Logico ma folle, l’Occidente allo specchio
DI NOAM CHOMSKY
Nel 1991, l’economista capo della Banca Mondiale scrisse un memorandum interno sull’inquinamento, in cui dimostrava che la banca avrebbe dovuto incoraggiare il trasferimento di industrie inquinanti nei Paesi più poveri. Perché è razionale che «l’inquinamento dannoso per la salute» sia mandato in Paesi più poveri, dove la mortalità è più alta e i salari sono più bassi. Egli sottolineò che la logica del memorandum era «impeccabile». Il memorandum trapelò, e condusse a una furibonda reazione, caratterizzata dal ministro brasiliano per l’Ambiente, il quale scrisse all’autore una lettera dicendo che «il suo modo di ragionare era perfettamente logico ma totalmente folle». Fu silurato, mentre l’autore del memorandum divenne Segretario del Tesoro sotto Clinton e ora è presidente della Harvard University.
La codificazione base dei diritti umani è la Universal Declaration of Human Rights (UD) adottata nel dicembre 1948 da quasi tutte le nazioni, almeno in teoria. La UD rifletteva un ampio consenso interculturale, vedi l’articolo 25: «Chiunque ha diritto a un livello di vita adeguato alla salute e al benessere suo e della famiglia».
Sembra ragionevolmente chiaro che questa formulazione dei diritti umani universali respinga la impeccabile logica dell’economista capo della Banca Mondiale, se non folle, almeno profondamente immorale; che è stato, in effetti, il parere virtualmente universale, almeno di coloro che sono disposti ad apparire in pubblico. Ma è, comunque, importante sottolineare la parola «virtuale». Come è ben noto, la cultura occidentale condanna come «relativiste» alcune nazioni, che interpretano selettivamente l’UD respingendo le parti che non gradiscono. C’è stata grande indignazione per i relativisti asiatici, o gli inqualificabili comunisti, che si abbassano a questa spregevole pratica. Meno avvertito è che il leader del campo relativista è anche il leader autonominato degli «Stati illuminati», lo Stato più potente del mondo.
Mi riferisco ancora agli Stati Uniti, ma ciò è fuorviante. Può darsi che ci sia qualche passo avanti nel mondo occidentale sotto questo profilo, ma di fatto esiste pochissima differenza, a parte la distribuzione del potere.
Un mese fa, la stampa ha pubblicato ampi editoriali sulla diffusione della relazione annuale del Dipartimento di Stato sui diritti umani nel mondo. Il portavoce alla conferenza stampa era Paula Dobriansky, sottosegretario di Stato per gli affari globali. Ha affermato che «la promozione dei diritti umani non è soltanto un elemento della nostra politica estera, è la pietra miliare della nostra politica e la nostra preoccupazione principale».
La signora Dobriansky era vice segretario di Stato per i diritti umani e gli affari umani nelle amministrazioni Reagan e Bush padre, e cercò di dissipare quelli che chiamava «miti» a proposito dei diritti umani.
Terminerò con alcune osservazioni finali sulla scena corrente. È appena trascorso il 25° anniversario dell’assassinio dell’arcivescovo Oscar Romero nel Salvador, una «voce per quelli senza voce», e il 15° anniversario dell’assassinio di sei rappresentativi intellettuali latino-americani, preti gesuiti. I due avvenimenti si inquadrano nell’orrendo decennio Ottanta dell’America Centrale. L’arcivescovo Romero e gli intellettuali gesuiti furono uccisi da forze di sicurezza armate e addestrate a Washington: in effetti, i politici attualmente in carica o i loro immediati mentori. Lo stesso vale per molte delle centinaia di migliaia di altre vittime.
L’arcivescovo fu assassinato mentre diceva messa, poco dopo che aveva scritto al presidente Carter, chiedendogli di non inviare aiuti alla brutale giunta militare del Salvador, che avrebbero «acuito la repressione scatenata contro le organizzazioni popolari che combattono per difendere i loro più fondamentali diritti civili». Il terrore di Stato crebbe, sempre con l’appoggio degli Stati Uniti, e la complicità e il silenzio dell’Occidente. Se qualcosa di remotamente simile fosse accaduto in quegli anni nell’Europa dell’Est, gli avvenimenti sarebbero stati resi noti, e gli avversari commemorati; dando per scontato, cioè, che l’offesa non avrebbe portato fino alla guerra nucleare.
Il principio di differenziazione è cristallino, probabilmente prossimo a un universale storico. Per i potenti, i nostri crimini non esistono. Non dobbiamo ricordare il cupo destino di quelli che «combattevano per difendere i loro più fondamentali diritti umani», né chi porta la responsabilità di quelle atrocità. A società che apprezzano la loro libertà non sarebbe necessario ricordare nulla di questo, perché verrebbe insegnato nelle scuole e ben noto a tutti. E lo stesso varrebbe per le continue atrocità praticate proprio ora da forze militari armate e addestrate a Washington con l’appoggio degli alleati occidentali, per esempio in Colombia, il maggior violatore dei diritti umani nell’emisfero, e da molti anni il destinatario principale di aiuto e addestramento militare dagli Stati Uniti. Il Dipartimento di Stato riferisce che lo scorso anno la Colombia ha mantenuto il suo primato: più attivisti sindacali assassinati che in tutto il resto del mondo.
Alcune settimane or sono i militari hanno fatto irruzione nella prima e più importante delle città che si sono dichiarate zona di pace uccidendo uno dei suoi fondatori e facendo altre vittime, compresi bambini di 2 e 6 anni.
Si sa poco di queste faccende, salvo che nei circoli di chi è impegnato a difendere i diritti umani universali.
Cito questi pochi esempi per rammentare a noi stessi che non siamo puramente impegnati in seminari su principi astratti, o a discutere culture remote che non comprendiamo. Parliamo di noi stessi, dei valori morali e intellettuali delle comunità privilegiate di élite in cui viviamo. Se non ci piace quello che vediamo, se guardiamo onestamente nello specchio, abbiamo modo di fare qualcosa.
Noam Chomsky
Fonte:www.lastampa.it
1.04.05