Non si è fatto mancare l’intervento dei fratelli americani sulla iniziativa di riforma giudiziaria in Israele. Tuttavia Biden, lungi dal sostenere il rieletto premier Netanyahu, ha letteralmente espresso preoccupazione per la tenuta democratica di Israele: “Insieme ai tanti sostenitori di Israele, sono molto preoccupato” ha affermato ai giornalisti martedì scorso; “[Netanyahu e la maggioranza della Knesset] non possono proseguire su questa strada” concludendo con l’auspicio che il premier di Gerusalemme ovest trovi un compromesso.
Immediata la risposta stizzita di Benjamin “Bibi” Netanyahu: “Noi israeliani non ci facciamo influenzare da ingerenze esterne, nemmeno se provengono dall’amico del cuore”. Bibi è poi tornato sulle ragioni della sua riforma giudiziaria che, ricordiamo, concederebbe alla Knesset (parlamento monocamerale di Israele) maggior controllo ed influenza sulla Corte suprema.
In particolare, la riforma prevede:
– Possibilità per il parlamento di porre il veto sulle decizioni della corte attraverso la maggiornaza assoluta (61 voti su 121 seggi)
– Abrogazione del giudizio di costituzionalità sulle leggi fondamentali, ossia la costituzione dello Stato di Israele
– Attribuzione al governo di maggior potere di elezione dei membri della Corte suprema.
I sintesi, la riforma sbilanciarebbe nettamente l’equilibrio dei poteri a favore del governo, che in questo momento è sostenuto per l’appunto da una solida maggioranza capeggiata dal Likud di 64 seggi, più che sufficiente in riferimento al numero necessario per i veti alle sentenze della Consulta israeliana. L’indipendenza della magistratura verrebbe indebolita drasticamente.
La riforma è stata presentata dal ministro della giustizia Yariv Levin; in seguito Netanyahu ha licenziato il ministro della difesa Gallant, contrario alla riforma. Ques’ultimo passo falso ha causato lo scoppio delle proteste e la sospensione del progetto di riforma.
Fonte: www.timesofisrael.com