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La Redazione

 

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SCOVA E DISTRUGGI: LO STUPRO DELL'IRAQ

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A cura di Truman
Il 27 Marzo 2013
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DI PEPE ESCOBAR
Asia Times

L’invasione dell’Iraq dieci anni dopo

Come prima cosa, liberiamoci (più o meno legalmente) di tutti i mitografi: la violenza carnale subita dall’Iraq è il più grande disastro umanitario dei nostri tempi causato dall’uomo. E’ essenziale tenere a mente che tale violenza è diretta conseguenza della distruzione del diritto internazionale messa in atto da Washington; dopo l’Iraq, chiunque può servirsi della guerra preventiva citando come precedente le campagne di Bush e Cheney nel 2003.

Ancora oggi, a 10 anni dallo “Shock and Awe” (campagna “shock e terrore”, n.d.t.), persino i cosiddetti liberali stanno ancora tentando di legittimare anche solo in parte le vicende del “progetto Iraq”. Non c’è mai stato un vero e proprio “progetto”, solo un intrico contorto di menzogne, incluse le giustificazioni a posteriori per il bombardamento del Grande Medio Oriente in nome della “democrazia”.

Recentemente ho pensato al Catalyst. Il Catalyst era il carro armato con cui ogni volta ero costretto a negoziare i miei faticosi andirivieni da o verso la zona rossa, durante la prima settimana di occupazione statunitense a Baghdad. I marines provenivano in prevalenza da Texas e New Mexico. Solitamente si chiacchierava. Essi erano convinti di aver colpito Baghdad perché “i terroristi ci hanno attaccato l’11 settembre”.

A distanza di anni, la maggior parte degli americani crede ancora alla Colossale Menzogna. Il che è la prova che gli arroganti ed ignoranti cosmici neocons hanno fatto almeno una cosa giusta. La connessione tra Saddam Hussein ed al-Qaeda potrà non essere una delle tessere del “puzzle” del “progetto” iniziale di invasione e ricostruzione da zero dell’Iraq (c’erano anche le inesistenti armi di distruzione di massa), ma è stata incredibilmente efficace per il lavaggio dei cervelli e per farsi strada.

Quando nel 2004 fu reso pubblico l’indecente spettacolo delle torture di Abu Ghraib (io stavo guidando attraverso il Texas per un lavoro, e tutti virtualmente consideravano questo show una cosa “normale”) la Colossale Menzogna regnava ancora sovrana. A dieci anni di distanza, dopo Abu Ghraib, la distruzione di Fallujah, il diffuso “dead-checking” (pratica per cui si uccidevano gli iracheni feriti, anziché soccorrerli, n.d.t.), i “fuochi di rotazione a 360 gradi” (esercizi di tiro al bersaglio a punti sui civili iracheni), attacchi aerei sui civili, senza menzionare l’ “uccisione di tutti gli uomini appartenenti alle fasce di età in cui si può prestare servizio militare”; dopo aver speso 3 mila miliardi di dollari, se bastano (ricordiamo che i neocons avevano promesso una guerra rapida e semplice che non sarebbe dovuta costare più di 60 miliardi di dollari), e dopo l’uccisione diretta o indiretta di 1 milione di cittadini in seguito all’invasione e occupazione, le menzogne ci avvinghiano ancora, come una gigantesca Medusa.

Si, la CIA, vincitrice dell’Oscar e calata nel personaggio, continua a coprire tutto.

Più veloce, controguerriglia, uccidete, uccidete

L’Anno Zero in Iraq è durato circa 10 giorni. Ho osservato la nascita ufficiale della resistenza; un rally di massa a Baghdad, che iniziando in Adhamiya, univa sunniti e sciiti. Poi fu il momento degli sfruttamenti della cosiddetta Coalition Provisional Authority (CPA), una spalla centrale, guidata dall’agghiacciante Paul Bremer, infallibile nel dimostrare un’ignoranza cosmica sulla cultura della Mesopotamia. Seguì un’interminabile offensiva “search and destroy” (tattica militare nota in Vietnam, letteralmente “cerca e distruggi”, n.d.t.), una “tattica” mascherata da controguerriglia. Non stupisce quindi il fatto che si sia rapidamente trasformato in un sabbioso Vietnam.

