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Se in via Fani c’erano ANCHE le Br, a Washington c’è ANCHE un Trump: cronache di giorni distopici

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A cura di Davide
Il 9 Maggio 2018
311 Views

DI MAURO BOTTARELLI

rischiocalcolato.it

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Esattamente 40 anni fa, oggi, il cadavere di Aldo Moro veniva ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani a Roma, metà strada fra la sede della DC e quella del PCI: mai segnale politico fu più chiaro, il compromesso storico non si doveva fare, i comunisti al potere non erano un prezzo che si poteva e voleva pagare. Oggi tv e giornali ricorderanno la drammaticità di quel giorno e la figura dello statista democristiano, quasi certamente esaltandone il senso dello Stato e delle istituzioni, fino all’estremo sacrificio, a fronte dello spettacolo poco edificante che la politica sta offrendo in questi giorni: è un copione già scritto. E’ un altro, però, a mio avviso, il parallelo da tracciare fra quello “ieri” della nostra storia recente e il presente, fatto di assoluti unicum costituzionali come il “governo neutrale”: come in via Fani, strada di Roma dove si consumò il rapimento di Moro da parte delle Br e l’eccidio della sua scorta, c’erano ANCHE le Brigate Rosse, così alla Casa Bianca ieri c’era ANCHE Donald Trump nell’atto di stracciare l’accordo sul nucleare iraniano. Lo so, può sembrare un salto logico estremo, senza senso ma vi prego di provare a seguirmi.
Non mi dilungherò se non per poche righe riguardo la situazione politica italiana nata dopo il discorso/appello del presidente Mattarella di lunedì: se per molti esponenti di Forza Italia quello del 2011 fu un golpe internazionale orchestrato per far fuori il Cavaliere da Palazzo Chigi, reo dell’aver dato vita a un progetto preliminare di abbandono dell’euro, quanto accaduto due giorni fa altro non è se non un assist avvelenato del Quirinale a Matteo Salvini e alla sua brama di potere per uccidere del tutto il centrodestra. Ovvero, per uccidere politicamente del tutto Silvio Berlusconi, in vista di un ritorno alle urne e di una possibile riabilitazione della sua figura da parte del Tribunale di Strasburgo. Non si era mai visto, infatti, nascere un governo con la scadenza come lo yogurt e una natura “neutro” come il Ph di un sapone liquido: io faccio nascere il governo del Presidente, il mio governo ma se qualcuno trova una maggioranza politica, allora quell’esecutivo si dimetterà un istante dopo e nascerà la nuova maggioranza.

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Ma come, la scusa ufficiale per benedire la mossa del Quirinale non è quella che l’Italia non può restare senza una guida politica in vista dell’appuntamento con l’autunno? Ovvero, DEF, sterilizzazione delle clausole di salvaguardia per evitare l’aumento dell’IVA, vertice UE e discussione sul budget comunitario? Allora perché sta (starebbe) per nascere un governo a tempo che potrebbe resistere il tempo del battito d’ali di un colibrì? Diciamo che nasce (nascerebbe) per tentare in maniera irresistibile Matteo Salvini e la sua smania di potere, visto che il patto Lega-M5S sarebbe già cosa fatta senza la presenza sul palcoscenico della crisi di Silvio Berlusconi. Quindi, il boccino ora è tutto in mano al giovane leader leghista.
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Il quale, infatti, ieri è stato silente come non mai, mandando avanti il suo plenipotenziario Giancarlo Giorgetti, il quale ha chiesto chiaro e tondo al Cavaliere di fare un passo indietro per far nascere l’esecutivo verde-giallo. “Proposta irricevibile”, ha risposto Maria Stella Gelmini, capogruppo alla Camera di Forza Italia. Sicuri? Il pressing sul leader azzurro è fortissimo, quasi impossibile da sostenere. E poi, un particolare è sfuggito a troppi: finita la consultazione al Quirinale con Salvini e Meloni, il Cavaliere ha chiesto un breve colloquio privato a Mattarella. “Abbiamo parlato dello stato di salute di Marcello Dell’Utri”, ha dichiarato alla stampa, uscendo dalla sala presidenziale. Perché lo ha reso noto? Una sorta di assicurazione sulla vita politica? Il Quirinale doveva comunicare il nome del premier da lui prescelto oggi: lo farà domani, pare. Altro tempo a disposizione per trattare, tanto che intervenendo ieri sera a “Porta a porta”, lo stesso Giorgetti si è detto ottimista per un “miracolo” dell’ultimo minuto.

