Smilitarizzare la scuola. Salvare la pace

Visite continue e ricorrenti quelle delle scuole campane. Il 31 ottobre scorso è toccato agli studenti e agli insegnanti delle Medie “Virgilio IV” di Napoli e “G. Parente” di Aversa, ospitati presso la Allied Joint Force Command Naples. Quella che segue è parte della cronaca ufficiale NATO:

Agli studenti e agli insegnanti della scuola è stata fornita una panoramica storica della NATO e del JFC Napoli, le attività del Centro Operativo Congiunto, il ruolo dei civili internazionali della NATO, nonché l’importanza della comunicazione e della sicurezza informatica. Al termine delle presentazioni, studenti e insegnanti hanno partecipato ad una sessione di domande e risposte con il generale (Vasco Angelotti, ndr).

“Grazie Generale per la sua valutazione e per tutti i valori che ci ha trasmesso”, ha detto Angela Sodano, Preside della G.Parente. “Ho notato una forte unità tra il suo mondo e il nostro”, ha proseguito. “La NATO, come Alleanza, crea un’armonia all’interno delle sue nazioni, e abbiamo imparato quanto sia importante un comportamento esemplare”. Voi difendete le nazioni per mantenere la pace, mentre noi difendiamo la cultura”, ha concluso.

“Oggi si è aperto un mondo che non tutti conoscono”, ha detto Lucia Vollaro, Preside del Virgilio IV.

“Grazie Generale per aver aperto una finestra sul mondo”, ha proseguito. “Torniamo a casa con spunti di riflessione” “Alleanza e difesa dalle minacce: la parola ‘Alleanza’ è fondamentale per educare i ragazzi. Torniamo a casa con una rinnovata consapevolezza che la guerra ed i conflitti sono cicli ricorrenti nella Storia”, ha concluso.

Gli studenti hanno anche avuto la possibilità di visitare il Centro comunitario e le sue strutture.

“La visita di oggi è stata molto istruttiva ed i briefing trattati sono stati molto interessanti e attuali”, ha detto Giovanni De Martino, di prima media, “questa visita è andata oltre le nostre aspettative. Non mi aspettavo che una sede operativa come questa fosse un territorio così aperto e trasparente”, ha concluso.

“È stata una grande esperienza ed un bellissimo spaccato di vita militare e civile”, ha detto Morera Aiello, 8ª classe, “in futuro mi piacerebbe entrare nell’esercito”, ha concluso.

Le visite scolastiche fanno parte della campagna di relazioni con la comunità, volta a stabilire forti legami culturali e sociali con la società civile e a rafforzare il rapporto con le istituzioni locali e regionali. (1)

Smilitarizzare la scuola. Salvare la pace
Studenti alla base NATO (2023)

Visita da tempo di guerra. Eppure già nel 2019, ancora studenti in casa NATO. E ancora cronache, stavolta parla l’Istituto scolastico, ed il tenore è lo stesso usato dalla propaganda NATO, anzi più celebrativo che mai. Ce lo mostra ancora oggi il sito della scuola coinvolta, vale la pena citarne integralmente alcuni passi. I grassetti sono nostri.

Mentre a Londra si celebrano i 70 anni della N.A.T.O., studenti della Scuola Secondaria di Primo Grado, rappresentanti della “Don Salvatore Vitale” Giugliano (Napoli) e della “M. Beneventano” di Ottaviano (Napoli), hanno visitato la base di Lago Patria – Giugliano in Campania.

Perché storicamente nasce la N.A.T.O.? L’alleanza militare North Atlantic Treaty Organization è stata fondata inizialmente da 12 paesi, oggi 29 ma in procinto di diventare 30. Nasce per contrastare quel blocco di Stati che si riunirà qualche anno dopo nel Patto di Varsavia …

Cosa ci si aspetta di trovare prima di entrare in questa struttura?

La prima cosa che passa per la mente sono le armi, veicoli corazzati e quant’altro, ma non è così.

In realtà, oggi, la N.A.T.O. ha solo lo scopo di preservare la pace nel mondo. Il comando è distinto in due “rami”: quello militare e quello civile.

I dipendenti di quest’ultimo non possono partecipare attivamente alle missioni ma svolgono altri importanti ruoli all’interno della struttura, con la premessa che abbiano alcuni requisiti.

Dal punto di vista professionale devono avere un titolo di studio, un’esperienza personale e la conoscenza delle lingue straniere, invece dal punto di vista attitudinale devono essere capaci di adattarsi, di essere tolleranti delle diversità culturali, flessibili e devono manifestare dedizione ed impegno.

