DI DAVID MCNALLY
Global Research
Mentre stavo imprecando contro gli
inutili commenti mainstream sull’economia globale, mi sono
ricordato di una scena fondamentale in un film del 1976, “Tutti gli
Uomini del Presidente”. Mentre ci sono due giovani giornalisti che
indagano sul furto con scasso avvenuto negli uffici del Partito Democratico
allo Watergate Hotel, un agente scontroso e di alto livello dell’FBI,
nome in codice Gola Profonda, dà un consiglio: “Seguite i soldi.
Seguite sempre i soldi.”
Lo fecero. E , nel corso del processo,
i veri giornalisti, Bob Woodward e Carl Bernstein, tolsero il coperchio
a uno dei più grossi scandali della politica del XX secolo. Da
allora, il giornalismo investigativo del mainstream è entrato
in un sonno profondo. Come Bernstein ha notato
venti anni dopo Watergate, “i media, ogni settimana, ogni giorno
e ogni ora che passa, riescono sempre a fare cose peggiori”.E in nessun posto stanno facendo di
peggio che nella loro copertura della crisi del debito in Europa. Come
sempre, ci vengono propinate le più vacue banalità. “La
Grecia ha vissuto al di là dei propri mezzi,” intonano gli esperti,
“e ora deve pagare il conto.”. Lo stesso fanno per Irlanda, Portogallo,
Spagna, Italia, che sembrerebbero essere tutti casi di gente fuori controllo
che ora devono risistemare la propria casa, tramite tagli enormi ai
programmi dei governi.
E questi tagli, noti in gergo come
misure di austerità, rappresentano un crimine politico di uguale, se
non maggior peso, del furto con scasso al Watergate, anche se non potrai
venire a saperlo consultando la stampa mainstream, che da tempo
ha perso ogni inclinazione per seguire i soldi.
Salvare le banche… Ancora
Se ci fossero giornalisti disposti
ad ascoltare il consiglio di Gola Profonda, sarebbero costretti a tratteggiare
una conclusione ineludibile: il salvataggio multi-trilionario che è
iniziato nel 2008 non è ancora finito. Continua ancora oggi sotto forma
di salvataggi per il debito pubblico. E i tagli alle spese – per le
pensioni, per l’educazione e per i lavori del settore pubblico –
che portano devastazione alle vite di milioni di persone – servono
solo a incanalare ricchezza collettiva verso le banche.
Considerate questo. Nella metà
del 2011, le banche tedesche avevano prestato il 170 per cento del proprio
capitale ai governi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Le banche
francesi avevano circa il 100 per cento di esposizione verso gli stessi
governi (1). I numeri sono significativamente più alti quando l’Italia
viene aggiunta all’equazione. Le banche statunitensi, nel frattempo,
hanno circa 700 miliardi di dollari di debito pubblico delle cinque
economie più disastrate dell’Eurozona.
Anche se il default praticamente
certo della Grecia non potrà far cadere le banche – quelle fuori
dalla Grecia, si intende -, potrebbe provocare una serie di crisi del
debito e altri default che potrebbero danneggiare altre nazioni.
I default dei debiti pubblici sembrano apparentemente inevitabili,
e altrettanto lo sono perdite multi-miliardarie per il settore bancario.
Questo è il motivo per cui le azioni delle banche francesi come BNP
Paribas e Société Générale sono in caduta libera da mesi. Questa
è la ragione per cui le grandi aziende, le banche e gli hedge fund
stanno facendo uscire i soldi dalle banche europee.
Siamo, in sintesi, molto vicini a vedere
“La Crisi Finanziaria Mondiale: Il Sequel”, un disastro dalle enormi
implicazioni. Ma c’è del giornalismo di indagine sulle cause? Dove
sono i racconti che spiegano perché, a tre anni dal fallimento della
banca di investimento Lehman Brothers che ha dato il via al collasso
finanziario del 2008, quasi niente sia cambiato?
In assenza di serie analisi, siamo
assoggettati a questi notiziari idioti che danno la colpa ai popoli
delle nazioni indebitate per tutto il casino esistente. Ricordate come
la povera gente – che aveva contratto i mutui subprime – divenne
il capro espiatorio degli Stati Uniti? È stata tutta colpa dei poveri
invece che delle banche che li hanno spinti, raggirati e imbrogliati
per prendere soldi in prestito, per poter creare titoli tossici, ma
altamente remunerativi, che si appoggiavano su questi mutui e che potevano
essere venduti agli investitori. Quasi la stessa cosa è successa in
Irlanda, Spagna e Gran Bretagna. Allo stesso tempo, le banche di Germania
e Francia inviarono i propri agenti di vendita presso governi e banche
in altre parti dell’Europa. Ora, queste stesse banche stanno guardando
con orrore a quei prestiti si stanno guastando, proprio come avvenne
negli Stati Uniti pochi anni fa, e anche loro stanno dando la colpa
ai debitori.