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Se nascerà il governo Di Maio-Salvini, sappiamo su quali presupposti lo farà: una palese etero-direzione garantita dal Quirinale e dalle sue scelte irrituali. Altro che governo balneare e patetiche disquisizioni sulle vacanze che renderebbero inefficace un ritorno alle urne a luglio inoltrato, stante l’astensionismo da infradito: quel governo così potenzialmente inviso a mercati e cancellerie internazionali che contano, DEVE invece nascere. Perché? Magari per accelerare la crisi di un Paese che va cannibalizzato e riallineato per bene, prima che sia troppo tardi: e quell’accoppiata pare dare parecchie garanzie al riguardo. Indovinate, poi, chi pagherà uno dei prezzi più alti in caso di reale implementazione delle sanzioni USA verso chi fa business con l’Iran? Il tutto, al netto delle già suicide sanzioni UE contro la Russia: ah già ma quelle Di Maio e Salvini le toglieranno subito! Manca poco, ormai e vedremo cosa accadrà.
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Cosa è invece già accaduto? Come ampiamente pronosticato e pre-annunciato, ieri sera Donald Trump ha ritirato gli USA dall’accordo sul nucleare iraniano e dato disposizione per la reintroduzione al massimo livello di severità delle sanzioni contro Teheran, addirittura prevedendo la loro applicazione anche verso soggetti terzi che si macchino del crimine di trattare con il regime degli ayatollah. Ve lo vedete Trump che minaccia direttamente la Cina, visto che sarà Pechino a correre incontro all’export petrolifero iraniano posto sotto embargo, di fatto de-dollarizzando e denominando in yuan il commercio di greggio con Teheran? E, giova ricordarlo, l’Iran è il terzo produttore in seno all’OPEC, il tutto con il Venezuela a pochi giorni dal default della sua azienda petrolifera di Stato, opzione che difficilmente Cina e Russia lasceranno che accada.

Israele non ha perso tempo e con la scusa delle “strane attività” iraniane registrate in Siria, ha giocato subito la carta del panico, facendo riaprire i rifugi sulle alture del Golan, mettendo in massima allerta esercito e riservisti e inviando un segnale simbolico ad Assad con alcuni innocui raid contro avamposti militari alla periferia di Damasco nella notte. Il problema non è ovviamente Assad, né il ruolo iraniano in Siria: il problema reale è la vittoria di Hezbollah alle elezioni libanesi di domenica scorsa, l’ennesimo proxy che però Tel Aviv stavolta teme realmente. Ma se in queste ore Mike Pompeo, neo-capo del Dipartimento di Stato USA, si trova in Corea del Nord per creare i presupposti per lo storico incontro di pace fra Donald Trump e Kim Jong-un e da dove, pare, ripartirà con 3 prigionieri statunitensi da riportare in patria, tanto per avere una testa d’alce da mostrare all’opinione pubblica e da appendere al muro della propaganda, ecco che negli USA l’affaire iraniano è già passato in secondo piano, già relegato ad atto formale. La vera notizia è questa:

ovvero, dopo l’ospitata al “Saturday Night Live” di sabato scorso, la pornostar Stormy Daniels è passata dalle parole ai fatti tramite il suo avvocato, Michael Avenatti, il quale ha reso nota al pubblico l’inconfessabile verità. Dietro ai 130mila dollari dati dall’avvocato di Trump alla sua cliente per tacere di una o più scopate quando era già sposato, ci sarebbe un prestito post-elettorale dell’oligarca russo e amico di Vladimir Putin, Viktor Vekselberg. Insomma, con le voci di un decreto presidenziale per esautorare Robert Mueller dal suo ruolo di super-procuratore del caso Russiagate, a causa della volontà dello stesso di sottoporre il presidente a interrogatorio su un lungo memorandum di domande, ecco che i destini politici degli USA (e quindi del mondo) sono in mano alle presunte rivelazioni di una puttana nel corso di un’ospitata in un programma comico. George Orwell non ci sarebbe mai arrivato, troppo avanti anche per lui quanto sta accadendo.
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Casualmente, tre giorni fa esce la notizia della vita da separato in casa fra Trump e la moglie Melania, apparentemente per dissidi sul ruolo troppo attivo di Ivanka alla Casa Bianca. E sempre casualmente, ieri la prima pagina del “Corriere della Sera” rilanciava un’intervista all’ex capo della diplomazia di Obama, John Kerry, il quale dopo aver attaccato Trump proprio sull’accordo iraniano, ha sollecitato l’Italia a non togliere le sanzioni alla Russia, Paese che rappresenta il vero pericolo. Il tutto, a poche ore dal quarto giuramento di Vladimir Putin come presidente russo e dal suo discorso alla nazione. Anche Henry Kissinger, poco prima del rapimento di Moro, disse allo statista democristiano che era costretto a occuparsi direttamente del “caso Italia”, il quale stava prendendo una piega che non andava affatto bene agli Stati Uniti e alla loro politica estera, in piena Guerra Fredda.

