DI GIULIETTO CHIESA
Sgombriamo il campo dall’ insopportabile retorica di questi giorni. Quello firmato a Roma è un Trattato («che istituisce una Costituzione Europea»), frutto di una conferenza intergovernativa. Un compromesso tra governi, che dovrà essere ratificato dai parlamenti nazionali (eventualmente con un passaggio referendario) e che non prevede una ratifica del parlamento europeo. È dunque un percorso che fino ad ora è avvenuto a un livello di seconda rappresentanza e che prevede di rimanervi.
I popoli europei non vi partecipano, se non molto indirettamente. È bene tenere presenti questi dati di partenza. Delimitano fortemente la portata di questo trattato per la definizione dell’Europa come nuova configurazione politica che possa agire in piena autonomia nell’arena internazionale. In secondo luogo, questo Trattato istitutivo della Costituzione europea potrà entrare in vigore solo se sarà ratificato da tutti i 25 stati membri, in base alle proprie (nazionali) norme costituzionali. Per cui sarà sufficiente un rovescio parlamentare che porti al governo una maggioranza ostile all’Unione, o un ricorso giudiziario, o un referendum con esito negativo in uno solo dei 25 paesi, per ritardare e perfino cancellare l’intero documento.
Sarà dunque, probabilmente, una lunga vicenda, piena di contraccolpi e sorprese. E ci si deve dunque atteggiare, nei confronti di questo documento, non come verso un prodotto definitivo, ma come un lavoro in fieri. È certo che questa Costituzione non durerà cento anni, ma nemmeno venti.
C’è inoltre un elemento assolutamente fondamentale per capire di che si sta parlando.
È la drastica auto-delimitazione della portata storica del Trattato. Il testo (art.II-51) dice esattamente così: «Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, agli organi e alle agenzie dell’Unione europea, nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli stati membri, esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione». I diritti specifici saranno difesi, eventualmente, «in conformità alle leggi nazionali vigenti per l’esercizio dei suddetti diritti».
Il campo della materia è dunque assai definito. Siamo molto lontani da un contesto in cui si possa dire: «Noi popoli d’Europa….». Infatti, i popoli d’Europa non hanno detto proprio niente in materia. Siamo di fronte a un riordinamento e a una semplificazione dei rapporti tra le istituzioni europee, che migliora e rende più trasparente l’intero diritto comunitario e che estende – seppure di poco – i poteri del parlamento. Ma esso sostanzialmente fotografa i risultati dell’evoluzione che dura da cinquant’anni, sul quale, come un cappello fiorito, sono stati posati principi generali concernenti i diritti.
In questo senso il quadro che abbiamo di fronte riflette abbastanza bene i rapporti di forza esistenti. Se i popoli non hanno detto nulla, i centri del potere economico e finanziario hanno detto tutto. Sono stati loro a determinare ciascuno dei “piccoli passi” che hanno caratterizzato fin qui lo sviluppo delle istituzioni europee. È ovvio che, in essi, i diritti del lavoro, della difesa delle condizioni di vita, sociali e politiche, delle grandi masse popolari, avessero poco spazio, o nullo.
Non c’è dunque da stupirsi se i cardini ideologici che sorreggono questa struttura siano funzionali alle idee del liberismo di stampo anglosassone, la concorrenza, la privatizzazione di tutto e di tutti. È su questo terreno che dovrà essere condotta la battaglia futura. Ed è inutile nascondersi che è un terreno sul quale le forze popolari dovranno combattere in salita, in condizioni di svantaggio.
Peggio ancora: un confronto anche sommario tra la parte seconda del Trattato, quella che attiene i diritti fondamentali, e la Costituzione, mostra senza possibilità di equivoco che su molte questioni essenziali si registra un arretramento del Trattato rispetto alle conquiste democratiche e sociali che il popolo italiano aveva già conquistato. E, poiché lo Stato italiano è vincolato al diritto internazionale, e i trattati europei prevalgono sul diritto interno, Costituzione inclusa, sarà indispensabile valutare con la massima attenzione i cambiamenti che questa Europa introduce nella società italiana.
