SREBRENICA E L'ARRESTO DI RATKO MLADIC

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LA MACCHINA DELLA PROPAGANDA ANCORA AL LAVORO

DI SRDJA TRIFKOVIC
Global Research

Le circostanze dell’arresto del comandante dell’esercito serbo-bosniaco durante la guerra, il generale Ratko Mladić (nella foto), sembrano sconcertanti. Il 26 maggio è stato catturato in casa di un parente stretto con lo stesso cognome in un villaggio a nord di Belgrado. A prima vista, questo significherebbe che Mladic è stato completamente abbandonato a se stesso e ha dovuto cercare rifugio presso qualcuno in quanto certo di essere sorvegliato dalla polizia, oppure che le autorità serbe sarebbero state conniventi sul suo nascondiglio. Il primo caso è improbabile in considerazione dell’efficacia dell’occultamento di Mladic dopo essere infine entrato nella clandestinità nel 2002. L’ultimo caso è ancora meno probabile, in considerazione del costante desiderio del presidente Boris Tadic di compiacere i suoi mentori a Bruxelles e a Washington, e di portare la Serbia un passo più avanti verso l’adesione sempre sfuggente all’UE.Secondo nostre fonti affidabili a Belgrado, Mladic non sarebbe stato scoperto se non avesse deciso di arrendersi in cambio di un sostanziale compenso finanziario alla sua famiglia. E’ un uomo molto malato ed è improbabile che viva ancora molto. Oltre ad una malattia renale cronica e all’ipertensione, ha subito diversi attacchi minori negli ultimi dieci anni. Due anni fa è stato curato, sotto falso nome, per il linfoma non-Hodgkin in una clinica di Belgrado. Consapevole del fatto che la moglie e il figlio Bosiljka Darko erano vissuti in miseria da quando le autorità avevano smesso di pagare la sua pensione nel 2005, Mladic ha deciso di offrire al governo un accordo. Il compenso finale è stato ben al di sotto dei 10 milioni di dollari precedentemente offerti per la cattura di Mladic, tuttavia sufficiente a permettere alla moglie e figlio di vivere confortevolmente per molti anni a venire.
Il prezzo che Mladić dovrà pagare è quello di subire, durante gli ultimi mesi della sua vita, un processo show a L’Aia, dove la sua colpevolezza per genocidio, crimini contro l’umanità, ecc, sono considerati da molto tempo come un dato di fatto. Che non gli sarà riconosciuta l’innocenza, neppure come ipotesi pro-forma, era già evidente nella dichiarazione del viceré di Bosnia (“l’Alto Rappresentante Internazionale”), l’austriaco Valentin Inzko, che ha descritto Mladić come un “criminale di guerra” anche se è improbabile che il processo inizi prima del prossimo anno in una data certa.

Ratko Mladić non è né un mostro, né un santo. È un soldato, allevato nella tradizione titina dello JNA (YPA) di uno jugoslavismo trans-nazionale, che ha riscoperto le sue radici serbe nella tarda mezz’età. Era un abile stratega, ma non un maestro di strategia: sapeva come vincere le battaglie, ma come porre fine a una guerra era oltre la sua portata. La sua magistrale conquista delle posizioni fortificate musulmane su monti Igman e Bjelašnica nell’estate del 1993 ha rappresentato un esempio perfetto di penetrazione in profondità verso il centro con unità d’attacco della dimensione del plotone, immediatamente seguita da un movimento a tenaglia sui fianchi che ha indotto il panico.

La libertà d’azione di Mladić era in parte ridotta a causa delle tensioni latenti tra i militari e la leadership politica della repubblica serbo-bosniaca. Lui e il suo staff erano ex ufficiali dello YPA guardati con sospetto dal Partito Democratico Serbo. D’altro canto, l’opinione di Mladić era che il Partito Democratico Serbo fosse corrotto ed inetto. Il dottor Karadžić si vendicò definendoli coi pezzi grossi dell’esercito come “bastardi comunisti”, komunjare. L’animosità di fondo era basata sulla rivendicazione dei politici che gli ufficiali avevano diviso la loro lealtà, dal momento che molti tra loro (compreso Mladić) erano ancora sul libro paga dell’esercito jugoslavo, che all’epoca era controllato da Slobodan Milošević.

Inutile dire che Ratko Mladić non è colpevole. Il punto centrale dell’accusa contro di lui, “Srebrenica”, è un mito, un genocidio-che-non c’è mai stato, un esercizio postmoderno di pseudorealtà. Si tratta di testimonianze che affermano che migliaia di musulmani sono stati uccisi nei pressi di quel piccolo paese durante la guerra in Bosnia, e che la maggior parte di loro hanno perso la vita durante un tentativo di sfondamento dopo il cedimento della sacca alle forze serbo-bosniache nel luglio 1995. Almeno un quinto di loro raggiunse la salvezza della città di Tuzla tenuta dai musulmani; qualche centinaio fuggì verso la Serbia, attraverso il fiume Drina a est. In numero imprecisato sono stati uccisi mentre combattevano nel tentativo di sfondamento, e molti altri, il loro numero rimane controverso, sono stati fatti prigionieri e giustiziati dai soldati serbo-bosniaci. I numeri non sono conosciuti e vengono riportati in modo errato. Il Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra (ICTY) non è mai giunto ad una ripartizione definitiva delle vittime. Che ci sia stato un crimine di guerra è innegabile, ma il numero delle vittime resta legalmente e quantitativamente non dimostrabile. Secondo l’ex giornalista della BBC Jonathan Rooper, “fin dall’inizio i numeri sono stati usati e abusati” per scopi politici.
“L’aspetto più sorprendente del numero 7-8.000 – sostiene – è che è sempre stato dichiarato come sinonimo del numero delle persone giustiziate. Ma questo non è mai stato possibile. (Leggi il mio “Srebrenica e la forza della ragione”, il 15 aprile.)

