FONTE: TOGHE (BLOG)
Pubblichiamo alcune riflessioni, inedite, di Carlo Vulpio, che interviene nel dibattito in corso sul nostro blog sui casi Forleo e De Magistris.
Carlo Vulpio è giornalista del Corriere della Sera. Firma autorevole di quella testata. Autore del documentatissimo libro “Roba nostra. Storia di soldi, politica, giustizia nel sistema del malaffare”.
L’avere affidato al nostro blog queste sue considerazioni è per noi ad un tempo motivo di gratitudine, ma anche di amarezza.
L’amarezza sta nel dovere prendere atto per l’ennesima volta che fatti oggettivamente gravi e importanti per la vita democratica del nostro paese vengono – si deve ritenere volutamente – taciuti dalla “stampa che conta”.
I fatti commentati da Carlo Vulpio sono noti a chi fa informazione, ma misteriosamente non vengono raccontati e di essi si trovano solo frammenti fra la ventesima e la trentaduesima pagina di uno o due quotidiani.
Carlo Vulpio che scrive sul blog ciò che dovrebbe scrivere sul Corriere della Sera ci fa pensare al bravo Monteiro Rossi, il giornalista di “Sostiene Pereira” “impegnato” a scrivere necrologi.
DI CARLO VULPIO
Su Clementina Forleo e Luigi de Magistris è calato il silenzio totale.
Eppure ciò che sta accadendo in questi giorni non ha precedenti nella storia repubblicana.
In questi mesi e in queste settimane, e prima ancora che il Csm decidesse (il 22 luglio scorso) di trasferire da Milano il gip Clementina Forleo con la fantasiosa motivazione della “incompatibilità ambientale”, la procura e l’ufficio gip di Milano hanno fatto di tutto per fare “melina” sulla storiaccia delle scalate Unipol-Bnl-Antonveneta-Rcs: in pratica, hanno preso tempo e non hanno iscritto sul registro degli indagati (come potevano fare) il senatore Nicola Latorre.
Invece di fare ciò che potevano (e forse dovevano) fare, quegli stessi magistrati hanno solo dato a vedere di volerlo fare con urgenza.
E così, con una sottigliezza degna di un gesuita del Seicento, hanno scippato il caso delle scalate bancarie dalle mani del gip Forleo, che era ed è (visto che il trasferimento non è ancora scattato) il giudice competente.
La vicenda è gravissima, ripetiamolo, non soltanto perché è stato scippato un caso al giudice che lo stava trattando, ma soprattutto perché dimostra che davanti alla legge non tutti sono uguali e che invece ci sono soggetti, come scrive George Orwell, più uguali degli altri.
Vediamo come sono andate le cose, mettendo assieme date e documenti.
Dopo la nota ordinanza del gip Forleo (quella dei “complici e non semplici tifosi”) sull’operazione Unipol-Bnl-Antonveneta-Rcs, la Camera dei deputati aveva dato il nulla osta all’iscrizione dei parlamentari sul registro degli indagati, affermando che non era necessaria l’autorizzazione del Parlamento.
Restava da decidere solo il caso di Latorre, per il quale si doveva esprimere la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato.
Nella sua ultima seduta del 22 gennaio 2008, la Giunta propone al Senato di restituire gli atti all’autorità giudiziaria perché – sostiene la Giunta – la questione rientra nell’ambito di applicazione del terzo comma dell’articolo 68 della Costituzione.
In altri termini – questo è il senso della decisione della Giunta –, poiché in questo caso non si sta chiedendo di intercettare un parlamentare, ma di utilizzare le sue conversazioni con altri indagati in quanto si ritiene di poter ricavare a carico di quel parlamentare elementi utili all’indagine, quel parlamentare può essere iscritto sul registro degli indagati.
Quindi Latorre (proprio come aveva stabilito la Camera dei deputati anche per D’Alema, Comincioli e gli altri parlamentari indagati) era “iscrivibile” e la procura di Milano poteva farlo già all’indomani del 22 gennaio 2008.
Si dirà: ma il procedimento di autorizzazione del Senato doveva essere completato da una relazione in Aula e dal voto dei senatori. Poco cambia.
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Il fatto che relazione e voto in Aula non ci siano stati (a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, il 6 febbraio successivo) non modifica i connotati di questa brutta storia: se il procedimento si interrompe, “la richiesta di autorizzazione – dice la legge – perde efficacia e può (può, non deve – ndr) essere rinnovata”.
Un mese dopo l’insediamento del nuovo Parlamento, il 29 maggio scorso, la Giunta delle immunità parlamentari restituisce gli atti riguardanti Latorre al presidente del tribunale di Milano, Livia Pomodoro. La quale avrebbe dovuto trasmetterli, come aveva fatto in precedenza per gli atti della Camera, al gip competente, e cioè alla Forleo.
Invece quegli atti alla Forleo non sono mai arrivati.
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Facile immaginare che se le fossero pervenuti, il gip avrebbe fatto l’unica cosa da fare, e cioè li avrebbe inviati subito alla procura, ponendo i pm di Milano davanti a una scelta: decidete che fare, se iscrivere o no Latorre tra gli indagati, perché la questione è chiara.
E a quel punto la procura avrebbe avuto poche possibilità di fare “melina”.