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Veniamo, per finire, alla frase che ho usato nel titolo, quel “in via Fani c’erano ANCHE le Brigate Rosse”. Sapete da dove salta fuori? Dalle conclusioni cui sono giunti i lavori della seconda Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, costretta a chiudere lo scorso dicembre per una provvidenziale fine della legislatura. Insomma, dopo 40 anni qualcuno era giunto alla conclusione che si poteva dire la verità o, almeno una parte di essa, sulla fine dell’uomo del compromesso storico: quel giorno, in via Fani c’erano tutti. Servizi segreti italiani, stranieri, forze di sicurezza, piduisti e non, delinquenti legati alla criminalità organizzata e alla Banda della Magliana, di casa nell’adiacente Bar Olivetti, incredibilmente rimasto aperto dopo la strage della scorta e il rapimento del presidente DC. Si poteva dunque dire finalmente la verità? In parte, solo il minimo sindacale per non far sorgere troppi sospetti.
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E infatti, il 28 aprile scorso una notizia davvero interessante è stata invece relegata alle pagine delle cronache genovesi. Il procuratore capo del capoluogo ligure, Francesco Cozzi, ha aperto un’inchiesta per furto aggravato dopo la misteriosa sparizione dei fascicoli giudiziari relativi all’irruzione nel covo della colonna genovese della BR in via Fracchia, una delle pagine più sanguinose della lotta al terrorismo. Il 28 marzo del 1980 furono infatti quattro i brigatisti uccisi nell’irruzione, fra cui Riccardo Dura: stando all’ipotesi avanzata nell’inchiesta aperta nell’agosto scorso, il giovane fu ucciso in quella che fu una vera e propria esecuzione, non in uno scontro a fuoco con gli uomini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. E oggi, i fascicoli sono spariti, dispersi nel viaggio fra il deposito giudiziario di Morimondo, nel milanese e Genova: cosa potevano svelare? Cosa può svelare l’inchiesta genovese? Forse che dopo gli arresti del 1979, lo Stato decise di accettare la versione del famoso memoriale dei brigatisti arrestati, orchestrato da quel Valerio Morucci così credibile da sostenere il doppio ruolo di dissociato (per la magistratura) e semi-pentito (per la Democrazia Cristiana) e la loro ricostruzione del caso Moro, dalla detenzione agli interrogatori del “tribunale popolare” fino alla dinamica della morte nel famoso box dove si trovava la R4?

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Insomma, lo Stato assolveva se stesso e le sue responsabilità, trattando a guerra finita con i brigatisti che diceva di aver combattuto e sconfitto, pur che verità inconfessabili rimanessero tali per fedeltà atlantica e sopravvivenza politica del sistema stesso? Il tutto, è finito pochi giorni fa in un trafiletto della cronaca genovese di “Repubblica”. Non dico che lo stesso accadrà con quell’atto poco più che formale che è, nei fatti, l’abbandono USA dell’accordo sul nucleare iraniano ma dico che, come in via Fani, anche alla Casa Bianca stanno agendo più soggetti, di cui Donald Trump è solo il volto pubblico e riconoscibile, l’utile idiota e il capro espiatorio, il cavallo di Troia e l’involontario megafono: casualmente, il procuratore di New York, l’uomo che ha dato vita al caso Weinstein, ieri ha dovuto dimettersi proprio per accuse di molestie e violenze sessuali nei suoi confronti da parte di quattro donne. Ce n’è abbastanza per far uscire di testa una nazione che, già di per sé, è emozionale e impressionabile come un bambino, almeno nella sua opinione pubblica. Ed è ciò che serve, perché quando anche i report ufficiali dell’FMI mostrano questo,
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c’è poco fa perdere tempo. Et voilà, sempre ieri, mentre il mondo attendeva le parole di Trump sull’Iran, il presidente argentino, Mauricio Macri, cedeva alle pressioni sempre più insopportabili dei mitologici mercati e apriva a un nuovo salvataggio del suo Paese da parte dell’FMI. Se serve un detonatore per far vedere al mondo cosa potrebbe essere in grado di fare la FED, eccolo servito. Siamo al caos totale, alla distopia pura elevata a forma di governo dell’esistente per garantirsi la sopravvivenza futura. Il tutto, usando vecchie formule con ritualità nuove, dai social network alle fake news. Ma attenti, perché ieri lo spread italiano è salito di ben 8 punti e Piazza Affari è stata la peggiore del continente, i mercati sono nervosi!
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Tranquilli, mi sbaglierò ma sento che non si voterà a luglio, che Berlusconi farà il passo indietro richiesto e che non ci sarà l’armageddon fra USA, Israele e Iran. Serve solo una scusa per salvare lo status quo e il suo establishment per l’ennesima volta. Ma vista la magnitudo del casino post-2008, serve davvero grossa. E quale interprete migliore di qualcuno che è ritenuto così stupido da non poter avere un secondo fine o un’agenda nascosta, come Donald Trump? E in Italia? Lascio decidere a voi. Io ho una mezza idea.

 

Mauro Bottarelli

Fonte: www.rischiocalcolato.it

Link: https://www.rischiocalcolato.it/2018/05/se-in-via-fani-cerano-anche-le-br-a-washington-ce-anche-un-trump-cronache-di-giorni-distopici.html

9.05.2018

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