TEMPO E DENARO

DONA A COMEDONCHISCIOTTE.ORG PER SOSTENERE UN'INFORMAZIONE LIBERA E INDIPENDENTE:
PAYPAL: Clicca qui

STRIPE: Clicca qui

In alternativa, è possibile effettuare un bonifico bancario (SEPA) utilizzando il nostro conto
Titolare del conto: Come Don Chisciotte
IBAN: BE41 9674 3446 7410
BIC: TRWIBEB1XXX
Causale: Raccolta fondi

DI FRANCO BERARDI “BIFO”
Kafka.eu

Pensiamo a queste frasi:

“Dammi tempo.”

“Stai perdendo tempo.”

“Risparmiare tempo.”

Sono frasi insensate che possiamo capire

solo metaforicamente, che, non appena presuppongono l’idea che il tempo

sia qualcosa che può si può dare o togliere, implicano sia anche

qualcosa che possiamo guadagnare o perdere, possedere o immagazzinare.
E su questo tipo di assurdo si basa l’economia, un macchinario il cui

fine è la cosificazione e l’accumulazione del tempo. Che cosa mettiamo

nella banca, quando depositiamo una somma di denaro? Tempo. In un certo

senso depositiamo il nostro tempo scorso o il nostro tempo futuro. Il

nostro tempo o quello degli altri, nel caso in cui si appartenga alla

classe capitalista e che ci dedichiamo, precisamente, a spogliare gli

altri del tempo loro. La trasformazione che ha portato dal capitalismo

borghese al semio-capitalismo attuale implica un cambiamento nella percezione

delle relazioni tra denaro, linguaggio e tempo. Quando parliamo di banche

parliamo di posti nei quali si deposita e si risparmia il tempo. Ma

la maniera di farlo va legata ai cambiamenti nella storia del capitalismo,

come alla storia delle relazioni tra capitalismo e vita, soggettività

e individualità. Ci risulta difficile essere sistematici a proposito

del tempo e, pertanto, rinunciamo alla sistematicità. Il gran mistero

della fase finanziaria del capitalismo si radica proprio in questo:

il denaro che metto nella banca è il mio tempo passato, il tempo che

già ho vissuto prima? O il denaro che metto nella banca mi dà la possibilità

di comprare un futuro? E questa domanda racchiude un segreto o un enigma?

Sapete qual è la differenza tra

un segreto e un enigma? Un segreto è qualcosa che è nascosto

da qualche parte. Dovete sapere il codice, bisogna trovare la chiave

corretta, e il segreto cesserà di esserlo, si trasformerà nella verità.

L’enigma è distinto perché c’è una chiave da trovare, la chiave

non è in nessun posto e neanche la verità. Perciò, quando parliamo

di capitalismo finanziario, quando parliamo della relazione tra tempo,

futuro e debito, stiamo parlando di un segreto o di un enigma? Credo

che stiamo parlando di un enigma, perché nessuno sa niente circa il

futuro, nessuno sa che cosa si nasconde nel tempo futuro di chi si è

indebitato, e quindi l’unico mezzo per risolvere l’enigma è la violenza.

O paghi o ti elimino. O mi dai il tuo tempo presente in cambio del tempo

futuro, o ti lascio nella miseria. Questa è la ragione per la quale

in questo momento greci, portoghesi, spagnoli e irlandesi devono pagare

denaro alle banche tedesche: per evitare di uscire dall’Unione Europea

e non venire emarginati. Ma il problema è che per pagare il debito

con le banche tedesche si vedono obbligati a impoverirsi, a rinunciare

all’educazione, alla sanità e a una vita comoda. Un enigma, si tratta

senza dubbio di un enigma.

Valori fluttuanti

La verità del capitalismo finanziario

non si riesce a scoprire perché il trucco essenziale del capitalismo

finanziario è precisamente questo: la verità è sparita,

è svanita. Non esiste più. Non esiste oramai nessuna verità,

ma solo uno scambio di segni, una de-territorializzazione del significato.