Questo, tuttavia, è il punto di vista italiano. Che non è l’unico dal quale può essere guardata la costruzione europea. Ciò che ci appare, a ragione, un arretramento, può essere visto, da altre prospettive europee – con altrettanta ragione – come un relativo progresso democratico.
Infine non bisogna neppure sottovalutare la portata di questo Trattato. Esso infatti – in questo senso la sua ambiguità ne accresce la valenza politica – si presenta come una Carta Costituzionale (non solo come un trattato). Ove approvato come tale, esso cambia la natura della costruzione europea e fissa le coordinate di un nuovo sistema istituzionale.
Definito così, senza illusioni, il campo della materia, va anche detto – nel rispetto degli sforzi compiuti – che il compito di definire una Costituzione europea, nelle attuali condizioni, era assolutamente proibitivo e che l’avere avviato il processo è stato un atto di coraggio e di lungimiranza strategica.
Il risultato temporaneo che abbiamo di fronte agli occhi riflette evidentemente i rapporti di forza tra le correnti di progresso e unitarie (in senso europeo) e le classi dirigenti conservatrici, volta a volta non unitarie, non europeiste (nel senso della subalternità agl’interessi degli Stati Uniti d’America). Riflette le differenze culturali esistenti tra i 25 paesi, quelle storiche, psicologiche, istituzionali. Le striature, gli schieramenti di ogni singolo stato non corrispondono che a grandissime linee a quelli che si trovano a livello europeo.
Dunque un giudizio su questo Trattato-Costituzione richiede un’analisi complessa. Nella quale debbono entrare, insieme a tutte le altre, le valutazioni geopolitiche mondiali. Il movimento democratico e tutte le forze ostili alla guerra infinita sono vitalmente interessati a un rafforzamento dell’Europa sulla scena mondiale, come attore che può indirizzare verso la pace il corso degli eventi planetari.
Dunque si dovrebbe concludere che è da considerare positivo tutto ciò che rafforza il ruolo politico dell’Unione; mentre è negativo tutto ciò che lo indebolisce. < I contenuti dovranno essere oggetto di lotte sociali. Ma è essenziale che la struttura giuridico-politica-istituzionale si rafforzi. Altrimenti gli altri giganti mondiali (Stati Uniti e Cina) agiranno senza tenere conto dell’Europa.
È sufficiente questo documento per fare fronte a questi compiti, davvero giganteschi? Non lo è. Sono chiari gli indirizzi di pace che l’Europa dovrebbe avere? Niente affatto. Contiene, il documento, principi d’indirizzo economico e sociale che impongano la difesa delle condizioni di vita delle grandi masse popolari europee? La risposta è del tutto negativa. Ma questo è terreno di battaglia politica e dipenderà dai rapporti di forza, in ogni paese e nell’Europa complessivamente.
Il passaggio successivo dovrà andare ben oltre un compromesso tra gli stati e i governi in carica. Una vera Costituzione europea potrà essere soltanto il frutto di un’assemblea costituente che rappresenti direttamente la volontà popolare. Il modello che ho in mente è quello dell’Assemblea Costituente italiana. Oggi è un’idea lontana. Ma, se si vorrà diminuire il divario esistente tra le molte visioni esistenti dell’Europa e la realtà dell’Unione Europea, sarà questa la direzione verso cui puntare.
Infine un tema che non possiamo evitare. Come ratificare il Trattato? Ci possiamo accontentare, dopo averne visto tutti i limiti “oligarchici” , di una frettolosa e strumentale ratifica parlamentare? Io non lo credo. Credo, al contrario, che la voce popolare dovrebbe essere ascoltata. Un referendum popolare sarebbe l’occasione per un grande dibattito nazionale sull’Europa che vogliamo, un momento della battaglia per cambiarla.
Ma sappiamo che, come Trattato, in base alla legge italiana, non è sottoponibile a referendum. Per attuare un referendum si dovrebbe introdurre una legge di modifica costituzionale, per la quale una maggioranza appare assai difficile. E tuttavia io ritengo che questa strada – quella della partecipazione di tutti alla definizione dei principi fondamentali della convivenza civile – debba essere percorsa e affermata.
Specie mentre ci accingiamo a difendere dalla definitiva demolizione la Costituzione del nostro paese.
Giulietto Chiesa
Fonte:www.giuliettochiesa.it
13.11.04