La resistenza sunnita ha fatto letteralmente impazzire il Pentagono. Così appariva il “triangolo della morte” nell’estate del 2004. Così rispose il Pentagono quattro mesi dopo, mettendo in atto quella che io chiamo “democrazia di precisione.”

Alla fine ha vinto il triangolo della morte, o quasi. Passiamo ora oltre, verso la “Surge” di G.W. Bush (Escalation delle truppe in Iraq del 2007, ndt). In merito a questo, milioni di ingenui negli Stati Uniti ancora credono ai racconti dell’arrapato generale David Petraeus. Io ero là quando la “surge” è iniziata, nell’estate del 2007. L’orrenda guerra civile condotta dagli USA, ricordiamo che il motto è sempre “divide et impera”, andava già avanti da sola perché i commando sciiti, l’Organizzazione Badr e l’esercito del Madhi, avevano messo in atto una devastante pulizia etnica dei sunniti nelle aree in cui precedentemente convivevano le due etnie. Baghdad, che prima era una città con una leggera predominanza sunnita, è ora prevalentemente sciita. Questo non ha niente a che vedere con Petraeus.

Per quanto riguarda gli “Awakening Councils” (i Consigli per il Risveglio), erano essenzialmente milizie sunnite (con più di 80.000 uomini) organizzate in gruppi e stanche delle sanguinose tattiche di al-Qaeda in Iraq, principalmente proprio nel triangolo della morte comprendente Fallujah e Ramadi. Petraeus li ha pagati con valige di contanti. Prima di questi avvenimenti, quando ad esempio difendevano Fallujah nel novembre 2004, essi venivano etichettati come “terroristi”. Ora sono diventati dei “lottatori per la libertà” stile Ronald Reagan.

Io ho incontrato qualcuno di questi sceicchi. Il loro era un piano subdolo e a lungo termine, invece di combattere gli americani prendiamo i loro soldi, stiamo buoni per un po’ di tempo, ci liberiamo di quei fanatici di al-Qaeda e poi attacchiamo i nostri veri nemici, gli sciiti al potere a Baghdad.

Questo è esattamente il passo successivo per l’Iraq, dove sta già lentamente fermentando un’altra guerra civile. Tra l’altro alcuni di questi ex “terroristi”, con grande esperienza sul campo di battaglia, sono oggi i comandanti chiave di quell’insieme di unità “ribelli” che combattono il regime di Assad in Siria. Si, sono ancora considerati “lottatori per la libertà”.

Balcanizzare o lasciare

Gli americani ovviamente non ricordano che, quando era ancora al senato, Joe Biden, spingeva impazientemente per la balcanizzazione dell’Iraq in tre zone. Considerando che ora è l’uomo di punta dell’amministrazione Obama per l’evoluzione in Siria, potrebbe anche finire per portare a termine il suo progetto.

E’ vero che l’Iraq è stato il primo paese arabo ad avere un governo sciita da quando nel 1171 Saladino si liberò dei Fatimidi in Egitto, ma è anche vero che questo paese va nella direzione di una frammentazione totale.

La Zona Verde, prima americana, potrebbe ora essere sciita. Persino il più importante leader religioso sciita, Grand Ayatollah Sistani, che spaccò letteralmente la schiena ai neocons e al CPA a Najaf nel 2004, è disgustato dallo scompiglio orchestrato dal Primo Ministro Nouri al-Maliki. Anche Teheran è in una situazione difficile. Contrariamente al think tank del governo federale (ma queste persone non ne azzeccano mai una?) l’Iran non manipola le politiche dell’Iraq. Ciò che principalmente teme Teheran è una guerra civile in Iraq, piuttosto simile a ciò che sta accadendo in Siria.