I civili, per lavorare alla NATO devono conoscere diverse lingue, soprattutto l’inglese e il francese, e possono decidere di lavorare in diversi campi, come il giornalismo, salute e ambiente, trasporti, ingegneria civile.

Il col. Felice De Lucia parla della “Cyber Security”, spiegando di alcuni virus, che bloccando i computer, potrebbero bloccare l’economia di tanti Paesi, i rifornimenti energetici: se la tecnologia non riesce ad eliminarli, intervengono allora gruppi di specialisti.

Posta anche una domanda dai parte dei ragazzi intervenuti al Col. Felice De Lucia.

Come intervenite in caso di attacco?

«Per mantenere la pace, interveniamo in qualsiasi modo possibile, fino al più drastico, cioè con le armi».

I ragazzi sono rimasti molto entusiasti della visita di tutta la sede. Hanno potuto, infatti, vedere dalla sala conferenze alle strutture ricreative destinate al personale in servizio.

Tali visite sono molto importanti perché i ragazzi hanno potuto capire che per mantenere alta la sicurezza, mantenere ed attuare cambiamenti radicali di pace nel Mondo ci sono delle persone che lavorano in silenzio tutti giorni in strutture internazionali.

Smilitarizzare la scuola. Salvare la pace
Studenti campani alla base NATO (2019)

 

Oggi la NATO ha 75 anni e sta muovendo guerra al resto del mondo, col rischio concreto che troppi di quei ragazzi, di quegli studenti così superficialmente indottrinati dai propri professori, presto o tardi, potrebbero passare dalle aule scolastiche e universitarie al fronte.

Senza aggiungere altro, ci sembra doveroso rilanciare l’articolo della collega Marilina Veca.

Smilitarizzare la scuola. Salvare la pace

Di Marilina Veca

 

Bisogna superare il concetto novecentesco di guerra dichiarata, di trattati di pace, di scenari bellici definiti? tutto questo è passato, non attuale?

Oggi esiste una guerra non dichiarata, infinita, diffusa e capillare, una guerra che non esiste, non appare sui libri di storia, non è mai stata dichiarata. Eppure, a causa di questa guerra che non esiste, tanti territori sono stati contaminati, intere popolazioni vengono decimate: è una storia di veleni di guerra, di profitti, di informazione sbagliata, di menzogne, di nefaste e continuate conseguenze. Ma perché ci stiamo/ci stanno abituando a considerare la guerra come parte della vita quotidiana? Perché scoppiano le guerre? dove e quando è più probabile che si verifichi una guerra? E come è organizzata la propaganda e la falsa informazione di guerra da cui siamo colpiti ogni giorno? Capire le cause ed indagare le conseguenze è cruciale per opporsi, prevenire, intervenire e recuperare una società colpita da un conflitto, che è un conflitto di armi, di profitti, di cultura, di strategia mediatica.

Fino alla seconda guerra mondiale i conflitti armati erano tendenzialmente fra Stati. Con la guerra fredda, si pensava che il mondo sarebbe stato più pacifico e stabile, invece sono iniziati conflitti con tipologie diverse: conflitti interni agli Stati hanno iniziato a delinearsi e a prendere il sopravvento fino allo scoppio di numerose guerre civili. Nel 2017 sono state molto più numerose le guerre civili che le guerre fra Stati. Le conseguenze di questi nuovi conflitti (mini conflitti, guerre civili, conflitti permanenti e cronicizzati) sono dirette ed evidenti in termini di morti, ferimenti, distruzione di proprietà ed infrastrutture, di problematiche economiche, decrescita della popolazione e quotidianità. L’economia di guerra e la modalità di coesistenza con le guerre sono diventati il nostro esistere quotidiano. Le persone esitano a costruire case o ad investire in nuove attività imprenditoriali perché queste possono essere distrutte in qualsiasi momento. Il conflitto permanente comporta shock economici; è difficile identificare se è la guerra a causare uno shock economico o il contrario. Un generale italiano in Bosnia, mi disse una volta: “Oggi le guerre si fanno e non si dichiarano. E sono guerre che non finiscono mai.”  Fra le conseguenze dirette ci sono evidentemente anche le variabili economiche, che includono PIL pro capite, crescita economica, aumento delle spese militari. I cosiddetti Warlords, i Signori della Guerra, che sfruttano e manipolano le frustrazioni e rivendicazioni della società civile per arricchirsi detengono il potere politico su una determinata zona e sono dotati di gruppi armati a loro sostegno che ne garantiscono il dominio. Spesso questi attori sono inseriti anche in reti internazionali, lecite ed illecite, che permettono di commerciare risorse e stringere alleanze strategiche; e si sviluppano figure a metà fra businessman e politici, ma certamente con dei connotati negativi in termini di prepotenza e brutalità. La nuova guerra non conosce confini, non ha regole, e si riverbera anche su quel suolo che delimita l’ambiente in cui viviamo e che viene devastato da danni irreversibili che cambieranno il nostro modo di mangiare, di lavorare, di socializzare, di godere del mondo circostante. L’esplosione dei conflitti spesso scaturisce da false querelles etnico/religiose, dall’esclusione sociale ed economica, da rivendicazioni territoriali e nuovi nazionalismi. Esistono numerose tipologie di emarginazione sociale, quali la marginalizzazione economica e sociale, la povertà, l’esclusione politica, gli svantaggi materiali e non materiali, il lavoro non dignitoso, ma anche l’esclusione culturale, dalla comunità, l’esclusione dal mercato del lavoro, etc. Tutte queste forme di esclusione possono divenire il seme di una frustrazione prima individuale e poi collettiva che può causare lo scoppio di un conflitto.