Ne “Lo scambio simbolico e la morte”, Baudrillard afferma che tutto

il sistema si basa sull’indeterminazione. Su di essa si è poggiato

lo spostamento che ci ha portato dal capitalismo industriale al semio-capitalismo,

dove l’indeterminazione rimpiazza la relazione fissa tra tempo di lavoro

e valore della merce, e in questo modo tutta la regolazione dello scambio

cade nel sistema aleatorio dai valori fluttuanti.

Il capitalismo finanziario si basa

essenzialmente sulla perdita di ogni relazione tra tempo e valore. Nelle

prime pagine di “Il capitale”, Marx spiega che il valore è tempo,

accumulazione di tempo. Tempo oggettivato, tempo che si è trasformato

in cose, in merci, in valore. Attenzione: per determinare il valore

non vale qualunque specie di tempo, bensì la media di tempo di cui

la società ha bisogno per produrre una determinata merce. Se sei fannullone

o troppo rapido, non conta. Quello che conta nel momento di determinare

il valore è la media di tempo necessario per produrre un determinato

bene. Ciò accadeva nei bei vecchi tempi in cui era possibile determinare

il tempo di cui si aveva bisogno per produrre qualcosa. Poi le cose

cambiarono: improvvisamente è avvenuto qualcosa nell’organizzazione

del lavoro e nei metodi di produzione che ha modificato le relazioni

tra tempo, lavoro e valore.

Giunse il momento in cui il lavoro

smise di essere l’attività fisica muscolare della produzione industriale.

Basta con i prodotti materiali, ora ci sarebbero stati solo segni;

basta produrre cose tangibili, visibili, materiali, ora bisognava produrre

qualcosa che sarebbe essenzialmente semiotico. Quando volete stabilire

la media di tempo necessario per produrre un oggetto materiale, l’operazione

che dovete fare è molto semplice: quanto tempo di lavoro fisico richiede

il trasformare la materia in quel prodotto. È facile stabilire il tempo

richiesto per produrre un oggetto materiale, basandosi su determinate

condizioni tecniche. Ma cercate di stabilire il tempo che ci vuole per

produrre un’idea. Cercate di fissare il tempo che occorre per produrre

un progetto, un stile o un’innovazione. Provateci e vedrete che, quando

il processo di produzione diventa semiotico, la relazione tra tempo

di lavoro e valore imprevedibilmente evapora, si volatilizza. Baudrillard

fu il primo pensatore che comprese e descrisse questo cambiamento.

Baudrillard scrisse “Lo scambio simbolico

e la morte” nel 1976. Ma alcuni anni prima il presidente degli

Stati Uniti Richard Nixon aveva fatto qualcosa che cambiò il mondo.

A quell’epoca i presidenti degli Stati Uniti erano veri profeti, non

perché fossero capaci di predire il futuro, ma perché abbastanza potenti

da poterlo determinare o, detto meglio, erano abbastanza potenti per

poter imprimere la volontà del capitalismo americano nel futuro del

mondo. Nixon fece un qualcosa che ebbe conseguenze future cruciali:

fece in modo che il dollaro uscisse dal sistema monetario fissato nel

1944 a Bretton Woods. In altre parole, decise la fine di un sistema

basato su di una relazione fissa tra le varie monete e da quel momento

il dollaro fu liberato da ogni regolazione fissa. Indipendente, autonomo,

o – meglio – aleatorio, fluttuante e indeterminato. Aleatorio è quello

che non si può prevedere, che non si può stabilire o determinare in

alcun modo. Il latino usa la parola “ratio” per definire

la relazione fissa, il modello, la misura. Nel linguaggio filosofico,

la ratio è la misura universale su cui si regge per la comprensione

delle cose: la ragione. Con la decisione di Nixon si pose fine al modello

di riferimento. L’unità di misura non esisteva più. E non esisteva

più neppure la possibilità di stabilire, in media, la quantità di

tempo necessaria a produrre un bene. Naturalmente ciò voleva dire che

il presidente Nixon aveva deciso che la violenza doveva prendere il

posto della misura. Perché, in condizioni di aleatorietà, che cosa

è che, altrimenti, condiziona la decisione finale? Quale elemento o

processo determina il valore? La forza, la violenza. Qual è la maniera

di decidere qualcosa, per esempio di decidere il valore del dollaro

nei mercati internazionali? La violenza, naturalmente. Dammi tempo.

