DI MASSIMO FINI
ilfattoquotidiano.it
Qualche lettore mi chiede perché mi sono preso tanto a cuore la causa dei Talebani e del Mullah Omar, se sto per convertirmi all’islam e magari partire per la Siria come quel Giuliano Delnevo. Se anche ne avessi l’età non andrei in Siria perché non ho capito se le ragioni stanno dalla parte dei ribelli o di Assad. Ci sono Paesi, composti da comunità molto diverse fra loro, che per essere tenute insieme hanno bisogno di un “uomo forte”. Abbiamo visto i disastri combinati dagli occidentali con i loro interventi in Libia e in Iraq per eliminare Gheddafi e Saddam e portarvi la democrazia. Del resto io non credo alla democrazia rappresentativa nemmeno in area occidentale.Nel mio libro Sudditi l’ho definita, un po’ brutalmente, “un modo sofisticato per metterlo nel culo alla gente, soprattutto alla povera gente, col suo consenso”. E mi sembra che l’Italia ne sia un esempio piuttosto eloquente. Ma per tornare alla domanda dei lettori, se c’è qualcosa che è lontanissima dalla mia sensibilità è la cupa religione islamica, non meno di quella, altrettanto cupa, ebraica. In quanto alla religione cattolica non sono mai riuscito a prenderla sul serio con quei suoi dogmi inverosimili (La resurrezione della carne? A che età, please? Perché se mi fai resurgere a vent’anni è un conto, se all’età che ho adesso preferisco rinunciare). Sono più attratto, culturalmente, dai culti neri, africani, che non hanno un Dio unico, punitivo o meno, né dei, ma una visione magica della Natura. Ma le abbiamo distrutte.
La questione dei Talebani è un’altra. In loro io difendo il diritto elementare di un popolo, o di parte di esso, a opporsi all’occupazione dello straniero. Altrimenti, se vogliamo essere coerenti, prendiamo la nostra Resistenza (su cui abbiamo fatto tanta retorica: riguardò poche decine di migliaia di uomini e donne coraggiosi, durò un anno e mezzo mentre gli afghani resistono da dodici anni) e buttiamola nel cesso. In generale detesto chi va a ficcare il naso, anche con le migliori intenzioni, in casa altrui: i missionari, le Ong, la bontà sanguinaria e morbosa delle Madri Teresa di Calcutta che si pascono del dolore altrui. Dei Talebani ammiro alcune qualità prepolitiche. Il coraggio, fisico e morale, la lealtà che da noi non riesce a essere declinata se non nel senso dell’omertà mafiosa.
Sulla testa del Mullah Omar pende da dodici anni, una taglia di 25 milioni di dollari. Ma nessuno ha mai venduto il Mullah, mentre da noi uomini che hanno già tutto si compromettono per una vacanza pagata o una cena in un bel ristorante. Sul Mullah Omar c’è poco da dire. Diciottenne andò a combattere gli invasori sovietici, perse un occhio, tornò in battaglia.
Dopo la guerra rientrò nel suo povero villaggio, Singesar e studiò nelle madrasse. Poi, all’inizio solo con altri tre compagni (Ghaus, Hassan, Rabbani), prese le armi contro “i signori della guerra” che rubavano, taglieggiavano, assassinavano, stupravano, sbattevano fuori dalle loro case i legittimi proprietari per metterci i propri seguaci. In due soli anni (1994-1996) sbaragliò questi potenti farabutti con l’appoggio della popolazione che non ne poteva più dei loro soprusi. Dirà il giovane Omar agli inizi della sua avventura: “Come potevamo starcene tranquilli vedendo tanti crimini commessi contro le donne e la povera gente?”. Questo era il suo modo di difendere la dignità della donna. Nei nostri democratici e femministicissimi Paesi ragazze vengono stuprate nel centro delle città senza che nessuno osi muovere un dito. Arrivato al potere Omar continuerà a condurre la vita spartana di sempre e le sue tre mogli e i cinque figli rimarranno nel povero villaggio, di capanne di fango e paglia, Singesar che non avrà nessun vantaggio dal fatto che uno dei suoi enfant du pays è diventato il padrone del Paese.
Questo, per me, è un uomo. O dovrei appassionarmi a Enrico e Gianni Letta?
Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
22.06.2013