DI IDA MAGLI
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Nessun Papa fino ad oggi ha osato chiamarsi Francesco. Assumere un nuovo nome significa identificarsi in qualche modo con la persona che portava quel nome, prenderla a propria guida. Ma certamente Francesco d’Assisi sarebbe scappato via inorridito davanti allo spettacolo (è questa la parola giusta: “spettacolo”) in cui si è esibito il Vaticano per l’elezione del nuovo Papa. Francesco si sarebbe spogliato, messo nudo davanti a tutti, nel vedere l’abbigliamento sfoggiato dai Cardinali, attori in lenta fila compunta sul palcoscenico dell’intero mondo. Non sappiamo neanche immaginare quanto costino tessuti, damaschi, fili d’oro, merletti, gioielli, fabbricati appositamente per loro, ma è certo che Francesco avrebbe pianto di orrore e di vergogna davanti ai seguaci di Gesù vestiti come gli antichi Faraoni delle cui magnificenze gli ebrei si erano innamorati.
Doppio, tragico tradimento che si perpetua da duemila anni: identificarsi con gli ebrei e copiarli in ciò che Gesù ha condannato come il peggiore dei mali: le ricchezze del tempio e la maniacalità rituale. “Non ripetete parole!” Questo grido di Gesù risuonava tristemente nella mente e nel cuore di coloro che guardavano lo svolgersi puntiglioso di una ritualità che è negazione del Vangelo, ma che afferma così il proprio potere. I riti, infatti, servono a questo, sono nati per questo: porre la separazione fra il Sacro e il profano, segnare la potenza di chi, gestendo il Sacro, sta sopra al popolo, lo comanda e lo giudica. È il motivo per il quale i sacerdoti, sempre e ovunque, a qualsiasi religione appartengano, indossano abiti particolari, con significati simbolici, funzionali all’accadimento magico, potente, senza alcuna differenza fra i Cardinali in Conclave e gli Stregoni-Sciamani altaici o africani, cui del resto somiglia l’abbigliamento cardinalizio perché viene dall’antico Egitto. Nella storia della Chiesa si è presentata diverse volte la ribellione alla ritualità e alla sua pompa, ribellione di cui Francesco è stato il massimo testimone, ma inutilmente. Il problema non è la ricchezza, infatti, ma il “potere”. Al potere i sacerdoti non rinunciano mai.
I commenti alla nomina dell’argentino Jorge Mario Bergoglio sono stati tutti positivi, almeno quelli espressi in pubblico, ma sicuramente il gruppo degli sconfitti starà affilando le proprie armi. Si è trattato, infatti, di un tentativo, con l’elezione di un Papa non europeo, di liberarsi dal predominio del nido di vipere arroccato nella Curia vaticana e nei suoi dintorni. Non si vede però nessun altro motivo di speranza per una vera trasformazione della Chiesa in senso evangelico. Le tante riflessioni e proposte che si sono susseguite negli ultimi anni dall’interno stesso delle strutture ecclesiastiche e pubblicate dalle loro più ortodosse case editrici (Paoline e Dehoniane soprattutto) per ricondursi sulla strada della povertà, della predicazione del Vangelo, abbandonando anche la gestione diretta dello Stato Vaticano, sono state spazzate via di colpo con il messaggio mandato attraverso l’elezione di un Gesuita al soglio pontificio e attraverso la pompa spettacolare e studiatissima esibita per la sua investitura: la Chiesa è quella di sempre e nulla può scalfirne il potere e l’autorità. I Gesuiti hanno come proprio particolare compito fin dalla nascita quello di fare la guardia al Papato; proteggere, difendere, sostenere il Papa. Adesso la guardia ha preso il posto del Sovrano…
Ida Magli
Fonte: www.italianiliberi.it
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15.03.2013