La coincidenza tra finanziarizzazione del capitalismo e violenza non

ubbidisce a una congiuntura casuale o estemporanea. È qualcosa di totalmente

strutturale. Non esiste economia finanziaria senza violenza, perché

la violenza diventa l’unico mezzo con il quale si prendono decisioni,

quando non ci sono strumenti di misurazione.

Semio-inflazione

Allo stesso modo vorrei parlare di

semio-inflazione, quel tipo di inflazione che ha luogo nel campo dell’informazione,

della comprensione del significato e delle conseguenze. William Burroughs

ci dice che l’inflazione consiste essenzialmente nel fatto che col passare

del tempo sia necessaria una maggior quantità di più denaro per comprare

sempre meno cose. Col termine semio-inflazione voglio dire che è necessario

un numero sempre maggiore di segni, di parole, di informazione per ottenere

sempre meno significato. Anche in questo caso si tratta di un problema

di accelerazione. Quando Marx parlava di produttività e di plusvalore

relativo, parlava anche di questo: di accelerazione, di aumento

della velocità. Marx afferma che se si vuole ottenere un aumento nella

produttività, che implica a sua volta un aumento del plusvalore, è

necessario accelerare il ritmo di lavoro. Ma arriva un momento in cui

la velocità salta a un’altra dimensione. Baudrillard parlerebbe di

iper-accelerazione; Virilio, di velocità assoluta.

L’accelerazione della produttività

nell’ambito della produzione industriale equivale a intensificare il

ritmo della macchina, in modo che i lavoratori si vedono obbligati ad

agire con più rapidità durante la manipolazione dei materiali

e durante la produzione di oggetti fisici. Quando l’attrezzo principale

della produzione incomincia a essere la macchina linguistica e la principale

forza produttiva è il lavoro cognitivo, allora l’accelerazione entra

in un’altra fase, in un’altra dimensione. Aumentare la produttività

nell’ambito del semio-capitalismo equivale essenzialmente a imprimere

un’accelerazione nell’info-sfera. Nell’ambito del semio-capitalismo,

se si vuole intensificare la produttività è necessario accelerare

l’info-sfera, il mezzo grazie al quale l’informazione circola e stimola

il cervello degli agenti semio-produttivi. Che cosa accade allora al

cervello di quelle persone, al cervello sociale? Il procedimento mentale

richiede tempo. Pensiamo a quello che si significa il mettere attenzione.

L’attenzione è l’attivazione di reazioni fisiche nel cervello, ma anche

di reazioni emozionali, affettive. L’attenzione non può intensificarsi

illimitatamente e questo è la ragione per la quale la “nuova economia”

precipitò alla fine degli anni ’90, dopo un lungo periodo di accelerazione

e intensificazione costante.

Agli inizi del decennio passato, nel

2000, la crisi delle imprese tecnologiche fu conseguenza del sovra-sfruttamento

del cervello sociale. Dopo l’esplosione della bolla di Internet cominciarono

a uscire un mucchio di libri sull’economia dell’attenzione. Improvvisamente

gli economisti si resero conto che il mercato del semio-capitalismo

è il mercato dell’attenzione. Il mercato e l’attenzione si trasformarono

nella stessa cosa. In realtà, la crisi del 2000 fu una crisi di sovrapproduzione

nel campo dell’attenzione. Marx parlava di crisi dovuta alla sovrapproduzione:

se si producono troppe unità di determinata merce, la gente non potrà

comprare tutto e le merci rimarranno nei magazzini. Allora il capitalista,

che non deve più produrre, licenzia gli operai, e la cosa, come ben

sappiamo, peggiora la situazione generale. Ma che cosa è la crisi di

sovrapproduzione nella cornice del semio-capitalismo? La sovrapproduzione

è un effetto della relazione tra la quantità di beni semiotici prodotti

dal lavoro cognitivo e la quantità di tempo di cui disponiamo.