La Greed Theory  poggia sull’assunto che una popolazione con un elevato tasso di disoccupazione sarà più incline ad armarsi per ottenere un salario e per sfuggire alla povertà. E perché c’è una diffusa acquiescenza, un semi-ottundimento della cosiddetta opinione pubblica rispetto alla diffusione della cultura di guerra? Prendiamo l’esempio di quello che avviene nella Sardegna colonizzata e occupata da basi militari sperimentali che hanno portato la guerra – fatta di morte e malattie portate dalla contaminazione con munizionamenti all’uranio impoverito – a contatto con la vita quotidiana di pastori e gente comune: le basi militari sono state viste come possibilità di lavoro, hanno promesso pane, carne, carriera, soldi a chi si arruola. E alle madri e ai padri si illuminavano gli occhi, perché lì almeno i loro non avrebbero sentito la fame, perché avrebbero avuto la sicurezza di poter mantenere la famiglia. Così per anni si sono volontariamente diretti verso i cancelli del limite invalicabile, senza veramente sapere quello che andavano a fare.

Seguendo questa logica, la presenza di basi militari, la militarizzazione del territorio, diventa la risposta più semplice per uscire dalla disoccupazione. Considerare solamente i morti in battaglia esclude tutte le vittime collaterali dirette ed indirette: civili uccisi, persone che muoiono di fame a seguito di una distruzione di villaggi o di infrastrutture, violenze, stupri, sequestri, razzie, orfani, senza contare tutti gli scomparsi in posti remoti che non verranno mai ritrovati, come è accaduto per i circa duemila Serbi scomparsi in Kosovo fra il 1998 e il 2001: di loro non è mai stato trovato neanche un capello.

“Guerre necessarie – scriveva Maria Rita Prette, nel suo La guerra. Che facciamo finta che non ci sia. – dunque, al sistema in vigore, e alla sua continuità. Un sistema che ha caratteristiche neo-coloniali, razziste, ma soprattutto capitalistiche, e mette quindi al centro i suoi profitti (economici e di potere) per realizzare i quali ricorre all’uso della violenza. I rapporti di forza sono, da allora, sbilanciati in maniera sproporzionata a favore delle borghesie bianche, ricche, del Nord del mondo, che devasta e depreda il Sud, suo malgrado dotato di materie prime. Anche i cittadini più cinici – che possono attribuire un valore superiore alla loro vita, rispetto a quella di milioni di altri umani, e possono ritenere che il loro benessere economico vada conquistato anche compiendo stragi – si rendono conto che queste guerre portano nelle loro tasche soltanto briciole, persino un po’ ammuffite, mentre le imprese che producono armi e le multinazionali petrolifere intascano miliardi che verranno investiti non per il loro benessere (lo stato sociale non esiste più da alcuni decenni) ma per generare altro profitto e riprodurre altre guerre.”

Eppure tutti sappiamo che non ci può essere benessere e sviluppo senza pace: le guerre non provocano solamente danni materiali ma anche danni psicologici e relazionali perché le persone perdono la fiducia nei loro vicini e nel proprio popolo. I conflitti, più o meno permanenti, hanno ripercussioni cruciali anche per i paesi limitrofi e possono influenzare la stabilità di intere macro regioni. Questi temi sono tanto lontani da noi o ci interessano da vicino?

Ciò che sembra lontano è molto più vicino di quanto si possa immaginare.