Ora, è vero che la Pomodoro e il capo “reggente” dei gip di Milano, Filippo Grisolia, nei giorni in cui si stavano impegnando alla ricerca di argomenti per fare massacrare la Forleo l’hanno accusata di protagonismo, mancanza di equilibrio e persino di “scarsa produttività”.
Ma nemmeno questa avversione a comando dei capi ufficio nei confronti della Forleo poteva autorizzarli a non trasmettere gli atti al gip naturale.
E tuttavia, nel cristallino palazzo di Giustizia di Milano gli atti giunti dal Senato il 29 maggio vengono trasmessi direttamente alla procura, dove rimangono chiusi nel cassetto fino al 27 luglio.
Saranno tirati fuori, “per l’urgenza a provvedere” (!) due mesi dopo, quando è di turno il gip supplente Piero Gamacchio.
E proprio quando la Forleo si assenta per malattia per alcuni giorni, a causa di una botta al ginocchio (rientrerà il 2 agosto).
E’ evidente anche a un bambino che gli atti dovevano rimanere sotto chiave finché la Forleo non fosse andata in ferie, tant’è che saltano fuori “in tempo reale” appena la Forleo si ammala …
Ma non è finita. Sempre in “tempo reale”, il gip supplente Piero Gamacchio studia gli atti del caso in questione, un caso complesso che non conosce, e deposita l’ordinanza con cui reitera la richiesta di autorizzazione al Senato il 1° agosto (proprio il giorno prima del rientro della Forleo) senza fare alcuna udienza (come nemmeno per un incidente stradale).
La richiesta di Gamacchio, sostenuta dalla procura di Milano (la firmano in cinque: il capo Minale, l’aggiunto Bruti Liberati, e i pm Orsi, Perrotti e Fusco) non si discosta granché da quella della Forleo, salvo in un paio di righe in cui si dice che le intercettazioni per cui si sta chiedendo l’autorizzazione “rimangono la sola fonte di innesco di una investigazione”, ossia l’unico elemento per iscrivere Latorre tra gli indagati.
Ma allora, se è così, perché tutta questa perdita di tempo?
Perché quest’altro balletto, proprio come per la stessa vicenda è avvenuto con D’Alema, beneficiato di una inutile richiesta al Parlamento europeo (per il quale valgono le stesse regole del Parlamento italiano)?
Perché reiterare una richiesta che, quando è stata fatta dalla Forleo, le ha procurato davanti al Csm l’accusa (poi caduta) di “interpretazione legislativa errata”?
“Errava” forse la Forleo, nel sostenere che il parlamentare può essere iscritto sul registro degli indagati anche senza autorizzazione delle Camere?
Perché trattenere le carte per due mesi e poi sventolare l’urgenza a provvedere?
Perché togliere il caso al suo giudice prima ancora che se ne decida il trasferimento?
Trasferimento.
Pronunci la parola e accanto a Clementina Forleo si materializza Luigi de Magistris.
Anche per lui, un’altra, l’ennesima, decisione scandalosa.
Prima, gli hanno scippato due inchieste (Why Not e Poseidone).
Adesso, non potendogli togliere la terza (Toghe Lucane), hanno tolto lui dall’inchiesta.
Proprio un attimo dopo che de Magistris aveva concluso Toghe Lucane e un attimo prima che trascorresse il termine di venti giorni previsto per le eventuali memorie delle parti, dopo il quale il pm avrebbe valutato la formulazione delle richieste di rinvio a giudizio.
Com’è noto, per de Magistris il Csm ha deciso il trasferimento da Catanzaro a Napoli e il mutamento delle funzioni (non farà più il pm, ma il giudice del Riesame).
Poiché però il trasferimento non era ancora “operativo”, de Magistris ha potuto concludere l’inchiesta Toghe Lucane.
Ma all’improvviso, e proprio un attimo prima che spirasse il termine dei venti giorni, ecco il fulmine scagliato dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che invece di sostenere de Magistris nel condurre a termine gli ultimi atti d’inchiesta (se non altro per la sempre declamata necessità di una giustizia efficiente), gli intima, come fosse un pericoloso figuro, di abbandonare Catanzaro e di andare subito a Napoli per esigenze di servizio in quella sede.
Sembra che Alfano abbia fatto sloggiare de Magistris senza che i magistrati di Napoli (il presidente del tribunale, il capo dell’ufficio di destinazione) abbiano prospettato al ministro il cosiddetto “anticipato possesso”, ossia l’urgente necessità di inviare de Magistris a Napoli per esigenze di servizio.
Se è così, Alfano ha commesso una cosa gravissima.
Se non c’è stata la richiesta da parte dei magistrati di Napoli, quello di Alfano – dopo “l’editto” di Mastella contro de Magistris – sarebbe un altro atto senza precedenti, di cui il ministro dovrebbe dare conto al Parlamento e ai cittadini.
Poiché con una mossa del genere Alfano non solo mette a repentaglio un procedimento delicato qual è Toghe Lucane, ma sferra un altro colpo micidiale alla credibilità della giustizia, o di ciò che ne resta.
Eppure nessuno dice niente.
Dobbiamo parlarne qui, su un blog, nemmeno fossimo esuli o clandestini.
Carlo Vulpio
Fonte: http://toghe.blogspot.com
Link: http://toghe.blogspot.com/2008/09/su-clementina-forleo-e-luigi-de.html
17.09.08