La quantità di tempo di attenzione

di cui dispone la società non è illimitata, dato che l’attenzione

non può intensificarsi oltre certi limiti. Possiamo accelerarla

in una certa misura: ad esempio, ci prendiamo alcune anfetamine e si

intensifica così la nostra attenzione. Esistono tecniche e droghe che

ci permettono di essere più produttivi sul campo dell’attenzione, ma

sappiamo già dove porta tutto questo. La decade degli anni ’90 fu

l’epoca delle piccole imprese dell’”intelligenza collettiva”,

l’epoca della produttività in costante aumento, dell’entusiasmo per

la produzione, dell’euforia dei lavoratori della conoscenza, dei

knowledge workers e degli agenti finanziari. Ma furono anche gli

anni della Prozac-mania. Non ci si può spiegare quello che Alan Greenspan

definì “esuberanza irrazionale” se non si tiene conto del

semplice fatto che milioni di lavoratori della conoscenza consumarono

tonnellate di cocaina, anfetamine e Prozac durante tutto un decennio.

Questo può funzionare un po’ di tempo; poi basta. E, improvvisamente,

da un giorno all’altro, dopo l’eccitazione e l’accelerazione, giunse

l’apocalisse.

Black out

Sicuro che tutti voi vi ricorderete

della notte del passaggio di secolo, quando tutti stavamo aspettando

l’”effetto” del 2000. Quella notte ero seduto davanti al

televisore, aspettando il blackout definitivo, ma non accadde

niente. Niente di niente. Avev0 creduto fino in fondo al vaticinio che

quella notte di fine anno fosse l’ultima della vita moderna e, invece,

non accadde niente. Quindi, l’aspettativa di un collasso generale era

nell’aria. Come può spiegarsi tutta questa aspettativa? Il collasso

non era nell’effetto 2000, ma nel calo dell’eccitazione provocata dal

Prozac nel cervello dei lavoratori della conoscenza in tutto il mondo.

Quando Greenspan faceva notare una certa esuberanza irrazionale nei

mercati, non parlava di economia, o per lo meno non parlava solo di

economia. Parlava della perdita di effetto del Prozac, della fine degli

effetti della cocaina nel cervello di milioni di lavoratori cognitivi.

E dopo che cosa avvenne? Il passo seguente fu la crisi di sovrapproduzione

del semio-capitalismo. Nel primo anno del nuovo secolo il problema fu

la percezione di un collasso imminente. Poi venne l’undici settembre

e la guerra divenne la soluzione di tutti i mali. L’organismo cognitivo

collettivo, depresso da cause economiche e farmacologiche, fu trattato

con la terapia anfetaminica della guerra amministrata dal folle dottor

Bush. Il dottore non era proprio normale, ma gli effetti della sua terapia

continuano ancora: la guerra infinita. Il dottor Bush non voleva vincere

questa guerra, gli era completamente indifferente vincerla o perderla.

Era evidente, del resto, che intraprendere una guerra in un luogo come

l’Afghanistan con un alleato come il Pakistan era roba da pazzi, era

una maniera di cercare la sconfitta. Ma la questione non era vincere

o perdere, ma di dare inizio a una guerra destinata a non finire mai.

In effetti, la guerra infinita è un segno di un genere di pazzia che

ha la sua causa nella semio-inflazione. I segni col tempo acquisiscono

sempre meno significato. Il significato tende a sparire, il senso si

perde, mentre la bolla della produzione di segni si va gonfiando all’infinito.

Nel suo libro “Data trash

Arthur Kroker racconta un aneddoto: in una lettera diretta al

linguista Thomas Seboek, Bill Gates scriveva: “Il potere consiste

nel far diventare le cose facili”, parole che dimostrano come Gates

capisse perfettamente la relazione tra significato e potere. Il potere

consiste nel semplificare le cose. Steve Jobs e Steve Wozniak avevano

creato le semplici interfacce di Apple partendo di un idea fricchettona:

“l’informazione per la gente “. Ma le interfacce semplificate

erano solo il principio di un processo davvero pericoloso che portò

Gates all’idea di “semplificare” per ottenere potere. Se fai

sembrare le cose facili, la gran maggioranza della gente, per non dire

quasi tutto il mondo, seguirà la strada da te indicata. L’evoluzione

della rete è derivata dall’evoluzione quasi totalitaristica di un sistema

che parte come un processo difficile e personale di ricerca, di scoperta

e di creazione, ma finisce per essere un posto nel quale le cose diventano

facili. Il processo di semplificazione della rete iniziò incominciò

con Windows 95, col navigatore Explorer e dopo è proseguito con Facebook

che facilita perfino le difficilissime relazioni di amicizia, di amore

e la vita in generale. Basta rispondere alla domanda: sei o non sei

il mio amico? Sì, sono il tuo amico e l’amicizia viene vidimata. Non

è necessario che si cerchi la risposta. La risposta è già lì.