Proprio a sottolineare l’urgenza e la necessità di affrontare questa mentalità “bellica” alimentata dalla paccottiglia retorica legata ad espressioni tipo “patria”, “i nostri ragazzi”, “missioni umanitarie” e via dicendo di menzogna in menzogna, si è costituito in Italia, nel mese di marzo di quest’anno, l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole, che si propone “una decisa e costante attività di denuncia di quel processo di militarizzazione delle nostre istituzioni scolastiche già in atto da troppo tempo nel nostro Paese”. La guerra è molto più vicina di quanto molti possano immaginare e per troppo tempo abbiamo fatto finta che non ci sia. Come per troppo tempo abbiamo fatto finta di non vedere che il territorio nazionale, vista la spropositata presenza di poligoni sperimentali in Sardegna, è contaminato da veleni di guerra, mentre i vertici militari e politici non hanno mai ammesso un nesso causa/effetto che spieghi le centinaia di morti da contaminazione che si succedono e si moltiplicano da anni. Fabbriche di armi e manovre Nato: la Sardegna è espropriata del suo territorio per preparare tutte le guerre del mondo. È ora di invertire la rotta, e non solo in Sardegna.

Il primo dossier dell’Osservatorio è stato presentato alla Camera dall’Alleanza Verdi Sinistra: «Siamo preoccupati – ha dichiarato la deputata Elisabetta Piccolotti – per le segnalazioni frequenti che arrivano dai territori di collaborazioni sempre più strette delle scuole con caserme e aziende della difesa, al posto di una didattica della nonviolenza e di una cultura per la risoluzione dei conflitti non militare, in sintonia con la nostra Costituzione che ripudia la guerra». L’Osservatorio comprende diverse realtà di base tra cui il Ce.s.p. (Centro studi per la scuola pubblica), Pax Christi e i Cobas scuola.

Torniamo un po’ indietro nel tempo: nel 2014 viene stilato il protocollo d’intesa tra l’allora ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e della Difesa Roberta Pinotti; questo protocollo è stato poi rilanciato dal governo Renzi con l’Alternanza Scuola- Lavoro del progetto “Buona scuola”. Così i famigerati stages “militari” degli studenti – con l’appoggio dei governi che si sono succeduti – hanno cominciato a diffondersi in tutta Italia, specialmente in Sicilia. Ad esempio un gruppo di studenti di Ragusa hanno svolto uno di questi cosiddetti stages presso il complesso dell’industria militare Alenia-Leonardo, un gruppo dell’Istituto professionale G.Medici di Legnago è stato “ospitato dall’VIII reggimento Guastatori paracadutisti, mentre sempre più frequenti sono le attività concordate fra le scuole e i Marines della base statunitense di Sigonella, chiamati a svolgere classi di inglese, ginnastica, informazione sugli effetti dell’uso di droghe, educazione alimentare, informatica, storia, geografia, prevenzione del bullismo, ma anche per condividere Halloween o il Thanksgiving…tutti insieme appassionatamente. La realtà è ben diversa: quello che viene “insegnato” e che entra nell’uso comune è il linguaggio bellico, le banalità nazionaliste, i modelli di risoluzione violenta dei conflitti. A me personalmente è stato raccontato di gruppi di studenti delle medie, tutti vestiti con maglietta bianca e jeans, che si sono “gioiosamente” impegnati ed esibiti nel canto “funebre” dell’inno dei Marines, orgogliosamente appreso e cantato.

L’ideologia bellicista, la banalizzazione della guerra che diventa una presenza “normale” nella vita dei ragazzi, la presenza di militari italiani e americani come portatori di valori positivi e condivisibili, le iniziative tese a presentare come appetibile la carriera militare, le parole “patria” e “impegno umanitario” associate alla retorica di guerra, le forze armate e i corpi specializzati presentati come indispensabili sostegno della vita e della formazione: i militari diventano “docenti”, insegnano l’inglese e l’informatica, spiegano la legalità – a modo loro – e la democrazia, entrano prepotentemente nei protocolli dell’alternanza scuola-lavoro. Il danno ormai è stato fatto perché tali protocolli di intesa sono già stati firmati e messi in atto dai rappresentanti dell’Esercito con il ministero dell’Istruzione, dai responsabili scolastici Regionali e Provinciali e dalle varie scuole.

Questa è una storia che entra nella vita delle famiglie, che minaccia di sconvolgere e distruggere la vita di civili ignari dei pericoli cui sono esposti  ragazzi e adolescenti in nome dell’unico vero interesse, il profitto dell’industria militare.

Di Marilina Veca

Marilina Veca. Giornalista, saggista e scrittrice. La sua ultima fatica è Uranio impoverito: la Terra è tutta un lutto,  Sensibili alle foglie (2023)

Fonte: Toscana Oggi, 2 giugno 2024

NOTE

(1) = https://jfcnaples.nato.int/newsroom/news/news-archive/2023/students-and-teachers-from-local-middle-schools-visited-jfc-naples-2

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