E ancora, come fecero nel 2008-09,
i governi si stanno affrettando per salvare le banche traballanti con
i fondi pubblici. Questo è il motivo per cui la BCE, il FMI e i più
grossi poteri in Europa continuano a soccorrere stati come Grecia, Irlanda
e Portogallo. Di nuovo: seguite i soldi. Quando i governi a corto di
fondi ricevono centinaia di miliardi di nuovi prestiti, quei soldi sono
inviati all’istante nei forzieri delle banche private per i pagamenti
dei prestiti precedenti. La situazione vista nel suo insieme, come ha
osservato uno scrittore sul Financial Times, “somiglia a uno
schema Ponzi o a uno piramidale” nei quali i prestatori iniziali sono
ripagati con nuovi prestiti (2). La differenza è data dal fatto che
i nuovi prestiti vengono dai fondi pubblici, un altro modo per dire
che le banche private vengono ancora una volta salvate dalla gente.
Come nella crisi bancaria globale del 2008-09, i profitti delle banche
sono privati, ma le perdite sono pubbliche. Non proprio come direbbe
il libero mercato. Ma è un buona cosa per i banchieri dissoluti.
E le dimensioni di questo affare invitante
sono da togliere il fiato. In luglio, l’Ufficio di Contabilità del
Governo ha pubblicato un documento che dettaglia i bailout delle
banche. Tra il dicembre 2007 e il luglio 2010 più di 16 trilioni di
dollari erano stati indirizzati dal governo USA alle banche statunitensi
ed europee (3). Altri trilioni sono stati spesi per salvare le grandi
aziende con sede negli USA e per finanziare i programmi degli stimoli.
Ancora altri trilioni sono stati fatti piovere per i salvataggi bancari
e per gli stimoli monetari in Cina, in America Latina, in Europa, eccetera.
Al tempo in cui pubblicai Global
Slump (nel
dicembre del 2010), la mia stima per il totale dei salvataggi bancari
globali e della spesa per gli stimoli era nell’ordine dei 21 trilioni
di dollari, circa una volta e mezzo il PIL degli Stati Uniti (4). Ora
è chiaro che la mia valutazione, tra le più approfondite (e forse
tra le più accurate) del tempo, era diversi trilioni distante dal vero
totale.
Questi sbalorditivi salvataggio dei
capitali globali hanno portato a un massiccio innalzamento dei debiti
pubblici. Coinvolti in interventi senza precedenti in tutto il pianeta,
le nazioni hanno preso a prestito sui mercati del debito, vendendo obbligazioni
governative. Ora, viste le dimensioni del debito accumulato, alcuni
prestatori stanno diventando sempre più sospettosi. Dubitano delle
capacità di molti governi di poter ripagare. Come conseguenza i tassi
di interesse sono saliti: Italia e Spagna possono prendere a prestito
(per le obbligazioni a dieci anni) a tassi che superano il 5 per cento.
Per l’Irlanda, il tasso è salito oltre il 9 per cento; per il Portogallo
ha superato l’11 per cento; e per la Grecia siamo arrivati all’incubo
del 23 per cento. E per quanto riguarda i prestiti a breve termine,
la Grecia è già stata esclusa dai mercati monetari, che chiedono un
tasso di interesse dell’80 per cento sulle sue obbligazioni a due
anni. In sintesi, la Grecia è fallita e il default è solo una
questione di tempo.
Estorcere tassi di interesse così
alti significa che la crisi del debito andrà a peggiorare. Vietando
un miracolo – o la nostra opzione preferita, il default –
tutti questi paesi saranno ancora più indebitati il prossimo anno,
e ancora di più l’anno successivo, a prescindere dai devastanti programmi
di austerità. Nel frattempo, questi programmi, con i forti tagli alla
spese dei governi e enormi licenziamenti nel settore pubblico, acuiscono
invariabilmente la crisi economica. Già adesso il tasso ufficiale di
disoccupazione in Irlanda è catapultato oltre il 14 per cento (il 27
per i giovani), mentre in Spagna raggiunge il 21 per cento (e il 45
tra i giovani). La Grecia, nel frattempo, è in piena recessione, la
sua economia si sta contraendo quest’anno del 5,5 per cento senza
alcun segno di recupero per gli anni a venire.
