DI MASSIMO FINI
Celebrati i ludi farseschi del referendum sulla nuova Costituzione irachena, in attesa delle altrettanto farsesche elezioni di dicembre (perché nessuna elezione può essere libera quando sul territorio stazionano più di 160 mila soldati stranieri), entra ora nel vivo il processo a Saddam Hussein. Un’altra farsa, tragica, che ha il suo precedente fondativo in Norimberga, quando per la prima volta nella storia, i vincitori non si accontentarono di esser tali ma pretesero anche di essere moralmente migliori dei vinti e quindi in diritto di giudicarli invece di passarli per le armi (“pratica esente da ipocrisia” come disse in un coraggioso discorso del 1947 alla Costituente il liberale Benedetto Croce che a quei processi era radicalmente avverso).
Una farsa che passa poi per il processo a Slobodan Milosevic (a proposito che fine ha fatto? Sono ormai più di due anni che sta in carcerazione preventiva all’Aja) e arriva ora al rais di Baghdad. Questi processi sono un’aberrazione giuridica. Perché fanno coincidere il diritto con la forza; la forza del vincitore. Il che è l’esatto contrario del diritto. Ci sono infatti voluti migliaia di anni, di elaborazioni giuridiche, di pandette, di codici per affermare l’opposto: la forza del diritto contro il diritto della forza.
Sono processi che hanno un esito scontato: la condanna. Perché i vincitori non possono certo ammettere di aver avuto torto, nel quale caso finirebbero loro sul banco degli imputati. E processi di cui si conosce a priori la sentenza non sono processi, sono violenze.
Premesso questo, dal processo a Saddam, se avrà non dico una legittimità, che non ha e non può avere, ma almeno un minimo di regolarità e di decenza, potrebbero venire fuori alcune cose interessanti, che sono arcinote a chi si occupa di queste vicende, ma non alla maggioranza dell’opinione pubblica, cui sono state tenute il più possibile nascoste dalla “disinformatia” occidentale.
Com’è noto Saddam Hussein è stato accusato, tra le altre cose, non solo di possedere armi di distruzione di massa nel momento in cui fu attaccato dagli angloamericani (che fu la legittimazione formale di quella aggressione), ma di averle usate a suo tempo sui curdi iracheni, in particolare nel villaggio di Halabya dove “gasò” in un colpo solo 5000 civili, sugli sciiti iracheni e anche sui soldati iraniani nella guerra Iraq-Iran. Già, ma chi aveva fornito al rais di Baghdad quelle armi? Gli americani, i francesi e, via Germania Est, l’allora Unione Sovietica. E gli occidentali e i russi non diedero quelle armi a Saddam perché vi si trastullasse, ma con dei precisi obiettivi. Il primo fu quello di combattere l’Iran di Khomeini che allora era il grande spauracchio del biimperialismo sovietico-americano perché proponeva una via allo sviluppo delle genti islamiche che non fosse né capitalista né marxista, mentre Saddam Hussein, che allora si proclamava laico, stava perfettamente dentro la logica del materialismo delle due Superpotenze. In seguito, dopo la guerra del Golfo, Saddam Hussein fu lasciato volutamente in piedi – benché, a parole, fosse considerato il principale responsabile di quella guerra poiché aveva invaso il Kuwait – in funzione anticurda e antisciita. Anticurda per schiacciare l’indipendentismo di questo antichissimo popolo tradizionale non solo in Iraq ma soprattutto in Turchia dove vivono dieci milioni di curdi oppressi nel modo più violento e sanguinario dal governo di Ankara. E la Turchia, immensa portaerei naturale, è il vero, grande, alleato degli Stati Uniti nella regione. In quanto agli sciiti iracheni, che proprio su istigazione degli americani si erano ribellati all’inizio della guerra del Golfo, bisognava impedir loro di rovesciare Saddam e instaurare una Repubblica islamica sul modello iraniano o di riunirsi a Teheran (si tratta infatti della stessa gente divisa arbitrariamente dagli inglesi negli anni Trenta, quando fu creato il fasullo Stato dell’Iraq mettendo forzatamente insieme tre mondi che nulla hanno a che spartire fra loro: curdi, sunniti e sciiti). E quelle armi Saddam le usò non solo con la complicità degli americani, un loro benevolo chiudere un occhio di fronte alle stragi, ma su loro istigazione e quasi comando. E infatti sulla strage di Halabya tutta la stampa occidentale stese, per alcuni anni, una coltre di silenzio, perché non era opportuno né decente far sapere che erano state perpetrate con le armi che noi gli avevamo dato e su nostro mandato. Mi ricordo che quando, nel 1988, informato da amici iraniani, diedi notizia della strage di Halabya sull’Europeo, che era allora un importante e autorevole settimanale, nessuno riprese la notizia. Del resto non è che quelle cose, fra i giornalisti occidentali, le sapessi solo io, le sapevano in parecchi ma preferirono tacere.
Avendo usato le “armi di distruzione di massa” sulla pelle degli iraniani, degli sciiti e dei curdi Saddam non ne aveva più. Però gli americani fecero finta che le avesse lo stesso e invasero e occuparono l’Iraq. Ma poiché queste armi, nonostante tutte le ricerche, non sono state trovate, quell’invasione e quell’occupazione sono del tutto illegittime a meno che non si voglia sovvertire il diritto internazionale vigente e ammettere che si possa aggredire un Paese non perché costituisce una minaccia per l’aggressore o qualcuno dei suoi alleati ma solo perché non piace l’assetto istituzionale che si è dato. Quindi sul banco degli imputati non dovrebbe sedere Saddam, attaccato senza ragioni, ma i suoi aggressori.
Infine vorrei sapere se verranno presi in considerazione come “crimini di guerra” i devastanti “effetti collaterali” delle “bombe intelligenti” e dei “missili chirurgici” che il valoroso generale Schwartzkopf usò nella prima guerra del Golfo, che il noto Peter Arnett, piazzato sulla terrazza del principale albergo della capitale del nemico, ci fece vedere sotto forma di affascinanti luminarie: 160mila civili uccisi, di cui 32.195 bambini, che non sono meno bambini dei nostri. Una strage in un paio di mesi di gran lunga superiore a quelle che poterono commettere Mladic e Karazic (altri ricercati dal Tribunale internazionale dell’Aja) in cinque anni.
Qualcuno pagherà per quei 32.195 bambini morti? Certamente no, chi oserebbe metter sotto accusa un’eroe nazionale come il generale Schwartzkopf? Questa è la giustizia dei vincitori.
Massimo Fini
Fonte:www.gazzettino.it
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19.10.05
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