Il report di Patrick Cockburn sull’Iraq nei 10 anni passati come corrispondente estero è senza pari. Questa è la sua valutazione attuale.

Un fatto importante è che l’influente Muqtada al-Sadr (vi ricordate di quando veniva descritto come l’uomo più pericoloso dell’Iraq su tutte le prime pagine dei giornali americani?) non vuole cambiare il regime, nonostante abbia criticato Maliki per la sua propensione all’egemonia sciita. Gli sciiti hanno i numeri, quindi anche in un Iraq unito c’è la possibilità di un governo di maggioranza sciita in ogni caso.

Il sud, di forte prevalenza sciita, continua ad essere molto povero. L’unica fonte di lavoro possibile sono i lavori nella pubblica amministrazione. Ovunque le strutture sono ridotte in brandelli, conseguenza diretta delle sanzioni ONU e USA, seguite dall’invasione e dall’occupazione.

Ma poi c’è un’isola felice, il Kurdistan iracheno, una specie di distorto sviluppo di “Pipelineistan”.

Le “Big Oil” non hanno mai avuto l’occasione di realizzare il loro sogno del 2003 di abbassare i prezzi nuovamente a 20 dollari (al barile), in linea con il pensiero di Rupert Murdoch. Ma c’è gran fermento ovunque. Greg Muttitt non ha rivali come osservatore del nuovo boom del petrolio in Iraq.

In nessun altro posto la situazione è più intricata che nel Governo Regionale del Kurdistan (KRG), dove sono in campo fino a 60 compagnie petrolifere, dalla ExxonMobil alla Chevron, Total e Gazprom.

Il sancta sanctorum è un nuovo condotto che unisce il Kurdistan iracheno alla Turchia, che rappresenta il passaporto curdo per esportare petrolio bypassando Baghdad. Nessuno può sapere se questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso per l’Iraq, dal momento che i Kurdi iracheni si stanno sempre più avvicinando ad Ankara e allontanando da Baghdad. La palla è sicuramente nelle mani del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, dal momento che i kurdi hanno una rarissima possibilità di poter giocare con gli interessi di Ankara, Baghdad e Teheran e magari chiudere la partita con la costituzione di un Kurdistan indipendente ed economicamente autosufficiente.

Quindi è certo, ci sono numerosi segni di balcanizzazione all’orizzonte. Ma cos’hanno imparato gli USA dopo il più grande disastro di politica estera della storia? Niente. Nada. Dovremo aspettare che nei prossimi anni Nick Turse pubblichi un’egregia opera sull’Iraq come quella che scrisse sul Vietnam Kill Anything That Moves (Uccidete qualsiasi cosa si muova, n.d.t.). Gli orrori commessi in Iraq sono ancor peggio del Vietnam, perché sono l’inevitabile risultato delle politiche ufficiali del Pentagono unite a quelle della Casa Bianca.

Questa straziante spirale di sofferenze in Iraq sarà mai riconosciuta? Si potrebbe sempre cominciare da qui, ovvero dal caso annunciato da Hans Sponeck, ex coordinatore umanitario delle Nazioni Unite.

Oppure, con una vena pop, un produttore che sia indipendente da Hollywood e dalla CIA potrebbe investire in un film “made in Iraq”, distribuito in tutto il mondo, il cui finale vede Dubya (W. Bush), Dick, Rummy, Wolfie e il restante gruppo di cialtroni della ciurma di Douglas Feith, spediti senza possibilità di ritorno in una Guantanamo fedelmente ricostruita proprio nel triangolo della morte. Come colonna sonora “Masters of War” di Bob Dylan. Sarebbe una morte catartica.

Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007) e Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge. Il suo nuovo libro s’intitola Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009).

Il suo indirizzo è [email protected]

Fonte: www.atimes.com

Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MID-01-200313.html

20.03.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA REYMONDET FOCHIRA

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