Austerità
e resistenza
E ancora, mentre il debito sale, i
tagli continuano ad arrivare. L’ultimo pacchetto di salvataggi per
la Grecia include due miliardi di euro di tagli al settore sanitario
e l’eliminazione di ancora 30.000 dipendenti pubblici. Sulla scia
dei precedenti provvedimenti, l’Irlanda ha tagliato del 20 per cento
gli stipendi delle infermiere e di altri dipendenti pubblici, oltre
a ridurre sussidi per i bambini e per il sociale. Ovunque sono i più
vulnerabili a essere sacrificati per far prosperare le banche.
Anche il più strano banchiere
centrale è oramai costretto a riconoscere questa verità. Parlando
a maggio ai membri del Parlamento britannico, Mervyn King, governatore
della Banca di Inghilterra, ha
osservato che “il prezzo
di questa crisi finanziaria viene pagato da quelle persone che non l’hanno
assolutamente causato.” Per di più, ha continuato, “ora che siamo
giunti al momento in cui vengono pagati i costi, sono sorpreso che il
grado di rabbia della gente non sia più grande di quanto riesca a vedere.”
Naturalmente, ci sono state resistenze
massicce: scioperi generali, occupazioni giovanili di piazze in Grecia
e Spagna, rivolte popolare in Tunisia e Egitto, un’agitazione che
è partita dalla scuola in Cile. Ma in gran parte del pianeta, il grado
della rabbia della gente è sorprendentemente basso, almeno fino a ora.
E parte della responsabilità è da attribuire all’atteggiamento dei
media che incolpa le vittime e si rifiuta di seguire i soldi.
C’è una sola ragione per cui abbiamo
più bisogno ora di una politica economica radicale che mai. Uno dei
segreti del capitalismo, dopo tutto, è il modo con cui oscura e nasconde
i processi di sfruttamento economico. La ricchezza si muove e si accumula
attraverso circuiti nascosti che tendono a eluderci. Per questo le serie
analisi economiche richiedono un vero lavoro di indagine, atti investigativi
che possano scoprire gli sporchi segreti del capitalismo – gli sweatshop,
il lavoro minorile, i migranti spremuti nei campi o nell’edilizia
– e le fantastiche ricchezze che sono così rese possibili.
Abbiamo bisogno delle stesse sensibilità
quando ci si riferisce alla crisi del debito che in questo momento sta
colpendo gran parte dell’Europa. Di fronte ai discorsi banali dei
media mainstream sui debitori indisciplinati, dovremmo dimostrare
che, come suggerito da un esperto consulente economico della banca UPS,
stiamo avendo a che fare con “una crisi epocale del capitalismo”
(6). Questa crisi attribuisce i crimini del sistema gli innocenti. E
c’è un modo molto potente per dimostrarlo: segui i soldi. Bisogna
sempre seguire i soldi.
Note:
1. Vedi le tabelle assemblate da Martin
Wolf, “The
Eurozone after Strauss-Kahn”,
Financial Times, 17 maggio 2011.
2. Mario Blejer, “Europe is Running
a Giant Ponzi Scheme”, Financial Times, 5 maggio 2011.
3. United States Government Accountability
Office, Federal Reserve System: Opportunities Exist to Strengthen
Policies and Processes for Managing Emergency Assistance (luglio
2011), Tabella 8, p. 131. Un ‘analisi importante di questo report
è fornita da Petrino Dileo, “The
$16 Trillion Bailout”,
socialistworker.org, 7 settembre 2011.
4. David McNally, Global Slump: The
Economics and Politics of Crisis and Resistance, Oakland, PM Press,
2011, pp. 2-3, 197n4.
5. Vedi i miei precedenti post,
in Tunisia: Riots, Strikes and a Spreading Insurgency”, 8 gennaio 2011 e “Mubarak’s Folly: The Rising
of Egypt’s Workers”,
11 febbraio 2011. Sulle proteste degli studenti in Cile, vedi Manuel
Larrabure e Carlos Torchia, “‘Our
future is not for sale’: The Chilean Student Movement Against Neoliberalism”, The Bullet, N. 542, 6 settembre 2011.
6. George Magnus, “Markets are Reacting
to Crisis of Capitalism”, Financial Times, 12 settembre 2011.