Di cosa abbiamo bisogno in un contesto

di semio-inflazione, quando l’info-sfera comincia a essere troppo rapida

e la nostra attenzione non riesce più a seguirla? Abbiamo bisogno di

qualche dispositivo che faciliti le cose, qualche dispositivo che riduca

la velocità dell’info-sfera. È un problema di tempo, di accelerazione

e decelerazione, è un problema di semplificazione. Il fine della modernità

incominciò col collasso del futuro, con Sid Vicious che gridava “No

future“. (Ndt: Sid Vicious non era il bassista dei Pistols

all’epoca dell’uscita del loro primo singolo, e soprattutto non

cantava). Dopo di che la storia postmoderna, per quello che ne so, è

stata ed è la storia della creazione di una macchina tecnolinguistica

che penetra in tutti gli angoli della nostra vita giornaliera, in tutti

gli spazi del cervello sociale. La tecnolinguistica è la macchina che

fornisce il linguaggio agli esseri umani e che li rimpiazza nella produzione

del linguaggio, come suggeriva Rose Goldsen nel 1975 quando affermò

che “stiamo allevando una nuova generazione di esseri umani che impareranno

più parole da una macchina che dalla propria madre”.

Questa generazione è già

tra noi. La prima generazione che ha imparato più parole da una

macchina che dalla madre ha un problema riguardo la relazione tra parole

e corpo, tra parole e affettività. Questo fenomeno con il quale si

separa l’apprendistato del linguaggio dal corpo della madre, e dal corpo

in generale, modifica il proprio linguaggio e modifica le relazioni

tra linguaggio e corporeità. Secondo quello che ci è dato sapere,

durante la storia dell’uomo l’accesso al linguaggio è stato sempre

mediato dalla fiducia nel corpo materno. La relazione tra significante

e significato è sempre stata regolata dal corpo della madre e comunque,

in termini più generali, dal corpo di un’altra persona. So che la parola

“acqua” vuole dire acqua perché mia madre, e non una macchina,

mi disse: “Questa è acqua”. So che il significante attribuisce

il significato perché la corporeità, il calore del corpo, l’”altro”

come calore corporale mi iniziò alla relazione tra significante e significato.

Che cosa succede quando la dimensione del linguaggio e del desiderio,

quando l’accesso al linguaggio rimane svincolato dal corpo? Quando la

relazione tra significante e significato non si stabilisce grazie alla

presenza del corpo, la relazione affettiva col mondo incomincia a frantumarsi.

Forse la relazione col mondo diventa più funzionale, operativa, rapida,

ma diventa anche più fragile. A partire da quel momento, tutto diventa

insicuro, instabile: a partire dal momento in cui il linguaggio

si stacca del corpo.

**********************************************

Fonte: Tiemp y Dinero

Ottobre 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

ISCRIVETEVI AI NOSTRI CANALI
CANALE YOUTUBE: https://www.youtube.com/@ComeDonChisciotte2003
CANALE RUMBLE: https://rumble.com/user/comedonchisciotte
CANALE ODYSEE: https://odysee.com/@ComeDonChisciotte2003

CANALI UFFICIALI TELEGRAM:
Principale - https://t.me/comedonchisciotteorg
Notizie - https://t.me/comedonchisciotte_notizie
Salute - https://t.me/CDCPiuSalute
Video - https://t.me/comedonchisciotte_video

CANALE UFFICIALE WHATSAPP:
Principale - ComeDonChisciotte.org

Potrebbe piacerti anche
Notifica di
2 Commenti
vecchi
nuovi più votati
Inline Feedbacks
View all comments
2
0
È il momento di condividere le tue opinionix