall Street Journal, 2 giugno
2011.
[8] Bill Black, “Bad Cop; Crazed
Cop – the IMF and the ECB”, New Economics Perspectives, 30
maggio 2011.
Fonte: http://michael-hudson.com/2011/06/eu-class-war-declared/
02.06.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE