Di Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ho appreso dell’esistenza di Sally Spectra da Caro Diario, quando i vacanzieri alla ricerca dell’arcadia perduta a Panarea volevano avvicinare dei turisti americano più avanti nelle puntate di Beautiful per sapere se aveva comunicato al marito di essere incinta. Era uno dei personaggi più amati delle serie, e poco ci voleva, l’unica dotata di una certa personalità: sboccata, volgare, spregiudicata, una gran cafona che fondava il suo successo di imprenditrice spacciando alle casalinghe della middle class l’illusione di potersi vestire con i falpalà e i lustrini delle terze mogli dei petrolieri di Dallas. Ma c’era qualcosa di più nell’ammirazione tributata alla virago, un riconoscimento per il successo conquistato dopo un’infanzia povera e un lungo cammino irto di umiliazioni e fatica, intrallazzi e mortificazioni, visto come un riscatto che giustificava cattivo gusto e temerarietà.
Come non pensare a lei leggendo le dichiarazioni di Elisabetta Franchi, pure lei con alle spalle un passato di povertà e maltrattamenti, fino all’incontro con un uomo che la emancipa aprendole un’azienda di abbigliamento dalla quale fa uscire tutto il repertorio di paccottiglia più cheap, vistosa e pacchiana che fa indossare a testimonial pagate a caro prezzo. Chissà se davvero crede che si vestano così le sciure di Milano solitamente in greige Armani, le madamine torinesi che continuano a indossare i twen set Pringle e intorno al collo il Carrè Grand Théatre, prezzo di listino 410 euro. O se invece voglia ribellarsi a questi stereotipi e imporre dei travestimenti ispirati al lusso chiassoso di arricchiti e parvenu in una gamma che va dagli ospiti del Castello delle Cerimonie al look delle mezzane delle cene eleganti. Una gran maleducata insomma che dimostra di non aver nessun rispetto per i canoni del politicamente corretto, andando ai convegni della Meloni come agli eventi dell’imprenditoria in quota rosa con tanto di ministri Bonetti e Bergonzoni, dove estaticamente si attendono le provvidenze del Pnrr a beneficio delle talentuose donne manager.
Tanto che la scostumata finisce per esercitare una certa attrattiva per essersi spinta a dire quello che è proibito ammettere ma che ogni industriale, ogni capo del personale, ogni dirigente d’azienda pensa: le tutele sono un ostacolo al profitto, il rispetto dei diritti conquistati in anni di lotte un sistema di lacci e laccioli paralizzanti che permettono a ceti parassitari di approfittare die rendite e benefici. Che cosa ha osato dire lo sapete: “io le donne le ho coinvolte ma quelle sopra una certa età, quelle ‘anta’, perché se dovevano sposarsi o fare figli hanno già concluso questi passaggi”.
Apriti cielo, ma come si è permessa di pronunciare dichiarazioni finora consentite solo a ministri, delfini di dinastie imprenditoriali, l’élite delle quote rosa che come van der Leyen hanno potuto permettersi una produzione illimitata di figliolanza. E difatti grande è stata la riprovazione, perentorio l’invito al boicottaggio e a non acquistare i suoi prodotti macchiati di cinica avidità. Verrebbe quasi la tentazione di apprezzare questa escursione fuori dal territori sconfinati dell’ipocrisia, quel bastone che tiene dritti tutti quelli che hanno una tribuna dalla quale indicare le vie del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, del legittimo e dell’illegittimo secondo specifici criteri di convenienza. E che sono gli stessi che ogni primavera si dolgono delle difficoltà che incontrano imprenditori e gestori che non riescono a reperire sul mercato stagionali disposti a farsi sfruttare, umiliare, maltrattare per pochi spiccioli, che condannano generazioni di sfaccendati che hanno trovato la Cuccagna nel reddito di cittadinanza. Gli stessi che tengono viva la narrazione secondo la quale molte donne devono sentirsi gratificate da un generoso part time che permette loro di “conciliare” il lavoro a cottimo con i compiti di mogli e madri, che l’hanno invitata a kermesse e adunate emancipazioniste, come fortunato format di iniziativa e dinamismo e che adesso prendono le distanze sdegnate come la ministra Bonetti che dopo averle porto il microfono innumerevoli volte a meeting e tavole rotonde, compreso l’evento organizzato dal Foglio e da Pwc, durante il quale la sventurata si è dichiarata spericolatamente, replica perentoriamente che il suo lavoro nell’esecutivo e nella società consiste nel “creare le condizioni per non dover più sentire un discorso come quello di Elisabetta Franchi”.
Come ormai succede di frequente ci viene tolto anche il monopolio che ci spetta dell’indignazione, dell’esecrazione, della collera, anche quelle sono diventate roba loro da sfruttare per propagandare la loro mercanzia di inganni, menzogne, prevaricazioni.
Di Anna Lombroso per il Simplicissimus
link: https://ilsimplicissimus2.com/2022/05/10/siamo-franchi-le-donne-non-le-voglio/
Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org