Invece di sottoporre il mito di Srebrenica a quel controllo critico da lungo tempo atteso, il trasferimento di Mladic all’Aia sarà utilizzato per riconfermare vecchi pregiudizi e vecchi miti. In realtà, i crimini e le violazioni dei diritti umani tra il 1992 e il 1995 non sono il risultato diretto del progetto nazionalista di qualcuno. Questi crimini, come nota Susan Woodward di Brookings, “sono stati la conseguenza della guerra e delle sue particolari caratteristiche, e non le sue cause”. Tuttavia, l’effetto dell’intervento legale della “comunità internazionale” con il suo riconoscimento della Bosnia-Erzegovina, è stato che la fedeltà alla Iugoslavia venne fatta sembrare una cospirazione sleale contro la “Bosnia”. Nel 1943 – 44 Tito era stato capace di costringere gli anglo-americani a far finta che la sua lotta non fosse una rivoluzione comunista. Nel 1992 – 95 Alija Izetbegovic ha costretto l’Occidente a fingere che la sua jihad fosse una difesa della “multi-etnia”. Entrambe queste pretese sono assurde.

Ratko Mladic sarà debitamente condannato per genocidio e crimini contro l’umanità. Non uscirà vivo di prigione. Il verdetto è già scritto, ma esso riflette uno squilibrio fondamentale. Esso ignora l’essenza della guerra in Bosnia – il desiderio dei serbi di non essere costretti alla secessione – tacendo sulla colpevolezza delle altre due parti per una serie di decisioni politiche incostituzionali, illegittime e illegali che hanno causato la guerra. A L’Aia la sentenza contro Mladic al tribunale sponsorizzato e in gran parte finanziato dagli Stati Uniti sarà costruita su queste fondamenta viziate. E questa sentenza non sarà né imparziale né giusta. Si darà inoltre ulteriore credito al mito dei mussulmani vittime irreprensibili, della cattiveria dei serbi, e dell’indifferenza occidentale, e pertanto indebolirà la nostra determinazione nella lotta globale che si usa definire come “guerra al terrorismo”, che ora non ha più un nome, o uno scopo, o una strategia.

Il programma a lungo termine degli architetti del Tribunale appare ovvio quando leggiamo l’articolo di Geoffrey Robertson, “Gli errori che il processo Mladic deve evitare” (The Independent, 28 maggio 2011): “L’atto di accusa contro Mladic … dovrebbe essere sostituito da una sola imputazione, il crimine contro l’umanità costituito dalle sue responsabilità di comando per aver ordinato il peggior crimine di guerra dopo le marcie della morte fatte fare dai giapponesi ai prigionieri di guerra alla fine della seconda guerra mondiale, vale a dire l’abbattimento di oltre 7.000 prigionieri – gli uomini e i ragazzi musulmani uccisi a Srebrenica”. Questo è il dovere del governo serbo, afferma Robertson:

“Ripulire la chiesa ortodossa serba, i cui sacerdoti hanno benedetto gli squadroni della morte a Srebrenica. Senza la loro benedizione, credo che alcuni soldati avrebbero disobbedito all’ordine di sparare su persone indifese, legate come maiali, uomini e ragazzi. È ampiamente noto che la chiesa ha ospitato i latitanti dell’Aja nei suoi monasteri e che è stata profondamente coinvolta negli aspetti omicidi del nazionalismo serbo … Essa dovrebbe ricordare … che la ruota della giustizia internazionale macina lentamente ma macina davvero di fino.”

Questa è una dichiarazione degna di un giudice decano a Mosca, nel 1937. Ovviamente, non si può pensare che il signor Robinson voglia suggerire una simile pulizia della religione dei Profeti della pace e della tolleranza. Il suo appello è basato sul concetto della fondamentale colpevolezza serba che viene supposta essere stata l’unica tra le fazioni in guerra. Nello scenario di Robertson, l’Aia non è un veicolo di conciliazione giudiziaria, ma uno strumento di ritorsione quasi-legale.

L’imminente verdetto contro Ratko Mladić, firmato e sigillato così com’è, sarà basata sulla menzogna e su una ripartizione arbitraria della colpa da parte degli auto-nominatisi tutori della “comunità internazionale”. Esso apre la strada ad un nuovo, ancora peggiore conflitto tra un decennio o due da adesso. Che garantirà che l’assurdità conosciuta come “Bosnia-Erzegovina” diventi ancora meno sostenibile di quanto non sia già.

Srdja Trifkovic

Fonte: http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=25149

6.06.2011

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da OLDHUNTER

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